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Schiavi della società? Riflessione aperta

Posted by admin On Agosto - 22 - 2020

“Siate servi e padroni ma di voi stessi”

“La moda spesso non viene definita da caratteristiche realmente utili. È un semplice metodo di aggregazione, di emancipazione emotiva, un qualcosa che aggrada e asseconda il narcisismo dell’uomo contemporaneo, un qualcosa di cui necessita. Tutto varia a seconda di come la si vive, se in modo consapevole e limitato o passivamente, inconsapevolmente e ciecamente”.

Il contesto sociale in cui siamo calati vanta una fascia d’età piuttosto ampia: le età delle persone con cui veniamo quotidianamente in contatto variano enormemente, da fratellini o sorelline di 10/11 anni, se non meno, a persone ormai mature, passando dai propri genitori, insegnanti, nonni. Intentiamo un’analisi di questo range, partendo dal presupposto di trovarci in una società a impronta capitalista e materialista, i cui figli, tutti noi, non possono in alcun modo sperare di venir sottratti dal contesto in cui son calati.

Max Weber, in L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Proudhon, in Critica allo Stato e alla proprietà, il tanto stigmatizzato Karl Marx, nel suo Manifesto comunista, furono tra le più autorevoli voci a teorizzare un legame stretto tra economia del consumismo, del rincorrere parvenze di futili proprietà, della volontà di omologarsi ai canoni comuni, appiattendosi nel grigiore sociale, e dogmi, tradizioni, sacramenti religiosi a cui gran parte di noi sono stati involontariamente assoggettati. Venne lungamente affermato come istituzioni sociali quali le religioni fossero accortamente divulgate su misura, assecondate e fecondamente inculcate nella vita quotidiana dei primi stati capitalisti. Si pensi al calvinismo, un movimento religioso agli antipodi della povertà evangelica – il cosiddetto pauperismo – e che osannava gli opulenti, coloro che si dimostrassero capaci nel personale arricchimento, poiché di loro sarebbero stati i cieli, dimostrando l’aiuto di Dio nelle opere terrestri, come ci si aspetterebbe da un movimento sviluppatosi durante l’infiammare del concetto di capitale, in una società a prevalenza borghese, ricca.

Giustificarsi presso coloro i quali non abbiano la facoltà, per carenze istruttive, di saper scindere finzione religiosa e realtà economica, garantiva a questi padroni una incontestata supremazia, un tacito ma inviolabile accordo di reciproca gerarchizzazione. Concetti ripresi successivamente dal Cristianesimo, durante la seconda rivoluzione industriale, quando la salvezza dell’anima, il piacere eterno, il vero riscatto non poteva non essere raggiunto dai proletari (gli operai) se non subendo condizioni di vita estreme, lavorando ininterrottamente più di 12 ore al giorno, mal retribuiti, patendo la fame: “Soffri ora, perché gli ultimi saranno i primi”. La religione come strumento di controllo, per imbonire le vigorose braccia di quegli sfruttati, riempiendo la pancia di quegli sfruttatori.

Volendo fornire una interpretazione semplificata del messaggio contenuto nei saggi di questi pensatori, potremmo dire che religione ed economia sono strettamente legate. Il che, semplificando ulteriormente, si traduce in un concetto estremamente diretto: che voi siate credenti o meno, che voi seguiate o meno le ideologie capitalistiche della nostra epoca, voi sarete sempre e comunque legati a doppio filo ai sovra citati dogmi, gesti, impostazioni mentali. Che vadano dal mettersi le ultime Adidas perché va di moda, all’andare la domenica in chiesa a pregare. Sono imposizioni sociali, modi di vestirsi, modi di pensare e di agire che ci accomunano. Ci fanno stare bene, perché ci fanno sentire parte di una squallida unione di “depensanti”, accecati da una misera utopia di completa omologazione.

Tutti agiamo in modo inconscio, siamo convinti di essere padroni di noi stessi, accecati dalla nostra superbia. Vi scandalizzerebbe, vi schiferebbe, sarebbe tra le più cruente ferite del vostro orgoglio sapere con quale automatismo conduciamo le nostre vite, compriamo i nostri beni, rincorriamo mode o guardiamo film di tendenza, immolando il nostro libero arbitrio in nome di una dea melliflua, ingrata, traditrice, venerata e osannata nell’apoteosi del massimo atto masochista umano. Una società, una impostazione mentale, una economia basata su concetti religiosi, e cosa c’è di più occluso di una religione? Non si pensi tuttavia che ci si possa identificare in qualcosa di drasticamente diverso dal classico stato in essere di “ipocrita”, nel momento in cui, reputando più o meno importante il recarsi in chiesa la domenica, ripetendo senza spirito parole dense di costrizione sociale e occlusione mentale, si trovi comunque estremamente esilarante o grottesca l’idea di indossare una divisa scolastica, di mettere addosso una camicia nera nel ventunesimo secolo, consapevolmente e dichiaratamente simbolica, che rispetti gli stessi ideali conservatori, gli stessi principi di depersonificazione del singolo, cui i sovra citati “fedeli” sono costantemente incatenati, arrivando a definirli “invasati”, perché membri consapevoli, non passivi, di una realtà fortunatamente circoscritta, di una realtà oscurantista ed egualmente negativa, di un qualcosa che possa pericolosamente incidere culturalmente in un futuro prossimo. Dovrebbero anzi ammirare quelle persone che – a differenza di tutti coloro i quali trovino assolutamente necessario espletare i propri bisogni capitalistici, rendendo sempre più palese la dittatura materialista in cui si barcamenano, sentendosi costretti a rincorrere le tendenze, giocando a qualunque nuova uscita, assicurandosi l’ultima console di una qualunque vecchia multinazionale, acquistando l’ultimo modello di una qualunque generica marca di scarpe – decisero volontariamente, guidate dalla propria superbia, di accondiscendere alle imposizioni di un potere superiore, non subendone passivamente l’influenza, credendo davvero in presunti valori che, per quanto contestabili, garantivano una certa immanenza di pensiero, una fragile ma inamovibile legge mentale, invece di un continuo susseguirsi di parvenze, di beni materiali e non ideologici, all’inseguimento di un consumo sterile ed empio.

Non aderire a ideologie storicamente pericolose, non appoggiarle ma senza stigmatizzarle, senza criticarle, almeno non senza notare la triste somiglianza con se stessi, con le proprie condizioni, descrive l’uomo senziente.

È ben più pericoloso un modus operandi radicato nel pensiero comune, un dittatore invisibile ma perpetuo, che un dittatore fisico, espugnabile e fisicamente soverchiabile. Due forme di controllo identiche, generatrici di uguale mancanza di pensiero autonomo, di violenta esclusione sociale, di cieca approvazione. Una imposta apertamente, l’altra invisibile e oppiacea. Coloro i quali riuscissero a dimostrarsi capaci di giudizio e spirito critico, nella facoltà di saper scindere i propri paraocchi dalla realtà effettuale, non potranno non rendersi conto dell’intrinseca inutilità di cose come titoli, riconoscimenti statali e simbolismi razziali. Presupposti non garantibili nel momento in cui, nella più totale assenza di imposizioni evidenti, di dimostrazioni palesi di ingiustizia sociale, le persone assecondano il mostro del capitalistico consumismo. Non c’è modo di uscire da questo circolo, nessuno può sfuggire al meccanismo sociale dei dogmi consumistici, nessuno può esimersi, per quanta volontà possa metterci, dal partecipare a questo gioco di ruolo globale: almeno, non continuando a barcamenarsi nella pozzanghera ideologica in cui rischiamo continuamente di affogare.

L’uomo come vite, la società come macchina consumatrice, i grandi poteri come ingranaggi. Una singola vite, a fronte degli altri miliardi di viti presenti, non destabilizza il meccanismo, non incide sul ruotare di quegli ingranaggi, non quanto lo farebbe la loro totalità. Per la società siamo viti, utili se avvitate in preimpostata sede, ridondanti se anche solo vagamente autonome. Ridondanza psicologicamente soppressa, ci si abitua a pensare agli anarchici come a persone violente, rumorose, pericolose, si lascia che il pensiero comune si insinui nel nostro metro di giudizio, arrivando a farci provare schifo e pena nei loro confronti, ignorando completamente il vero significato di anarchico, colui il quale non creda nello Stato pur senza credere nell’entropia, nel caos. Il vero anarchico non è colui che scende in piazza a farsi prendere a manganellate. Il vero anarchico è colui che si fa forte della propria idea, che ne diffonde gli estremi, che crede disperatamente nel riscatto sociale.

A fronte dell’opinione che vi è stata fatta assumere, provate a porvi questa domanda: cosa trovate più patetico tra il volersi pubblicamente schierare contro un sistema corrotto, accettando il compromesso di doverne strumentalizzare una antonomastica dimostrazione (gli strumenti mediatici) consapevoli di rispettare volontariamente una propria ideologia, un’accettazione circoscritta e costruttiva, cui potersi sottrarre in ogni momento, e lo spendere 1000€ per comprare l’ennesimo iPhone, identico o quasi a quello precedente, emulando elementi cancerogeni come cicciogamer89 che spendono miliardi su un gioco di cui, dopodomani, nessuno ricorderà il nome?

Non riusciamo a essere consapevoli che quello che facciamo non è niente, se non un qualcosa di momentaneo, inutile sul lungo termine. Arthur Schopenhauer, filosofo di fine ’800, riuscì senza ombra di dubbio a racchiudere la quintessenza del malessere culturale che attanaglia le membra della nostra sventurata comunità occidentale, all’apice del vero capitalismo. La vita come un pendolo oscillante tra dolore e noia esistenziale, che cerchiamo tristemente di contrastare, affidandoci a gioie momentanee.

Vogliamo gli ultimi modelli di cose che già possediamo, traiamo piacere dalla loro acquisizione, lasciamo che l’inesorabile ci lasci rovinare disastrosamente nel nostro mal di vivere, salvo poi ricominciare a desiderare il modello successivo. Un blasfemo circolo vizioso, in cui accettiamo di buon grado il nostro ruolo.

Ovviamente non possiamo generalizzare, definendo ogni nostro simile come un guscio vuoto, incapace di pensiero autonomo, vittima della società. Molti sono persone con la testa sulle spalle. Ed è a loro, a coloro i quali riescono comunque a mantenere una propria identità nel mondo in cui vivono, che questo testo è rivolto. Le loro critiche derivano da semplice incomprensione, ed è questo a ferire maggiormente chi, speranzoso di essere riuscito a comprendere la più appropriata chiave di lettura, provi a renderli “consapevoli”. Hanno la capacità di capire, di comprendere l’empietà delle proprie azioni.

Come riuscite, seppur parzialmente, a non farvi trascinare dalla società, provate a non farvi trascinare dall’idea comune e dagli stereotipi su coloro i quali tentino di farlo a loro volta. Ridatevi il potere di poter sovvertire la condotta della vostra vita, siate servi e padroni di voi stessi, non dell’economia, non della religione, non della società.

Cedete all’anarchia costruttiva, accettate la vostra identità, ricercatela, trovatela, fatela fiorire. Siate i primi pilastri di una comunità rinnovata, mentalmente indipendente e singolarmente fortificata.

Marco Giovanelli e Lorenzo Lazzari, 4 e 5 B Scientifico

 

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