Una vita “spezzata” in due la sua, che lo spinge ad alternarsi tra il volo e l’insegnamento: stiamo parlando di Domenico Di Giminiani, ben conosciuto all’Istituto Locatelli perché “figlio d’arte”, ma che nel suo bagaglio – nonostante la giovane età – porta anche una magnifica esperienza di vita che merita di essere condivisa e conosciuta. Cerchiamo di capirlo con qualche domanda curiosa.
“L’obiettivo più ambizioso è realizzare un sogno”: questo è il motto soltanto di suo padre, il preside Giuseppe Di Giminiani o anche il suo? Lei è riuscito a realizzare il suo sogno?
È assolutamente vero. Porsi un obiettivo è il più grande mezzo di automotivazione, ci sprona a dare il meglio di noi stessi, non solo nel lavoro, anche nei rapporti affettivi. Alcuni dei miei sogni si sono già realizzati, per gli altri bisogna avere pazienza e costanza. Diventiamo grandi attraverso i sogni, ma sono convinto che anche in età adulta non bisogna smettere di sognare.
Da cosa è nata la sua passione per il volo?
Non ho sempre saputo di voler fare il pilota, ma fin da adolescente ero attratto dal brivido, amavo l’adrenalina, la velocità, la precisione. Durante un’esperienza di una settimana a Lisbona ho avuto l’opportunità di provare l’ebbrezza del volo. È stato amore a prima vista e ho avuto la fortuna di poter convertire la mia passione per il volo in lavoro. Un famoso adagio recita: “Scegli un lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno, in tutta la tua vita”. Esercitare una professione appassionante ti consente di vivere ogni giorno con soddisfazione.
Con quali compagnie ha volato successivamente?
Ho volato per una compagnia executive con base in Svizzera per un periodo di 3 anni, il mio primo type rating (passaggio macchine) è stato l’Hawker 1000. Come di consuetudine il primo lavoro è sempre il più traumatico, è un po’ come il primo giorno di scuola. Successivamente sono stato assunto da un’altra compagnia sempre sullo stesso aereo, ma in quest’ultima, per la quale lavoro ancora oggi, il mio cliente è, al tempo stesso, il mio capo. Decidere di volare per un singolo cliente, piuttosto che per una compagnia aerea mi fa sentire più appagato.
Cosa l’ha spinta a diventare anche professore? La voglia di tornare tra i banchi di scuola o la voglia di trasmettere anche ai più giovani la sua passione?
Insegnare è una vera e propria sfida: un bravo docente oltre a essere preparato e competente, deve essere in grado di comunicare, deve conoscere a fondo i suoi studenti, deve instaurare un rapporto di fiducia e di stima, ma soprattutto deve saper sedurre la classe con l’arte del parlare trasmettendo loro le proprie passioni. Questo è quello che cerco di fare con i ragazzi. Ho ancora molto da imparare anche in questo nuovo ruolo, voglio dare il massimo e cercherò di non dimenticare mai cosa si provava a essere seduti tra i banchi.
Una riflessione sul lavoro del pilota?
Accarezzare un sogno è una cosa fantastica e importante per i giovani che vogliono diventare piloti, ma l’istruzione è insostituibile per intraprendere questa carriera. La natura ha disegnato l’uomo per vivere e operare sulla terra e lui ha sviluppato una serie di caratteristiche adatte a questo scopo. Volare è una condizione non naturale per l’uomo. Imparare a volare significa quindi adattarsi a situazioni innaturali spesso in contrasto con l’abituale modo di ragionare a terra. Per riuscire in questa missione occorrono passione e determinazione particolarmente forti e continue. È un percorso che inizia tra i banchi della scuola di volo e prosegue nella vita professionale, un volo dopo l’altro.
Un pensiero conclusivo?
Mi piace ancora pensare al mio lavoro, forse un po’ romanticamente, come i pionieri dell’aviazione, per i quali il coraggio valeva molto più della conoscenza, un ”Super Uomo”, poi la concretezza riprende il sopravvento e continuo a studiare, e a pensare che la sicurezza in volo è ciò che distingue un professionista vero.
Ortensia Delia, 3A Ls