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Agnes, sogno della vita: fino alla fine

Posted by admin On Giugno - 27 - 2017

Non la vedo più. Probabilmente ha girato l’angolo per vedere il suo amico con il quale gioca sempre un po’ fino a quando non la chiamo.

Allora io fischio, un suono netto, uniforme, breve ma al contempo pieno di autorità, e Agnes torna scodinzolando allegramente. In ogni via saluto qualcuno: facce note ormai da anni e facce sbiadite dall’età che avanza e dalla vista che non le sta più dietro.

Vedo al bar il solito Gigino che, nonostante fosse mattina, già aveva una discreta serie di calici vuoti in fronte a sé. Proseguo e in lontananza sento le urla amichevoli del fruttivendolo che tenta in ogni modo a vendere le sue squisite pesche.

Ogni giorno mi aspetto di incontrare Giacomo seduto a giocare a carte al bar “All’angolo” che mi invita per una partita come faceva sempre, ma ogni volta una cupa verità mi sovrasta: ormai non è più con noi. E passo oltre.

Incontro anche persone nuove che saluto cordialmente con un mezzo inchino nonostante la mia schiena dolorante e tutta ingobbita si lamenti a ogni sforzo.

Intravedo la mia destinazione: più passano gli anni più la fatica aumenta, ma a questo ormai ci sono abituato da tempo. Mi siedo e come al solito Agnes si sdraia stanca al mio fianco. Tiro fuori la mia canna da pesca, ormai un pezzo di antiquariato, e getto la lenza nel laghetto, se così si può ancora chiamare.

Ho deciso di insegnare ad Agnes a pescare e ogni tanto le parlo anche per molto tempo spiegandole ogni singolo trucchetto, ma lei mi sorride con la lingua di fuori e lo sguardo divertito a tutti quegli strani gesti.

Quel giorno però è diverso. Il cielo è coperto, ma non da nuvole: è come se ci sia uno strato di fumo che arresta il mio sguardo volto all’insù. Il laghetto è grigio e torbido. La sua superficie è mossa da un leggera brezza abbastanza fredda da farmi rabbrividire. Sento che qualcosa è cambiato o sta per cambiare.

Passano le ore e la pesca è molto scarsa. Alle mie spalle sento passi sulla ghiaia: sono passi delicati e lenti quasi come se stessero scandendo i secondi di un vecchio orologio ormai quasi del tutto scarico. Mi volto. Vedo una figura alta e sottile vestita tutta di nero.

Cado come in un sonno profondo, un sonno che non avevo mai provato prima. A un tratto mi sveglio e vedo Agnes che mi lecca tutta la faccia. Faccio per scansarla ma non riesco, è come se non riuscissi a toccarla. Allora mi alzo in piedi e mi guardo intorno: tutto mi sembrava normale ma io mi sentivo diverso, più leggero.

Al centro del laghetto vedo una scala bianca come le nuvole, sorretta da nessun tipo di appoggio. Incuriosito mi avvicino e salgo. In cima alla scala la vista mi si appanna e tutto diventa nero.

Riapro gli occhi.

Mi trovo nel mio paesino, sulla strada che percorro ogni mattina. Non è come tutti i giorni però. Tutto è sbiadito come consumato.

Non c’è nemmeno Agnes. Proseguo. Giro l’angolo, ma nessuno mi saluta. Continuo.

Porgo l’orecchio ma non sento nulla. Percorro la via e vedo l’insegna del bar “All’angolo”. Sento alcuni rumori, i primi finora.

Passo oltre, ma vengo fermato da una voce. Una voce vecchia e rauca, una voce amica che mi dice: “Alberto, una partita?”. Come in trance mi siedo e metto a fuoco. “Dai Alberto, tocca a te”.

A quel punto il paesaggio cambia. Tutto intorno a noi scorre come un treno che non si ferma alla stazione. Di colpo ci fermiamo. Siamo tornati sopra il lago, in cima a quella scala fluttuate. Mi alzo.

Vedo sulla riva una figura sdraiata con un bastone, probabilmente. Mi avvicino.

È Agnes con in bocca una canna da pesca. Mi giro e guardo Giacomo negli occhi. Lui mi annuisce accennando un mezzo sorriso e scompare all’orizzonte. Vedo ancora quella strana figura che mi spiega. Ora capisco.

“Il ciclo si è concluso. La mia vita è finita”, penso. Poi guardo Agnes e lei guarda il cielo come se riuscisse a vedermi. “Spero di averti insegnato abbastanza”, dice la mia mente. E lei abbassa lo sguardo.

Ludovico Zaccaria, 4 A Ls

 

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