Un brutto giorno, a molti di noi, il Covid-19 ha portato via dei cari: a volte in modo improvviso, a volte lento. A volte senza la possibilità di salutarli. È successo, tra gli altri, a Viola, che con questo articolo, pubblicato anche dai quotidiani “L’Eco di Bergamo” e “Giornale di Brescia”, ha ricordato la sua bisnonna.
Questo coronavirus ci sta portando via tutto. Si è insinuato nella nostra vita prima piano piano e poi, velocemente, ha avvolto le sue braccia intorno a noi. Letteralmente. Questa notte è toccato alla mia bisnonna. Se n’è andata velocemente come fanno i petali del soffione, come le foglie cadono dagli alberi in autunno.
Prima la febbre. Poi i polmoni. E dopo tutto il resto. O almeno credo, perché sinceramente non ho neanche idea di come la malattia l’abbia colpita. Non ho idea di come si sia sentita in quella casa di riposo che un tempo adoravo, mentre ora disprezzo più di ogni altro luogo. Vorrei far tornare indietro il tempo e convincere mia mamma a portarla a casa nostra prima che il virus si diffonda. O magari era destino che questo virus la colpisse e non ci sarebbe stato scampo in nessun modo.
Quello di cui sono certa è che non se n’è andata senza lottare. Lei non era una che si arrende facilmente. Lei non era una che si arrende. Punto.
Era una gran donna, la mia bisnonna. Lei sì che l’ha vissuta, la vita. Caterina Maisetti. Anno 1926. Aveva solo 17 anni (solo pochi più di me), quando è andata a recuperare le salme di alcuni partigiani uccisi dai tedeschi a Pratolungo,
vicino a Borno. Quante volte me la sono fatta raccontare questa storia! Ero troppo fiera che la mia nonnina avesse partecipato, anche se in minima parte, al più grande combattimento di tutti i tempi. Lo raccontavo (e lo racconto tuttora) a chiunque.
“Si erano rifugiati a Pratolungo passando per Mazzunno” iniziava lei. “Una spia di Gorzone aveva informato i tedeschi, che non avevano esitato a raggiungerli e ammazzarli tutti”. “Tutti tranne uno, giusto?” chiedevo io. “Era stato ferito, così aveva potuto fingere di essere morto. E noi l’avevamo portato in salvo”, raccontava in dialetto.
Era stato proprio per questo che il mio bisnonno, Apollonio Ferrari, era diventato un grande sostenitore del ricordo di quella tragedia. Era stato lui l’organizzatore della commemorazione di Pratolungo.
Si erano sposati nel 1946. Era stato un matrimonio con tanto di viaggio di nozze a Brescia. “Era un bel viaggio per quel tempo” diceva sempre. Aveva un vestito corto bianco. Non era un vestito comprato per l’occasione, ma uno dei migliori del suo armadio. Qualche anno più tardi sarebbero nati i primi figli. 10 in tutto. Seguiti da 39 tra nipoti e bis-nipoti. Siamo proprio una grande famiglia. Una grande famiglia che non dimenticherà mai la sua nonna.
Viola Ghitti, 2 A Scientifico