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Il contatto manca, ma poi sarà più bello

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020

Cara professoressa, in questo momento tutti noi stiamo vivendo un periodo difficile che nessuno si sarebbe mai aspettato di vivere. È partito tutto da capodanno del 2020 quando tutti dissero “che quest’anno sia migliore di quello appena finito”, e nessuno immaginava ciò che ci aspettava. Arrivarono le prime notizie su questo sconosciuto virus espandersi in Cina, poi i primi due contagiati in Italia, e tutto d’un tratto siamo stati catapultati in un mondo che a tratti pare parallelo. I bar affollati piano piano chiusero, i parchi in cui la gente si recava iniziarono a svuotarsi, così i supermercati, e anche le città diventarono deserte. “Bisogna stare a casa”, “Scuole chiuse fino al 15 marzo”, “Chiusura prolungata fino al 3 aprile”, “I ragazzi seguiranno le lezioni online e le uscite saranno solo per stretta necessità”, dissero. I contagi e i morti aumentavano ogni giorno.

Sono sempre stato abituato ad avere la mia sveglia la mattina, alzarmi, mettere la divisa e recarmi a scuola, con più o meno voglia: dipendeva un po’ da che materie mi aspettavano. Tornavo a casa, aprivo i libri e studiavo quanto bastava per una sufficienza, mi preparavo per allenamento, dove riuscivo a buttar fuori tutto quello che nella giornata era andato storto; tornavo a casa per le 21 stanco morto, mi buttavo a letto e crollavo, consapevole che il giorno dopo sarebbe stato esattamente come quello appena passato.

E ora mi ritrovo qui, davanti a uno schermo, nel letto, guardando fuori dalla finestra il sole che splende alto, e penso. Penso al perché di tutto questo… Penso che le persone ancora non abbiano capito che l’unico modo per riuscire a uscirne è stare a casa.

Penso che il periodo di questa pandemia verrà raccontato sui libri di storia come quello “in cui tutti furono obbligati a rimanere a casa”. Penso che alla fine la scuola non sia poi così male, che le risate più belle sono racchiuse tra quelle quattro mura che ogni giorno mi accolgono o, meglio, mi accoglievano.

Penso che mi manca la mia routine: mi manca alzarmi all’alba, mi manca poter vedere le persone con le quali passerò i migliori anni della mia vita, mi manca uscire il sabato sera, mi manca andare in discoteca e staccare tutto, mi manca potermi allenare e correre sul quel prato verde che forse mi conosce più di tutti, mi mancano i pianti dopo la perdita di una partita e i sorrisi vedendo la mia squadra salire in classifica. Mi manca entrare in classe, solitamente con qualche minuto di ritardo, sedermi al mio banco e iniziare le lezioni. Mi mancano gli sguardi complici tra compagni che attraverso un iPad non ci potranno mai essere, e soprattutto mi manca l’aspetto umano, che un apparato elettronico non rimpiazzerà mai.

E sa, profe, anche lei mi manca, esattamente come tutti i professori. Insomma, mi manca tutto ciò che sono sempre stato abituato a vivere, mettendo in secondo piano però le amicizie, la famiglia e l’amore, se a quest’età si può chiamare così. Stando a casa ed essendo distante dalle persone a me tanto care ho capito quanto sia importante il contatto fisico e quanto veramente non siano da sottovalutare certi legami. Ho anche capito l’importanza della famiglia, che è sempre un luogo sicuro quando tutto sembra crollare, e che l’amore che ci lega sarà sempre più forte delle litigate che avvengono ogni giorno.

Ho capito tante cose, che prima tutti davamo per scontato, e mi sento che, quando tutto questo finirà, sarà tutto più bello, e ognuno avrà una concezione di vita diversa. Saranno più affettuosi gli abbracci e i baci, sarà più buono il caffè preso al bar, sarà più bello toccare con mano le verifiche, qualsiasi sia il voto scritto sopra. Sarà più bello litigare con i profe, sarà più bello mettere la divisa e stringere la cravatta. Sarà tutto più bello, perché è proprio in questi momenti che si capisce il valore che ha la vita.

Mi sento triste, solo, perché lontano da tutti. Ma mi sento anche felice e più maturo, perché so che quando la routine ricomincerà la vivrò con il sorriso stampato in faccia e con la fortuna di non aver dovuto passare questa quarantena solo, su un letto dell’ospedale. Ma in realtà penso che ciò che ognuno di noi prova non si riesca a spiegare a parole: semplicemente provo tutto quello che un ragazzo di 15 anni riesce a provare.

Elvi Ymeraj, 1 C Tecnico

 

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