Numerose sono le pagine che compongono il grande libro della Storia e ognuna di esse porta con sé le memorie di antiche popolazioni: i loro segreti, gli ideali che li muovevano, le ombre più buie della loro storia, le innovazioni che donarono alle generazioni successive e, soprattutto, le storie degli uomini che le guidarono attraverso i tortuosi sentieri del destino portandoli, per un motivo o per l’altro, a essere ricordati dai posteri.
In questo tomo ricolmo di verità e menzogne in egual misura, molte facciate sono occupate dal ricordo dell’impero più grande fra tutti: l’Impero Romano. Talmente esteso che sulle sue terre mai tramontava il Sole, grandioso quanto controverso, civilizzatore e oppressore al tempo stesso, talmente magnifico che gli Dei stessi non osarono porvi limite in durata ed estensione.
Nel corso della sua lunga vita, al suo comando si susseguirono molti uomini degni di potersi fregiare del titolo di imperatore. Essi furono coloro che guidarono le legioni romane alla conquista di nuove terre, che eressero monumenti talmente eleganti e sontuosi da fare invidia alle costruzioni dell’Olimpo stesso, che permisero la fioritura delle arti, un fiore fino ad allora giovane e umile che crebbe a dismisura diventando raffinato e stupendo, tanto che le muse stesse lo usarono per adornare le fluenti chiome.
Ma a queste luminose figure si accostarono anche le tenebre di altri individui, vili e sanguinari, che passarono alla storia non per le grandi imprese ma per i comportamenti immorali, folli e cruenti che caratterizzarono il loro regno.
Fra costoro, due sono i nomi che portano con sé un alone di tenebra talmente scura e cupa che persino l’eterna notte dell’Ade impallidisce al loro confronto: Caligola e Nerone.
Basta udire il nome del primo perché nella nostra mente appaia l’immagine del Senato di Roma affollato di funzionari con gli occhi sgranati dallo stupore e lo sguardo fisso verso il centro della sala dove l’imperatore pone una corona d’alloro sul capo del proprio cavallo, nominandolo senatore al pari dei presenti.
Il nome del secondo evoca parimenti una scena inverosimile, ma ancora più brutale e scioccante della precedente: la notte illuminata a giorno dall’incendio che divora l’Urbe, le fiamme divampano e stringono nel loro mortale abbraccio monumenti, costruzioni, uomini… mentre su un colle, una losca figura avvolta dalle tenebre, ammira la catastrofe accompagnandola con la triste e cupa melodia della sua cetra, le cui note, diffondendosi nel cielo notturno, sembrano quasi incitar le fiamme a divampare ancor più violentemente.
Questo almeno è ciò che riportano le fonti filo-senatorie, le uniche disponibili dato che all’epoca gli unici in possesso delle capacità necessarie per scrivere e interpretare i fatti erano gli appartenenti alle classi aristocratiche, i quali oltretutto consideravano la produzione storiografica una naturale prosecuzione della carriera politica, laddove il sopraggiungere della vecchiaia impediva all’uomo di dedicarsi attivamente alla politica.
Tuttavia la realtà dei fatti è molto distante da ciò che abbiamo studiato attraverso le informazioni forniteci dal Senato.
Infatti basta pensare al nome dell’imperatore Caligola, il cui vero nome era Caio Giulio Cesare Germanico, per trovare una prova dell’amore che il popolo e l’esercito provavano per lui. Difatti “Caligola” era un amorevole soprannome affibbiatogli dai legionari delle truppe di Germania di cui suo padre era il comandante. Siccome il piccolo Caio aveva trascorso la prima infanzia nel loro accampamento, era diventato la mascotte dello legionari ed essi vi si erano affezionati a tal punto da volerlo vestire come se fosse un piccolo soldato e dunque gli avevano fabbricato delle calzature militari (che in latino si chiamano caligae) in miniatura (caligulae sarebbe dunque il diminutivo)
Ancora prima di diventare imperatore Caligola affrontò numerosi lutti, tra cui quello del padre Germanico e dei fratelli maggiori, perciò passò gran parte della propria giovinezza nascosto nella casa di sua nonna Antonia, di modo da essere al sicuro da un eventuale congiura dell’imperatore Tiberio, responsabile della morte di buona parte della sua famiglia.
Una volta salito al potere, però, la sorte non gli arrise: difatti poco tempo dopo la sua nomina venne colto da un malore che lo portò a un passo dalla morte e mentre Caligola veniva corteggiato da Thanatos i senatori, desiderosi di recuperare il potere e il prestigio perso dall’ascesa di Augusto, progettarono una congiura al fine di detronizzarlo. Tuttavia Caio inaspettatamente sopravvisse alla malattia e, venuto a conoscenza della congiura, condannò e fece giustiziare tutti i senatori coinvolti: purtroppo però da questo momento Caligola vivrà costantemente nel terrore delle congiure organizzate a suo danno.
In seguito a questo evento l’imperatore si allontanò sempre più dal Senato, ormai corrotto e avido di potere, preferendo avvicinarsi ai ceti subalterni per cui attuò varie riforme rivolte al miglioramento dei giochi, per cui la plebe stravedeva. Il Senato non accettò la politica filo-popolare attuata da Caio, che tuttavia non smise mai di schierarsi dalla parte del popolo arrivando persino al punto di condurre un’arringa diffamatoria nei confronti dei senatori, in cui li accusava di essere corrotti, avidi e immorali. Fu proprio da questa arringa che nacque il pettegolezzo dell’elezione a senatore del cavallo di Caligola. Fatto che, se contestualizzato correttamente, non tradisce più alcun segno di follia.
Il rapporto fra imperatore e Senato continuò a incrinarsi finché i patres non riuscirono ad attuare una congiura ai danni di Caio, che infatti venne assassinato nel 41 dopo Cristo nei pressi del teatro. Tredici anni più tardi divenne imperatore Nerone, figlio della sorella di Caligola. L’imperatore attuò una politica filo-popolare attraverso una riforma monetaria volta a svalutare il solidum aureum, moneta utilizzata dai ceti aristocratici, e a incrementare invece il potere d’acquisto del solidum argenteum, moneta utilizzata dai ceti subalterni. Con questo provvedimento di natura economico-finanziaria, l’imperatore si attirò le ire della classe dirigente.
Inoltre, sempre allo scopo di diminuire le diseguaglianze sociali, Nerone elargì grosse somme di denaro alla plebe per fornirle i mezzi necessari per migliorare le proprie condizioni di vita.
Eppure, nonostante il grande impegno da parte di Nerone per far prosperare Roma e i suoi abitanti, il Senato, corrotto e insensibile al problema della disuguaglianza sociale, non riuscì ad apprezzare le riforme da lui attuate. Infatti, alla morte dell’imperatore, il Senato proseguì nella demonizzazione della sua figura come precedentemente fece per Caligola, arrivando persino a incolparlo di aver incendiato Roma e di aver comprato i terreni carbonizzati per espandere i giardini della propria domus mentre sappiamo che gli incendi erano invece molto frequenti nell’Urbe e che Nerone acquistò i terreni per evitare ai fittavoli una grossa perdita finanziaria giacché tali terreni si sarebbero svalutati.
Conoscendo la verità su questi due imperatori rimasti vittime della storiografia, i dubbi iniziano ad assalire la mente: ci si chiede per quale motivo l’immagine di questi due uomini, colpevoli di aver tentato di migliorare le condizioni di vita del proprio popolo senza prestare attenzione a coloro che già conducevano una vita agiata, sia stata traviata e demonizzata fino a farci credere che siano stati dei mostri. Alla luce di una più attenta rilettura dei fatti storici, Caligola e Nerone non risultano più essere degli “imperatori mostri”, ma divengono l’esempio perfetto di vittime della “mostruosità del potere”. Nonostante essi possedessero il potere assoluto e lo abbiano utilizzato per il bene del popolo, tuttavia divennero il bersaglio del disprezzo dei nobili, che scrissero poi la storia e infangarono la memoria dei due imperatori.
Gioele Valesini, Federico Vavassori, 2 A Quadriennale