Le cure complementari sono trattamenti non riconosciuti ufficialmente dalla medicina occidentale ma che possono affiancare le terapie convenzionali; sono trattamenti naturali e olistici, perché il fulcro di queste cure non è la diagnosi del singolo sintomo, ma la valutazione della persona nella sua integrità. La medicina ufficiale invece si basa sul principio opposto usando farmaci che hanno un’azione contrapposta al sintomo per eliminarlo o attenuarlo, perciò è denominata anche “allopatia”; è quindi una medicina che identifica la malattia nei sintomi e l’obiettivo è sopprimerli.
Alcune cure olistiche affondano le radici in culture antichissime, come la medicina tradizionale cinese che ha più di 5000 anni, quella indiana, tibetana, dei nativi d’America: culture che hanno contribuito a offrirci uno spunto per una cura naturale della persona, poiché l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la salute non come semplice assenza di malattia, ma come stato di completo benessere fisico, psichico e sociale. Il grande concetto alla base di queste cure è la malattia come un’opportunità per aprirsi a nuove esperienze e acquisire strumenti e risorse che impattano sul proprio stato di salute psicofisica in modo “dolce” e appagante.
La medicina complementare, a mio parere, potrebbe entrare a far parte della medicina “classica” non sostituendola, ma completandola, poiché il fine ultimo di qualsiasi medicina dovrebbe essere quello di preservare e mantenere l’integrità fisica, psichica ed emotiva di una persona. Questi trattamenti infatti sono di supporto alle varie figure professionali sanitarie, come succede realmente in alcune parti del mondo. In Italia l’esempio più lampante è la Toscana, che da pochi anni ha introdotto in alcuni ospedali terapie come l’agopuntura, la riflessologia plantare e lo shiatsu.
Rachele Franzini, 3 A Scientifico