Dall’Aeronautico alla Marina: come è successo? Tutto ha avuto inizio a giugno quando il Ministero della gioventù e quello della Difesa hanno pubblicato il bando per i corsi velici della Marina Militare a Venezia (scuola navale militare Morosini), Livorno (accademia navale) e La Maddalena (accademia sotto-ufficiali), e ho deciso di partecipare.
Le domande provenivano da ogni angolo del nostro “stivale” e su migliaia che erano solo 350 venivano ammesse. Due settimane prima della partenza ho saputo di essere stata selezionata e che sarei stata una dei fortunati a partecipare ai corsi velici: ho fatto salti di gioia e non vedevo l’ora di iniziare questa avventura in un mondo che, fino a poco fa, mi era estraneo, avendo interessi volti più all’aeronautica.
L’11 luglio, io con la mia valigia rossa, accompagnata da mio padre ho preso il treno diretto a Brescia, dove avremmo poi preso il treno Frecciarossa che ci avrebbe portato a Venezia. A Brescia abbiamo incontrato Laura, anche lei partecipante ai corsi: durante il viaggio abbiamo fatto conoscenza e parlato anche di cosa ci saremmo aspettate da questa esperienza. A Venezia abbiamo poi raggiunto il vaporetto che ci avrebbe portato sull’isola di Sant’Elena, dove è situata la scuola: durante il tragitto abbiamo potuto godere delle bellezze artistiche e del fascino della città. Mezz’ora dopo siamo arrivati all’isola di Sant’Elena: piccolina ma graziosa e accogliente, piena di vegetazione e di campetti dove giocare. Una volta sulla via principale, sul fondo si vedeva la Scuola: cominciavo a entusiasmarmi di più e il cuore mi batteva a mille. Avvicinandoci vedevamo dei ragazzi con i loro familiari seduti sulle panchine nei pressi della scuola; la gente continuava ad arrivare e, man mano, ci conoscevamo e scambiavamo qualche chiacchiera.
I cancelli si sono aperti alle 14: 40 ragazzi (20 ragazze e 20 ragazzi) stavano entrando nell’accademia dove avrebbero vissuto 10 giorni che avrebbero segnato le loro vite per sempre.
All’entrata c’erano 3 ragazzi e 3 ragazze del primo anno dell’accademia che ci hanno accolto e condotto a piccoli gruppi nell’edificio, precisamente nella sala giochi, dove gli istruttori hanno preso i nostri documenti e ci hanno consegnato la divisa per la franchigia), una sacca, libro di testo per la teoria e una scotta (termine tecnico marinaio che sta per cordino). Successivamente siamo saliti nelle camere dove i nostri supervisori ci hanno mostrato come fare il letto con il “risvoltino” (dritto e senza piegature, in pratica perfetto), come fare il cubo del letto (piegare precisamente le lenzuola, metterle a capo del letto con sopra il cuscino) che doveva essere fatto ogni mattino, e il cubo dei vestiti che doveva essere fatto invece ogni sera prima di andare a letto. Una volta spiegate regole e orari, ci hanno dato 10 minuti per fare il letto, vestirci con maglietta bianca, pantaloncini blu, calzini bianchi, scarpe bianche e (per le ragazze) con i capelli legati: il nostro abbigliamento di tutti i giorni. Poi alcuni supervisori hanno cominciato a controllare se tutto fosse in ordine, mentre altri verificavano il nostro vestiario.
Poi siamo scesi e istruttori e comandante ci hanno introdotto il corso. Alle 19 in punto la cena e subito dopo la prima lezione teorica di vela: eravamo stanchi per la giornata faticosa, piena di emozioni e “traumi” e a malapena riuscivamo a seguire la spiegazione degli istruttori. Alle 22,50 siamo saliti e in 10 minuti abbiamo dovuto fare la doccia (in ogni camera 4 persone e due docce) e prepararci per andare a letto. Pensate, nemmeno il tempo per contattare i nostri genitori.
Ecco la giornata tipo. Alle 7 in punto i nostri supervisori ci svegliavano urlando per i corridoi: “Sveglia! Sveglia! Avete 15 minuti per fare il cubo, lavarvi, vestirvi e fare il letto!”. Noi scattavamo e iniziavamo a far tutto. Nel frattempo uno dei supervisori entrava per controllare i cubi: se ben fatti metteva i cuscini sul materasso, altrimenti era tutto da rifare. Terminati i 15 minuti, dovevamo essere fuori schierati mentre i supervisori controllavano i letti e l’ordine dei bagni: se trovavano il letto fatto male, lo disfacevano e ci richiamavano a rifarlo in 2 minuti. Finita l’ispezione alzabandiera, inno d’Italia e infine in mensa per la colazione. Finita la colazione un’ora di lezione sugli esercizi che avremmo dovuto fare in barca e le informazioni base sulla vela.
Ci recavamo quindi al lido di Venezia: una parte di tragitto col vaporetto della scuola (i più fortunati in gommone) e l’altra a piedi. Arrivati al lido ci cambiavamo con scarpette da scoglio, salvagenti, cappellini, occhiali da sole e molta crema solare per evitare scottature. Ogni equipaggio spingeva fino a riva la propria barca, la armavamo e andavamo in mare aperto senza istruttori (con gli istruttori solo i primi 3 giorni). Alle 12 circa tornavamo in spiaggia e si mangiava: finito il pranzo gli istruttori ci spiegavano quello che avremmo dovuto fare nel pomeriggio e, dopo neanche un’ora e mezza, eravamo di nuovo in mare. Per le 16,30/17 dovevamo rientrare in spiaggia, disarmare le barche, riportarle dove erano il mattino e risistemarci per far rientro a scuola.
Nella sezione velica, gli istruttori facevano il punto della situazione e un’analisi della giornata e poi in mezz’ora dovevamo farci la doccia e vestirci con la divisa della marina per la franchigia. Alle 19 scendevamo per cenare: prima di iniziare qualsiasi pasto dovevamo stare davanti ai tavoli in posizione di riposo e un ragazzo presentava a un superiore in mensa ordinandoci: “A-ttenti!” Poi si girava verso il superiore dicendo: “Mensa Allievi” e il superiore rispondeva: “Grazie, seduti” e noi tutti, ancora sull’attenti ci rivolgevamo al capo tavola che poi ci dava il permesso di sederci. Non bisognava far rumore con la sedia: dovevamo sollevarla con una mano, avvicinarla a noi mentre ci sedevamo. Una volta preso il pasto dovevamo aspettare che tutti i componenti della tavolata ci fossero. In caso fossimo i primi a usare qualcosa, ad esempio la brocca d’acqua, dovevamo chiedere al capotavola: “Posso iniziare l’acqua?”; mentre nel caso in cui fosse al termine dovevamo chiedere: “Posso finire l’acqua?”. Se dovevamo alzarci da tavola per prendere il bis dovevamo chiedere il permesso. Per iniziare il secondo o la frutta dovevamo aspettare che tutti finissero il pasto. Inoltre a tavola si stava con i piedi uniti, la schiena dritta appoggiata allo schienale, i gomiti chiusi e mani sempre sul tavolo. La parte più critica e (in un certo senso) divertente del pasto era il momento della frutta. Vi starete chiedendo il perché. Ora vi spiego: la frutta più piccola del palmo della mano si poteva mangiare con le mani, mentre la frutta più grande del palmo della mano (come mela, pera, banana) dovevamo mangiarla con le posate: una cosa impensabile ma obbligatoria. In quel momento, pezzi di mela che schizzavano, rumori metallici che riempivano la sala…ma a forza di farlo eravamo diventati quasi degli esperti. Finito il tutto si faceva la stessa presentazione dell’inizio e si sparecchiava. Dopo cena ammainavamo la bandiera, segnavamo l’orario di franchigia e in gruppo uscivamo in centro Venezia.
Era la parte direi fondamentale della giornata, dove potevamo chiamare le nostre famiglie e amici ed era uno dei pochissimi momenti dove potevamo conoscerci meglio tra noi ragazzi. Per le 22,30 ritornavamo in accademia e per le 23 dovevamo essere già a letto.
Come vedete le nostre giornate erano molto organizzate e non esistevano tempi morti. La domenica è stata la giornata di riposo e abbiamo visitato la città di Venezia, in particolare l’Arsenale, il museo storico navale e il campanile di San Marco, dove abbiamo potuto ammirare dall’alto l’intera città di Venezia e scattare tante foto.
L’ultimo giorno è stato molto speciale: al mattino abbiamo fatto una regata, cioè la gara di barca a vela: 8 equipaggi composti da 5 persone e uno (il mio) da 4 perché una ragazza che non aveva il vaccino antitetanico si era dovuta ritirare il secondo giorno. È durata tutta mattina e, dopo tante fatiche, il mio equipaggio ha vinto: eravamo così felici che arrivati a riva ci siamo dati un lungo abbraccio di gruppo. All’inizio è stata dura essere organizzati e controllare le nostre emozioni in alto mare, ma lavorandoci assieme ce l’abbiamo fatta.
Al pomeriggio, dopo pranzo, siamo tornati all’accademia sulle nostre barche e per un tratto da soli; ma nella barca del mio equipaggio si erano rotte alcune cime e scotte, quindi abbiamo dovuto essere aiutati da un istruttore. Nella zona velica abbiamo disarmato le barche, le abbiamo lavate e abbiamo messo in ordine ogni componente.
Il comandante ci ha fatto un discorso di fine corso e ci hanno consegnato gli attestati di partecipazione, le tessere FIV (federazione italiana vela) e le medaglie agli equipaggi classificati nelle prime tre posizioni. Poi la premiazione: in sala giochi ci aspettava un buffet molto ricco e gustoso. La mattina dopo, la partenza verso casa.
È stata un’esperienza incredibile e unica non solo perché abbiamo fatto un corso di vela in un’accademia militare, ma anche per le persone che ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere e per lo stile di vita che conducevamo. I primi due giorni devo dire che sono stati tosti e, per alcuni ragazzi, molto ma molto difficili, perché vivevamo praticamente una vita militare dove tutti i programmi erano scanditi e non bisognava sforare: ad esempio per noi ragazze è stato difficile gestire la questione dei capelli da asciugare e, la maggior parte delle volte, li lasciavamo umidi.
All’inizio inoltre i nostri supervisori erano molto severi e rigidi, non ridevano mai, per ogni piccola cosa ci riprendevano e noi non potevamo fare nulla perché, nonostante avessero la nostra stessa età, dentro la scuola erano i nostri superiori, e dovevamo sottostare ai loro ordini; nei giorni successivi fortunatamente si sono sciolti e sono diventati più “umani” e, addirittura, sono diventati nostri amici.
Un’altra cosa che per alcuni rendeva difficili le giornate era l’assenza del cellulare che potevamo usare solo di sera per chiamare i nostri genitori e amici durante il tempo libero.
I nostri istruttori sono stati di una professionalità eccezionale e sempre disponibili in caso di necessità. Poi i ragazzi: ognuno con i propri pregi e difetti, diversi e particolari nella personalità, sono stati fantastici e, onestamente, non sono stata mai così legata a un gruppo. Eravamo molto uniti: ci aiutavamo, ci sostenevamo nei momenti difficili, tutti parlavano con tutti, giocavamo, ridevamo, scherzavamo e abbiamo vissuto insieme avventure e disavventure. È stato difficile lasciarci: quasi tutti piangevano e gli abbracci erano lunghi e intensi, segno dello stretto legame che si era instaurato. Abbiamo passato momenti indimenticabili insieme che non scorderò mai.
Consiglio di intraprendere questa esperienza a coloro che abbiano la voglia e la curiosità di scoprire e vivere (anche se per pochi giorni) la vita militare e sperimentare un’esperienza educativa-sportiva, soprattutto a chi pensa di intraprendere la carriera militare, per potervi fare un’idea generale.
Celine Polepole, 3 B Scientifico