Don Ernest è stato arrestato nel 1963: 28 anni di carcere duro e lavori forzati. Nel 2014 il Papa lo incontra e nel 2016 lo fa cardinale. Incontrare il cardinale Ernest Simoni, 88 anni, l’unico sacerdote ancora vivente che sia sopravvissuto ai lager dell’Albania comunista e dunque testimone della persecuzione del regime di Enver Hoxha, è una grazia. Don Ernest è un martire vivente, accusato di propaganda della fede contro il popolo e le autorità comuniste. La sua vita ha qualcosa di straordinario.
Don Ernest, cosa vuol dire essere cardinale, per lei, dopo 28 anni di carcere e una vita da sacerdote?
Sono stato ordinato nel 1963 quindi ho quasi 60 anni di sacerdozio. La nomina a cardinale è stata una notizia improvvisa, appresa seguendo l’Angelus del Papa mentre ero a Pistoia. Poco tempo prima ero stato ospite a Assisi alla Giornata Mondiale di preghiera per la Pace, a cui ha partecipato papa Francesco. In quell’occasione, mi hanno offerto a pranzo un posto preciso in una sala di 1000 persone. Dietro di me c’erano ambasciatori, cardinali, prelati. Quando è arrivato il Papa ho capito che si sarebbe seduto accanto a me con alla sua destra il Patriarca ecumenico ortodosso Bartolomeo. Ma la ragione vera di così tanto onore l’ho scoperta solo quando ho appreso della nomina a cardinale, poco tempo dopo.
In quel carcere le fu possibile amare i propri nemici?
Gesù ci ha detto “come hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. Cristo è con tutti coloro che credono, lo amano, lo seguono, si mortificano per Lui. Noi dobbiamo amare i nemici, questo ci chiede Cristo. Io penso spesso di essermi salvato dalla condanna a morte proprio per questa ragione, per aver amato i nemici.
Padre Ernest, come viveva la fede durante la detenzione?
Ai lavori forzati, sia in miniera sia nelle fogne, pregavo ogni giorno. Gesù era vivo con me, con gli altri detenuti, dove ci trovavamo, nelle opere con cui gli rendevamo testimonianza. Si recitava il rosario tre volte al giorno per salvare noi stessi e l’umanità con noi, mortificandoci. “Con la penitenza è la preghiera potette godere la pace”, ha detto la Vergine Maria a Fatima: noi in carcere abbiamo sperimentato uno stato di pace. Ma questo vale anche oggi: pregare la Madonna per salvare ogni uomo.
Negli anni del lager come ha vissuto il ministero di prete?
Il Signore mi ha aiutato a celebrare la messa in latino. Spremevo l’uva in un bicchiere e potevo cuocere un po’ di pane nei piccolissimi fornelli che avevamo nel campo. Piangevo io e piangevano quelli che partecipavano alla Messa. Anche i detenuti mussulmani.
C’erano dunque anche musulmani nel campo con lei?
C’erano professori che erano stati arrestati. Piangevano e mi aiutavano a celebrare, portandomi l’uva. Credevano in Dio, secondo la loro religione. In quegli anni ho pure confessato, mi sono impegnato per riconciliare e per aiutare spiritualmente le persone, perché si vivevano momenti molto difficili. Anche davanti alla morte. In quelle miniere di pietre e di rame, ai lavori forzati, eravamo in 600: bastava la caduta di qualche masso e ci sarebbero stati dei morti. Inoltre le condizioni di vita erano estreme. Alla fine siamo usciti tutti sani e salvi. Abbiamo bevuto acqua piena di solfati, proveniente dai campi limitrofi, eppure a nessuno di noi è accaduto qualcosa. Eravamo protetti da Cristo. I guardiani non volevano avvelenarci, ma le miniere erano pericolose, sorgevano in una zona malsana, c’erano vapori che uscivano dai tunnel. Erano veleni che respiravamo, eppure siamo usciti tutti vivi da lì. Il Signore ci ha protetti.
Dopo 18 anni è uscito per un breve periodo. E poi?
Dopo 18 anni sono stato liberato, ma ricondannato di nuovo perché mi consideravano “nemico giurato”. “Ti impiccheremo se celebrerai messa o farai altre attività con i cattolici”, mi dissero. Ma quando fui condannato a lavorare nelle fogne e nei canali, di notte mi misi a disposizione per svolgere diversi servizi. Celebravo nelle fogne, ho confessato e ho distribuito la comunione, una volta ho celebrato una messa con 180 persone. Se il partito comunista l’avesse saputo mi avrebbe fatto impiccare
Poi è arrivato il 1991 con la libertà di culto. Come ha vissuto l’evento?
Nei giorni precedenti fui chiamato dalla polizia segreta. Rimasi per 5 ore, la mia famiglia temeva che mi avessero arrestato ancora. Poi mi venne comunicato dal comandante che si volevano aprire le chiese e che i poliziotti si sarebbero messi a disposizione per garantire la libertà di culto. Per me fu un miracolo! Mi chiesero di firmare un documento per questo, ma io dissi che ero un semplice prete, dovevano rivolgersi al Vaticano per un accordo ufficiale.
Lei voleva l’ufficialità, senza il Papa non c’è Chiesa…
Infatti ho fatto così e il 4 novembre 1991, nell’ufficialità confermata dalla Santa Sede, si poterono riaprire le chiese: venne la polizia a proteggere i fedeli, nel caso ci fossero state delle intemperanze, ma non ci fu bisogno. Fu un miracolo: pensate che da noi bastava semplicemente fare il segno della croce per ricevere una pena di 10 anni di carcere!
E dopo cosa avvenne in Albania?
Celebravo le messe in campagna e nei villaggi. Andai in udienza dal Santo Padre Giovanni Paolo II. Lì ricevetti il permesso di celebrare fino a cinque messe al giorno viste le necessità della gente. Ma spesso ne celebravo anche sette. Il popolo correva per incontrare i sacerdoti, la gente era assetata di Dio.
Guido Junior Maria Pedone, 3 B Ls