I social, la televisione e i mass media hanno introdotto un nuovo e pericoloso “oppio dei popoli”: la stereotipizzazione della perfezione. Come pecore che seguono il gregge seguiamo le tendenze del momento, ciò che i “pastori” vogliono che venga seguito e accettato. Proprio in questo mondo, il nostro mondo, la domanda sorge spontanea: è bello ciò che è bello, o ciò che ci piace?
Naturalmente esistono canoni di bellezza e perfezione rimasti immutati nel tempo e che, in quanto esseri umani, possediamo in modo intrinseco nel nostro essere. Questa ricerca del perfetto si è però trasformata in un mezzo di condizionamento, che porta l’uomo a unificarsi e a perdere la propria libertà di scelta: il perfetto è dettato dalla società. L’unica via che abbiamo per sfuggire alla asfissiante perfezione del mondo è la ricerca dell’imperfezione, possibile solo se possediamo un’autonomia intellettuale, ottenibile dalla conoscenza.
Se conosco posso scegliere senza legarmi agli impulsi della società, libero e autonomo. Posso trovare il vero, il sublime dell’imperfezione. Sembra troppo semplice. E infatti c’è un problema: il condizionamento sociale. Uscire dal gregge e trovare un terreno migliore rispetto al precedente porta, inevitabilmente, alla solitudine. L’uomo ha sempre cercato di identificarsi in qualcosa più grande di sé, di appartenervi. Cercare di non unificarsi porta alla libertà, ma anche alla consapevolezza di essere soli e abbandonati, alla comprensione che viviamo circondati da persone false che pur di non stare sole seguono il gregge, piegandosi alla massa.
L’oppio dei popoli oggi si identifica nel consumismo, avere e ottenere. L’uomo è guidato dal volere, impulso che una volta colmato ci porta a desiderare sempre di più. I peggiori orrori non sono da ricercare nella nostra mente o nella nostra immaginazione, ma nella quotidianità. L’umanità attua da tempo una “cospirazione contro se stessa”. Tutti coloro che non sopportano questo imponente macigno sulla schiena possono continuare questa cospirazione, piegarsi e continuare il proprio futile viaggio col gregge. Possono continuare a esistere nel divertissement, nasconderci dietro mille occupazioni per evitare di porsi il quesito fondamentale della vita: perché viviamo?
Questa domanda fondamentale porta inevitabilmente a comprendere la miseria della nostra esistenza. Un limbo infinito passato non a vivere, ma a sopravvivere. La razionalità del mondo odierno uccide la nostra immaginazione, la nostra voglia di scoprire, di pensare e di vivere.
L’uomo si crede padrone del mondo, crede di dominare cieli, mari e terre. Crede di aver reso il mondo un luogo perfetto, dove vivere è sempre più semplice, dove il suo dominio è assoluto. La realtà è ben diversa. Siamo un piccolo pianeta brulicante di vita, in un universo a noi ancora quasi completamente sconosciuto. In questa illusione gli uomini continuano a vivere indisturbati, senza porsi le domande corrette. Questo è l’habitat perfetto per la diffusione del fenomeno sopracitato. Come una pandemia ha colpito tutti noi e in ben pochi sono riusciti a sopravvivere. La massa non finirà mai di esistere, continuerà a trascendere in un continuo, infinito processo di rinnovazione: per questo la libertà non troverà mai spazio, lasciando posto al falso credere di vivere liberamente e di fare scelte con la propria testa.
Questa spirale infinita alimentata dalla “trappola della vita” ci seguirà in eterno, scandendo come un orologio i ritmi della nostra esistenza. Ritmi che ci portano al peggior male per l’uomo: la noia. La sensazione di essere completamente inutili, disinteressati ad ogni cosa.
Ci sentiamo come un marinaio che naviga in un mare di nebbia, senza alcun riferimento che lo possa portare a meta, senza una direzione precisa.
Ma la moderna società consumistica è riuscita apparentemente a distruggere il concetto di noia: i migliaia di stimoli che ci vengono da telefoni, pc e televisioni sostituiscono alla noia la manipolazione delle menti. Hanno distrutto il male peggiore per l’uomo per poi crearne uno più grande. Il gregge continua a pascolare, con tutte le teste piegate a brucare, a consumare, senza utilizzare la mente per trovare una via di fuga. Sguazzano in questa bugia, si credono felici, realizzati e pensano addirittura di contare qualcosa.
Parlo a voi, che avete scelto di abbandonare il gregge sapendo di incontrare la solitudine. Se siete pronti a sopportare questa verità allora dovete sapere che farete una vita che non sarà un “e vissero per sempre felici e contenti”. No. Assolutamente no. Ma, pensandoci, è meglio liberi e soli che prigionieri in compagnia.
Tommaso Santi, 4 B Scientifico