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Hawking, intervista postuma

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018

Fisico e scrittore, un genio che ha combattuto tutta la vita contro la malattia che lo ha costretto sulla sedia a rotelle: Stephen Hawking (Oxford, 8/1/1942 – Cambridge, 14/3/2018) ha rivoluzionato il mondo della fisica, ha superato ogni aspettativa su di sé sopravvivendo e convivendo per più di 50 anni con una malattia che lo avrebbe dovuto portare alla morte in due. Questa è l’intervista da noi immaginata poco dopo il suo decesso: un saluto postumo.

Cosa si prova a essere uno dei più famosi scienziati al mondo?

(Muove la guancia, unico muscolo che riesce a comandare e per mezzo del quale scrive sul computer) Credo che sia la più grande soddisfazione che io abbia mai avuto e che mio padre avrebbe, se solo fosse ancora in vita.

Suo padre la voleva medico però.

Ricorda benissimo: mi voleva far diventare medico. Io, però, non ho mai amato la biologia. La trovo imprecisa, troppo inesatta e descrittiva, completamente l’opposto della fisica e, soprattutto, della matematica, la scienza che ho sempre amato più di altre.

Perché la laurea in fisica allora?

Perché a Oxford la facoltà di matematica non era ancora presente: mi sono trovato obbligato a sceglierne un’altra, che poi si è rivelata vicina alla mia materia preferita. Fu proprio all’università che cominciai a studiare seriamente, concentrandomi per avere buoni voti.

Prima studiava poco, quindi.

Esatto: alle elementari ero tra i peggiori. Non sono mai stato particolarmente innamorato dello studio. Mi si potrebbe definire un “fisico per caso”.

Cosa pensa di Dio e della religione?

Dio, Allah, Buddha o come lo si vuol chiamare, è un fattore che da fisico escludo, visto che nei miei calcoli ci sono già abbastanza difficoltà: se dovessi poi anche includere una forza soprannaturale, sarebbe molto più faticoso trovare la fantomatica formula che spieghi la teoria del tutto. Un buon fisico può credere in Dio, Einstein era credente, ma io preferisco citarlo impersonalmente, per riferirmi alle leggi della natura.

Secondo lei, ci sono altre forme di vita al di fuori della Terra?

Di sicuro nell’universo sì. Penso però che un confronto tra uomo ed extraterrestre sarebbe pericoloso: una delle due specie potrebbe estinguersi.

Lei ha combattuto la SLA: che messaggio ha per le persone che stanno vivendo il suo stesso disagio?

Non la definisco un disagio: grazie a me e alla malattia che ho, la ricerca progredisce, studiando come sia possibile che io ci conviva da un periodo di gran lunga superiore alle normali aspettative. Mi sento in dovere di dire ai giovani che soffrono come me per questa sventura (come mi piace definirla) di essere forti, di cercare di vivere il più normalmente possibile e farsi aiutare da ogni brava persona che offre loro un aiuto, soprattutto dai propri familiari: fortunatamente ho avuto due mogli che mi hanno sempre aiutato e che mi hanno amato nonostante la mia malattia.

La sua famiglia è stata molto importante per lei: com’è il rapporto tra uno scienziato, la moglie e i figli?

Purtroppo, ho sempre messo in primo piano i miei studi, tanto da trascurare i miei figli e mia moglie, anche se loro sono sempre stati il motivo principale che mi ha spinto a combattere la SLA. Per uno scienziato in alcuni casi gli studi diventano più importanti del resto e, a volte, chi ti circonda non ti capisce pienamente: l’unica persona su cui ho sempre fatto affidamento e su cui tuttora pongo tutte le mie speranze è Stephen Hawking (abbozza un sorriso), perché la prima famiglia di cui facciamo parte è quella di noi stessi e sarà l’unica che non ci abbandonerà mai.

Alessandro Donina, 2 A Scientifico

 

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