L’11 e il 12 novembre ricorreva il cinquantottesimo anniversario di una delle pagine più buie e tristi della storia dell’Aeronautica Italiana, specialmente quella militare. Si tratta dell’eccidio di Kindu del 1961, ben poco ricordato dai media.
Il luogo della tragedia è, appunto, la città congolese di Kindu, nella provincia del Maniema, non lontano dal Katanga. All’epoca nel Congo Belga c’era la guerra civile tra le fazioni a favore del governo centrale, sostenute dagli USA e l’ONU, e quelle per il governo indipendentista, sostenute dall’URSS.
Dall’Italia partirono per una missione di pace (rifornimento in particolare), due aerei C-119 della 46° Brigata di Pisa. L’equipaggio italiano, composto da 13 membri, era stanziato da circa un anno in Congo. Il primo aereo (C-119 Lyra 5) era comandato dal comandante della missione, il maggiore pilota Amedeo Parmeggiani, accompagnato dagli aviatori sottotenente pilota Onorio De Luca, tenente medico Paolo Remotti, maresciallo motorista Nazzareno Quadrumani, sergente maggiore Silvestro Possenti, sergente maggiore Martano Marcacci e sergente marconista Francesco Paga. Nell’altro aerotrasporto (C-119 Lyra 33) erano a bordo il capitano pilota Giorgio Gonelli, con gli aviatori sottotenente pilota Giulio Garbati, maresciallo motorista Filippo Di Giovanni, sergente maggiore Nicola Stigliani, sergente maggiore Armando Fabi e sergente marconista Antonio Mamone.
Tutti questi militari partirono con i C-119 da Leopoldville (attuale Kinshasa), in direzione Kindu, confinante con la regione nemica del Katanga: non potevano sapere che non sarebbero mai più tornati. Ad aspettarli erano gli alleati malesi che facevano da guardia dell’aeroporto locale, ma qualcosa andò storto. I soldati congolesi del governo centrale, confusero i C-119 con aerei nemici pieni di soldati paracadutisti, e diedero così il via all’irruzione nell’aeroporto di Kindu per catturarli.
Il comandante malese provò a convincere il corrispettivo congolese che si trattava di alleati, però non ci fu nulla da fare: uno di loro, il tenente medico Remotti, venne ucciso sul posto e gli altri costretti a portare il suo corpo con loro nella piccola prigione cittadina. Lì un gruppo di soldati congolesi li raggiunse e li uccise a colpi di mitra: una prima ricostruzione affermava che i loro corpi sarebbero poi stati mutilati e addirittura cucinati, ma i successivi accertamenti dell’Onu, anche grazie a due italiani residenti in zona, permisero di scoprire che erano stati portati in una fossa comune a poca distanza da un fiume della zona. Nel 1994 è stata loro conferita la medaglia d’oro al valor militare.
Alberto Julio Grassi, 2 A Scientifico