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Marcinelle, una miniera senza scampo

Posted by admin On Agosto - 22 - 2020

È l’8 agosto del 1956, siamo in una miniera di carbone belga situata a sud di Charleroi. Inizia una qualsiasi mattinata di lavoro per i minatori del luogo, che cominciano a scendere sottoterra verso le 7,30, come ogni giorno. Il percorso è lungo, 915 metri, e rallentato dalle fermate ai livelli dove i vari minatori lavorano quotidianamente. Sono costretti a lavorare ogni turno otto ore, in un buio quasi totale, avendo come luce solo le torce sui caschetti. Questa è la storia in cui decine e decine di persone, trasferitesi in Belgio da diversi Paesi, tra cui l’Italia, hanno dato la loro vita solo per il valore del carbone.

Quella mattina, dopo appena un’ora di lavoro, inizia l’inferno. Il terribile accaduto colpisce soprattutto l’Italia, nazione da cui centinaia di persone erano partite per andare a lavorare in Belgio fin dal 1946, in miniera. Il motivo di  questo emigrare in un altro Paese è la crisi del dopoguerra, momento in cui l’Italia in particolare si ritrova con poche risorse e tanta povertà, estremamente diffusa. Il governo pianifica una sorta di scambio con il Belgio: italiani sottoterra, rischiando la vita come minatori, e forniture del carbone estratto al governo italiano, in forma gratuita o quasi.

Tra le miniere del Belgio si trova anche quella di Marcinelle: una miniera di carbone costruita nel 1822 e mai ristrutturata, con sostegni ancora in legno e senza alcuna uscita di emergenza. Il peggio è che dal 1890 si parlava della chiusura di quel posto, senza però arrivare a una soluzione.

L’inizio dell’inferno è alle 8,15 di quell’8 agosto 1956, quando accidentalmente un carro di carbone spezza alcuni cavi elettrici, provocando una scintilla. Fatale. Inizia a espandersi il fuoco, alimentato dalla presenza di gas. Per 262 minatori di dodici diverse nazionalità che in quel momento si trovano al lavoro, tra i quali 136 immigrati italiani, non c’è nessuna via di scampo: tutti si trovano a enorme profondità, tra i 200 e i 915 metri.

Dopo qualche minuto dall’accaduto, il fumo delle fiamme esce al di fuori della miniera: ormai è quasi impossibile che qualcuno sia ancora in vita. Solo quelli che si trovano più vicini all’uscita, quindi a poca profondità, riescono a scappare, anche se con ferite più o meno gravi: solo 13 persone si salvano, mentre per il resto dei minatori non si può fare proprio nulla.

I soccorritori arrivano e provano per una ventina di giorni a vedere se qualcuno, miracolosamente, si sia salvato, ma niente da fare. Nei giorni successivi arrivano le condoglianze da parte del governo belga e italiano, e a Bruxelles si decide di attrezzare i minatori di maschere anti-gas e di chiudere la miniera di Marcinelle.

Non solo avviene questo, ma negli anni successivi una buona parte delle miniere saranno dotate di un’uscita di emergenza e di strutture di sostegno interamente restaurate. Un noto complesso musicale, i “New Trolls”, scrive uno stupendo brano dedicato proprio a questa tragedia, “Una miniera”.

Al giorno d’oggi è aperto e visitabile un museo nelle vicinanze della miniera, dove si mostrano e si raccontano i bruttissimi momenti della tragedia e, soprattutto, si possono vedere i volti delle persone che sacrificarono la loro vita quel giorno.

Non c’è solo Marcinelle come testimonianza storica di eventi del genere, che hanno portato alla morte di centinaia di persone che si guadagnavano la vita lavorando sottoterra. Anche negli Stati Uniti, a Dawson e Monongah (1907 e 1913), avvennero enormi catastrofi, con centinaia e centinaia di morti tra i minatori di decine di nazionalità, tra i quali – di nuovo – molti immigrati italiani.

Purtroppo questi fatti non possono essere cambiati, ma il valore delle persone che hanno dato la vita perché altre avessero un lavoro più sicuro e meno pericoloso – anche se il rischio c’è sempre – va ricordato.

Alberto Julio Grassi, 2 A Scientifico

 

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