Il dialetto è una cosa per vecchi? È davvero destinato a sparire? In realtà, non sono pochi i giovani che ritengono il dialetto un fattore di arricchimento culturale e personale e lo utilizzano quotidianamente. Che voi siate nati a Bergamo, a Palermo o a Verona, avrete certamente un ricordo di vostra nonna o di qualche anziana parente che si esprime in dialetto, con espressioni tipiche e colorite, difficilmente traducibili in italiano senza snaturarne il senso.
Ognuno di noi dovrebbe essere legato alla propria “vulgata”: che bello quando, ovunque nel mondo, senti un “ga rie mia” o un “mama che bel!” e capisci che ci sono dei tuoi conterranei nei paraggi. La varietà e la ricchezza dei dialetti è uno dei tanti elementi che rende unica l’Italia, arricchendola di bellezza e tradizioni locali. Certo, tra le parlate locali ce ne sono di migliori in quanto a gradevolezza del suono, ma il bergamasco è tutt’altro che inespressivo.
Il dialetto non è una bandiera di qualche fazione politica, ma è patrimonio di tutta una comunità da custodire gelosamente.
La mia passione per il bergamasco nasce dall’essere cresciuto con le nonne, il nostro “welfare” più importante: esso evoca quindi in me ricordi piacevoli dell’infanzia e del presente che spesso associo a una “lingua”.
Qualche anno fa mi è stato proposto di entrare nella compagnia teatrale dialettale del mio paese, Osio Sotto, e ho accettato di buon grado: mettere in scena le vicende della vita quotidiana bergamasca in “lingua originale” è davvero molto divertente e suscita negli spettatori tante e tante risate dovute all’empatia che si crea tra noi “attori” (o almeno, noi che proviamo a fare gli attori…) e il pubblico, che vede la propria vita di ogni giorno rappresentata su un palcoscenico, condita in chiave comica.
Nella nostra compagnia, che abbiamo chiamato non a caso “nostrana”, ci sono persone che recitano in dialetto praticamente da quando erano bambini e dimostrano tutta la loro bravura e la loro simpatia nel realizzare ogni anno commedie sempre più divertenti, senza mai cadere nel ridicolo.
Quanto è difficile destare le risate del pubblico senza ricorrere al facile “trash” che impera in questi periodi! Lo ammetto, non è usuale per un ragazzo di diciannove anni buttarsi in questo mondo così “insolito”. Proprio qui sta il bello della sfida: avvicinare altri miei coetanei alla commedia dialettale, “avvicinando” generazioni spesso distanti tra loro (sia anagraficamente che non) rappresenta la mia “mission”, quello che mi sono prefissato quando ho iniziato a far teatro.
Fino a oggi le nostre commedie sono sempre piaciute agli spettatori di tutte le età: speriamo di continuare con questi piccoli successi anche negli spettacoli futuri, dimostrando che il dialetto non è “roba da vecchi”!
Daniele Pinotti, 5B Ls