Una vita dedicata alla musica e poi puff… l’inizio di una malattia neuro degenerativa che rende sofferenza la tua più grande passione, il tuo grande amore.
È questa la storia di Ezio Bosso, quarantottenne Torinese, noto pianista e direttore d’orchestra. Nella sua vita ha collaborato con le più grandi orchestre a livello internazionale. Sul suo curriculum compaiono voci come primo direttore d’orchestra sinfonica RAI, svariati dischi incisi da solista e migliaia di concerti in tutto il mondo alle spalle.
Si presenta alla conferenza, nella sede di Cremona Fiere durante la “Festa della Musica”, sulla sedia a rotelle che lo contraddistingue, accompagnato da sua madre e dal suo cagnolino, con un abbigliamento che lo fa sembrare un metallaro anni ’70: jeans rotti, giacca di pelle e guanti da biker con centinaia di borchie sono solo alcuni degli elementi particolari della personalità di questo direttore d’orchestra dall’immenso carisma.
Una persona molto difficile e dura con se stessa, determinata a non arrendersi alla sua malattia, ma consapevole che prima o poi ne sarà totalmente succube. Apre la conferenza con una frase piuttosto particolare e al tempo stesso struggente, accompagnata da un filo di rabbia e da parecchie lacrime: “Io non suono più, ma non è che non suono perché non voglio, non suono perché non posso. Aldilà del dolore fisico che provo quando trasformo le note in suoni, quel che mi fa più male è che io sia considerato solo per la malattia che ho e non per la mia bravura. La gente viene ai miei concerti e si commuove per come suono solo perché ci sono io che sto male, questa è la verità, e non mi va di essere uno spettacolo commovente in quanto triste. Ho altro da dare alla musica, è troppo il mio rispetto verso di lei. Ed è proprio in questa occasione, per il motivo appena spiegato, che voglio implorare tutte le trasmissioni televisive a non invitarmi più a suonare. Se davvero mi volete bene non fatelo”.
L’applauso in sala dopo la sua affermazione sarebbe stato degno di una prima della Scala ed Ezio, in breve tempo, rientra in se stesso e ha portato avanti la conferenza, che trattava della musica per pianoforte di Beethoven e dei suoi impegni da direttore. “Chiedermi quale sia il mio compositore preferito sarebbe come chiedere a un bambino piccolo quale dei due genitori preferisce. È una risposta impossibile per me da dare. Posso solo dire che l’autore che più mi ha dato in termini di ispirazione musicale e al quale mi aggrappo nei momenti di difficoltà è Ludwig van. Beethoven, senza alcun dubbio”.
Dopo un’ora e mezza di monologo, piena di passione ed eseguito con non poca difficoltà a causa della malattia che non gli permette di parlare correttamente, arriva il momento della premiazione. Ricevutolo dal direttore di Rai Tre, Ezio solleva il premio televisivo, a testimonianza che anche in televisione il mondo della musica classica riesce ad attirare l’attenzione dei più facendo record di share.
L’umore di Ezio però rimane alto per poco tempo. Appena svanita l’effimera felicità dovuta al momento della premiazione ritorna a parlare di quanto detesti parlare in pubblico. È seduto su una sedia di plastica ed è molto nervoso. Essendo neuro diverso, sul suo volto i segni del nervosismo si percepiscono a prima vista. Smorfie continue che sembrano quasi tic rovinano il suo volto. Arriva poi il momento delle domande: Ezio è teso, dice che non sopporta questo tipo di cose.
Non riesco a fare a meno però di porgli un quesito. Quando alzo la mano per fare la domanda lui mi guarda, con uno sguardo che era un misto fra ansia e nervoso. Decide comunque di ascoltarmi, è una persona molto disponibile. Soltanto quando capisce che la mia è semplicemente una curiosità puramente teorica riguardante il minuetto 21 in C maggiore del grande Beethoven un sorriso compare sul suo volto. Si aspettava che gli chiedessi della sua malattia e di com’è cambiato il suo modo di suonare nel corso del tempo. Mi risponde felicissimo e con l’entusiasmo tipico di chi ama ciò che fa.
Terminata la conferenza mi fermo nella sala assieme ad Ezio e Mario Caroli, noto flautista a livello mondiale, con il quale condivido un legame di parentela, e aiuto il pianista a rimettersi sulla sedia a rotelle. Sono le 13, la fame è tanta. Assieme a Caroli e Bosso mi reco al ristorante ed è proprio in questo luogo che conosco la parte più umana del pianista. Una vita guidata da un fantastico pensiero filosofico che lo rende la persona che è.
Nonostante la grande sfortuna, dice di essere felicissimo della sua vita, estremamente ricca di soddisfazioni e di emozioni. Ricorda i tempi in cui la malattia non era altro che un brutto pensiero che non lo riguardava, quando portava i capelli lunghi e poteva permettersi di fare ore e ore di concerti da solista o da direttore. “Qualsiasi cosa possa accadere al mio corpo non potrà mai fermare la mia sete di musica. Non smetterò mai di vivere della sua essenza, cambierà solo il modo in cui la faccio. Questa è una promessa.”
Federico Martini, 5 A Scientifico