Sunday, November 2, 2025

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Morte delle api: estinzione per l’uomo?

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Morte delle api: estinzione per l’uomo?

Che ci si creda o meno, la sopravvivenza della specie umana è legata a un piccolo insetto, all’apparenza insignificante ma che fa funzionare tutto l’ ecosistema: l’ape.

Quest’insetto appartiene alla famiglia degli imenotteri e effettua il 95% dell’impollinazione ma cosa succederebbe se l’ape si estinguesse? Come ha detto Einstein: “se l’ape scomparisse dalla faccia della terra, all’uomo non rimarrebbero che quattro anni di vita”.

Impollinando i fiori ci permette di mangiare frutta e verdura che vengono mangiate a loro volta da animali da cui ricaviamo la carne ma questa specie in, Italia e in Europa, è in una situazione critica: nel 2016 si è registrata la perdita del 50% degli alveari a causa di malattie e di insetti antagonisti provenienti dall’Asia e dall’Africa, alle quali non si è ancora trovato rimedio.

In più c’è una colpa anche del consumatore, perché preferisce acquistare miele estero a poco prezzo (e di scarsa qualità) che miele italiano. Si aggiunga anche una certa “ignoranza” verso questo insetto, perché pochi conoscono come funziona il super-organismo alveare. È abitato da circa 80.000 api in periodo primaverile (fase di sviluppo) tra le quali ci sono una regina, che è l’unica femmina feconda capace di deporre uova (fino 2000 al giorno); circa 1000 o 2000 fuchi, che fecondano la regina e nascono da uova non fecondate dopo 25 giorni, distinguendosi dalle altre api per la forma tozza; e infine ci sono circa 70.000 api operaie (femmine non fecondate, nate da un uovo fecondato dopo 21 giorni), che sono le vere lavoratrici che svolgono varie mansioni a seconda dell’età.

In particolare nell’ultimo stadio di vita l’ape operaia svolge il compito di bottinatrice: viaggia di fiore in fiore raccogliendo nettare (necessario per fare il miele) e polline (necessario per alimentare la covata)., e così facendo svolge anche la funzione di impollinatrice, favorendo la diffusione e la nascita di piante e fiori.

Il miele viene ricavato dal nettare, fatto asciugare nelle celle dell’alveare grazie alla ventilazione prodotta dalle api operaie: è formato da fruttosio, glucosio e saccarosio, da sali minerali e acqua.

In Italia, e in particolare a Bergamo, vengono prodotti 6 tipi di miele: robinia, castagno, tiglio, millefiori, melata e rododendro, ognuno con colori e caratteristiche differenti.

Angelo Cattaneo, 2 B Scientifico

 

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Sikhs and sikhism: from Punjab

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Sikhs and sikhism: from Punjab

Sikhism is a religion that originated in Punjab, India at the end of the 15th century. This religion is based on the sacred scriptures contained in the holy book named “Guru Granth Sahib”; Granth is an hindi word which means book. Sikhism is based on the spiritual teachings of ten Guru and teaches that God last forever. God can’t be seen, has no body, he has created the universe and also can destroy it or keep it running, and spreads his thought by ten Gurus.

A Sikh temple is called Gurudwara that means house of Guru. Mainly the Gurudwara has 4 doors, which are called the door of peace, the door of livelihood, the door of learning and the door of grace; when a person enters in a Gurudwara his head must be covered, he must remove his shoes and sit on the floor as all the other people. The Guru Granth Sahib is positioned in an upper level to demonstrate his higher spirituality.

In the Sikh temple there is also an open mess to everyone and at the end anyone can eat for free.The most important festival is “Vaisakhi” held on the 13th or 14th April. In 1699 the nine Guru, Guru Gobind Singh laid down the foundation of the “Panth Khalsa” (or Sikh community) by baptizing Sikh warriors, to defend  religious freedoms. The baptism consists in the administration of a mix of water and sugar, stirred with a double-edged sword in an iron bowl; this is called “Amrit” and this ceremony is accompanied with recitation. Guru Gobind Singh also introduced a new surname that is Singh (lion) for men and Kaur for women. This was done to fight the cast system and also because in the Sikhism all people are equal.

A baptized Sikh must carry 5 symbols the so called 5 K: Kesh (uncut hair) symbolises the membership of the group, uncut hair symbolises adoption of simple life and denial of pride in one’s appearance and also because hair are a part of God creation so you shouldn’t cut it; Kara (steel bracelet) is a symbol of restraint and gently; Kachera (special underwear) is a symbol of chastity; Kanga (wooden comb) symbolises a clean mind and body and also a duty is to keep the hair clean and combed at least twice a day; Kirpan (sword) is for self defence.

Baldev Singh, 4 B Tecnico

 

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Bitcoin: il futuro o un errore?

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Bitcoin: il futuro o un errore?

Il Bitcoin è una moneta elettronica creata nel 2009 da un anonimo, conosciuto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. A differenza delle valute e fisiche convenzionali, il Bitcoin è caratterizzato da un sistema decentralizzato; infatti non è presente un ente che ne regoli la valuta: quest’ultima è determinata dal rapporto tra domanda e offerta.

Il Bitcoin sfrutta un database distribuito sulla rete di internet per tenere traccia delle transazioni tra gli utenti che sono visibili in tempo reale in diversi siti.

Ogni utente può possedere un portafoglio e un numero illimitato di copie di chiavi, composte da una chiave pubblica e una privata.

Le chiavi pubbliche sono utilizzate come punto di ricezione o invio di monete, mentre quelle private appongono una firma digitale alla valuta. Le chiavi pubbliche non contengono le informazioni personali del proprietario.

In una transazione l’utente 1 aggiunge a una determinata somma di denaro la chiave pubblica dell’utente 2, insieme alla propria chiave privata, che verrà verificata durante il trasferimento. Questo procedimento impedisce all’utente di riappropriarsi dei Bitcoin che hanno ormai cambiato proprietà. Tuttavia se si dovesse perdere la chiave privata, cancellandola, il portafoglio con il denaro al suo interno verrà considerato perso e non potrà in alcun modo essere recuperato.

Per ottenere Bitcoin si può utilizzare il processo detto “mining”, cioè si dona la potenza di calcolo dei propri dispositivi quali pc, smartphone o tablet  per contribuire alla creazione, alla distribuzione e alla sicurezza dei Bitcoin. Circa sei volte all’ora la rete distribuisce a caso una somma di Bitcoin ai contribuenti: la somma varia in base alla quantità di potenza di calcolo che viene offerta.

Il Bitcoin al giorno d’oggi non solo può essere scambiato con servizi via internet ma, in determinati casi, anche con beni materiali. Ad esempio, l’università di Nicosia (Cipro) accetta Bitcoin come metodo di pagamento per le tasse universitarie; nella città di Zugo, in Svizzera, vengono utilizzati i Bitcoin per il pagamento di servizi pubblici quali sanità e trasporti.

Purtroppo il Bitcoin ha difetti non indifferenti: viene anche utilizzato come moneta nel Deepweb, dove viene scambiato con sostanze stupefacenti, armi, materiale pedopornografico e altri servizi illegali.

A causa della sua decentralizzazione e del meccanismo di scambio peer to peer, cioè in cui il cliente può essere anche servente, diventa impossibile l’intromissione degli enti governativi o privati e, perciò, il controllo della diffusione del Bitcoin.

Questa situazione è aggravata dal fatto che il Bitcoin segue il cosiddetto schema Ponzi, cioè un programma di vendita fraudolento che promette ingenti guadagni alle vittime a condizione che reclutino nuovi investitori.

L’anonimato della valuta ne compromette quindi la sicurezza e la trasparenza verso il cliente, che non ha garanzie che gli verranno restituiti i soldi investiti.

Mentre dibattito sulla legalità del Bitcoin si svolge, il suo valore continua ad aumentare: nei primi anni della sua realizzazione un Bitcoin corrispondeva a circa 35 dollari statunitensi, entro il 2013 il valore è salito 400 dollari e poco tempo fa era circa 18.000 dollari. Qualcuno ha previsto che entro la fine del 2018 il Bitcoin potrebbe raggiungere il valore di 50.000 dollari. Si stima anche che il numero di Bitcoin prodotti si fermerà nel 2033 a circa 2,1 milioni, causando così un aumento di valore spropositato, con i relativi pro e contro.

Michele Bramati, 2 B Scientifico

 

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Il business contro il gusto del videogioco

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Il business contro il gusto del videogioco

In questi anni i ragazzi hanno sempre più apprezzato i videogiochi: alcuni di loro si sono addirittura innamorati di questo passatempo, tanto da preferire un’ora passata davanti alla consolle piuttosto che un’ora con i propri amici al parco.

Gli sviluppatori di questi giochi hanno notato questo incremento di giocatori e hanno deciso di creare una nuova branca dello sport, chiamata E-sport. Questa nuova disciplina consiste in vere e proprie sfide e campionati a livello internazionale, per decretare chi sia il più forte nel controllare un avatar all’interno del videogioco.

Queste sfide inizialmente non hanno riscosso molto successo, ma con il passare del tempo sempre più squadre si sono iscritte a questi tornei. Quello che ha spinto sempre più team a iscriversi è stato senza alcun dubbio il montepremi messo in palio per chi riesce a vincere questi campionati.

Prendiamo l’esempio di “Rainbow Six: Siege”, un gioco di tattica militare creato dalla Ubisoft: anche questo gioco ha una sua lega composta da numerose squadre che si fronteggiano ogni anno per raggiungere il titolo di Migliore.

Questa lega si chiama Pro League e si disputa tutti gli anni intorno a novembre a San Paolo, in Brasile. I vincitori ricevono come premio ben 240.000 dollari statunitensi per la squadra: e questa vincita è una delle più basse a livello mondiale, visto che in alcuni casi le somme messe in palio dagli organizzatori ammontano anche a oltre mezzo milione di dollari.

La domanda che bisogna porsi a questo punto nasce spontanea: non è che un semplice videogioco, creato inizialmente per far svagare grandi e piccoli, non sia più solo un modo per divertirsi, ma anche un modo per fare business, a costo di perdere il gusto del giocare in gruppo?

Filippo Mondonico, 2 B Scientifico

 

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Rex, orgoglio e leggenda d’Italia

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Rex, orgoglio e leggenda d’Italia

Il 1° agosto 1931, sotto lo sguardo del re d’Italia Vittorio Emanuele III e della regina Elena, madrina della nave, venne varato un nuovo transatlantico, lungo ben 268 metri con un dislocamento di 51.000 tonnellate: il Rex. Prima del varo, un modello di sei metri del nuovo colosso dei mari fece il tour delle principali capitali europee e americane, suscitando grande interesse e scalpore da parte delle altre potenze marinare, come Francia, Inghilterra e Germania, che ritenevano l’Italia non in grado di costruire navi di una simile portata.

Grazie alla presenza sul transatlantico di molti luoghi per lo svago e il divertimento, si diede inizio ai viaggi di piacere: le moderne crociere. La nave era dotata di terme, piscine, sale di lettura, una pedana per la scherma e per il pugilato e persino una galleria coperta per il tiro al bersaglio.

Le camere  più lussuose, con aria condizionata, erano impreziosite da verande private. Oltre alle varie innovazioni nel campo dello svago e del confort, la nave era il fiore all’occhiello dell’ingegneria navale degli anni ’30: la sua prua a bulbo fu una delle prime a essere mai realizzate e, per la forma della carena, i costruttori si ispirarono alle trote.

Il transatlantico venne commissionato dalla Navigazione Generale Italiana e costruito nei cantieri navali Ansaldo di Sestri Ponente. Nel 1932 la Navigazione Generale Italiana fu assorbita dalla compagnia Italia di Navigazione Spa e, di conseguenza, anche il Rex passò sotto la sua proprietà.

Il 27 settembre 1932 il Rex partì per il suo viaggio inaugurale con a bordo 1872 passeggeri.

Durante l’inizio della traversata si verificarono diverse avarie, tra le quali un problema alla centrale elettrica che rese ingovernabile il timone della nave. Per questo motivo il transatlantico fu costretto a sostare per due giorni nel porto di Gibilterra. Alcuni passeggeri, scoraggiati dal pessimo inizio, partirono per la Germania e si imbarcarono su un altro transatlantico: l’Europa. Giunte a Gibilterra le parti di ricambio e riparati i guasti, il Rex salpò per New York dove arrivò il 7 ottobre, battendo sul tempo il transatlantico Europa.

Con questa traversata il Rex vinse il Nastro Azzurro, un ambito premio che veniva conferito alla nave passeggeri che raggiungeva la maggiore velocità media, e quindi il minor tempo, nell’attraversamento dell’Atlantico.

Mentre le navi inglesi, francesi e tedesche, all’inizio del conflitto nel 1939, cessarono le traversate oceaniche, il Rex continuò a operare fino al 1940 quando, con la guerra ormai alle porte, compì la sua ultima traversata. La nave venne ormeggiata nel porto di Genova, ma dopo il bombardamento da parte dei francesi della città, venne spostata a Trieste. Dopo l’8 settembre i tedeschi, che avevano  occupato la penisola, lo trasferirono presso la baia di Capodistria, ma durante il viaggio il transatlantico venne fatto incagliare.

Nel settembre 1944 il Rex subì un massiccio bombardamento britannico che causò un incendio durato ben quattro giorni. Alla fine della guerra venne valutata la proposta di recuperare il Rex e di riportarlo al suo antico splendore, ma il progetto venne abbandonato.

Tra il 1947 e il 1958 il transatlantico fu smantellato, ma la sua fama rimase viva tanto che una celebre scena del film di Fellini “Amarcord” celebra la famosa nave rendendola il simbolo dell’Italia degli anni ’30.

Riccardo Bernocchi, 4 B Scientifico

Il Nastro Azzurro era un prestigioso riconoscimento che, anche se in modo ufficioso, veniva attribuito alle navi passeggeri che effettuavano nel minor tempo (o con la maggior velocità media) la traversata dell’oceano Atlantico.

In particolare veniva assegnato sia per la tratta dall’Europa agli Stati Uniti (quindi da est verso ovest), più complessa perché era necessario contrastare la corrente del Golfo, sia per la tratta opposta (quindi da ovest verso est), più “facile” perché con la corrente a favore. La regola prevedeva che potessero gareggiare navi regolarmente registrate, adibite a uso passeggeri e postale, con personale professionista e che, durante il viaggio, trasportassero sia posta che passeggeri. Il titolo veniva riconosciuto a patto di battere il record precedente.

La prima assegnazione del riconoscimento risale al 1838, alla nave inglese Sirius, che impiegò dall’Europa agli Stati Uniti 18 giorni, 14 ore e 22 minuti, con una velocità media di 14,88 chilometri orari. Il Rex ha ottenuto il Nastro Azzurro, nonostante alcune avarie iniziali, nel 1933 con il comandante Francesco Tarabotto: il viaggio era durato 4 giorni, 12 ore e 53 minuti, con una velocità media di 53,59 chilometri orari.

L’ultima assegnazione riconosciuta risale al 1952, ma nel 1992 la nave italiana Destriero avrebbe conquistato l’ambito traguardo per l’ultima volta, fissando il record a 58 ore e 34 minuti, con oltre 100 chilometri orari di velocità media: il condizionale è dovuto alla controversia sorta perché non si trattava di una nave passeggeri e la traversata era stata dagli Stati Uniti all’Italia, quindi sulla rotta ovest – est.

 

 

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Fino in Bolivia con la Michielin

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Fino in Bolivia con la Michielin

“2640” – Francesca Michielin

(Sony Music)

“2640” è il nuovo album di Francesca Michielin, uscito il 12 gennaio 2018, anticipato dai singoli “Vulcano” quest’estate e “Io non abito al mare” lo scorso novembre.

L’embrione (un embrione bellissimo, tra l’altro, e definirlo tale è parecchio riduttivo) di “di20are” si è sviluppato, è maturato fino a dar vita a “2640”. Quasi tutte le tracce sono state scritte principalmente da lei, eccetto “Tropicale” che vede la collaborazione di Edoardo D’Erme (signor Calcutta), che ha collaborato anche ad altri pezzi del disco, e dell’Autore (e la maiuscola è messa di proposito) Dario Faini. Anche Tommaso Paradiso collabora scrivendo “E se c’era…” insieme a Dario, in sesta posizione nella tracklist.

Francesca cresce, e sta dimostrando di volersi dirigere in quel mondo che oggi viene definito come “indie” (fino ad alcuni anni fa era chiamato Alternative), con una maestoso tappeto elettropop che avvolge il tutto. Questa decisione è evidente anche per aver scelto collaboratori come Calcutta e Cosmo che hanno aggiunto quel pizzico di personalità che ha dato all’album una forma ancora più definita, con testi al di fuori dei canoni tradizionali.

Sarà perché adoro Francesca, sarà perché adoro l’indie pop, ma questo album “spacca”.

Rispetto a “di20are”, il sound è della stessa famiglia: questo grazie alla magistrale produzione di Michele Canova, uno dei migliori in Italia al momento.

Ammetto di non amare il miscuglio inglese-italiano negli album (ancor peggio nelle canzoni), come ad esempio all’inizio di “Comunicare” o “Lava”, che è totalmente in inglese, ma davanti a un disco così bello questo passa nettamente in secondo piano. La mia preferita è “Bolivia”. Un album così, in Bolivia, a occhi chiusi, vi ci porta davvero.

Matteo Francesco Bonanno, 5 A Tecnico

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“Non è detto”: pura energia

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“Non È Detto” – Laura Pausini

(Atlantic/Warner Music)

“Non è detto” è il nuovo singolo di Laura Pausini, uscito il 26 gennaio 2018 e prodotto dalla stessa Laura, scritto insieme a Niccolò Agliardi, Gianluigi Fazio ed Edwyn Roberts. Anticipa l’album “Fatti Sentire” in uscita il prossimo 16 marzo.

Suona pausiniano, non si discosta molto da “Simili”, neanche da “Primavera In Anticipo” del 2008 (disco che ho consumato quando ero bambino).

È un pezzo pieno di energia, in cui l’arrangiamento e la voce si completano alla perfezione: non riesco a immaginarlo cantato da qualcun altro che regga allo stesso modo quest’intensità. Diciamocelo, è un vestito per la Pausini (e se l’è cucito lei stessa), e a una Emma o a una Carmen Consoli non starebbe, andrebbe rimodellato.

Il testo (Agliardi/Pausini) crea una dimensione di abbandono pieno di coraggio. Il coraggio di vedere una realtà spogliata di ogni illusione, concreta, dove il mondo esterno scompare e si rimane da soli, a confronto con la propria vita. Il coraggio di prendere una scelta, il desiderio di cambiare. Tutto avviene senza assumersi colpe o rigettarle su qualcuno. Entrambi hanno sbagliato, ma lei è stanca di tollerare (“sopportarsi con educazione”) un uomo che ha paura, parecchio fragile: ha paura delle conseguenze di una scelta, e lei se ne va per questo, per questa lacuna di determinazione. È ancora innamorata, ma sa che certe cose che non funzionano nel presente in un futuro non potranno cambiare, quindi anziché sopportare tutto ciò decide di andarsene. Lei ammette che la scelta è stata difficile, difatti prima ha esitato per giorni, aveva dei dubbi (“avevo un indirizzo nuovo e un posto per scappare”). Ha un treno verso l’aeroporto e un volo dopo due ore, un volo lasciato con una vaghezza tale da stimolare a vedere oltre, verso una prospettiva piena di luce e positività.

Matteo Francesco Bonanno, 5 A Tecnico

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Eminem a tutto tondo

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Eminem a tutto tondo

È uscito il 15 dicembre 2017 il nuovo album di Eminem, il famoso rapper di Detroit, intitolato Revival. A quattro anni dalla sua ultima raccolta, l’artista si presenta con 19 tracce, toccando i generi rock, gospel, pop e, ovviamente, hip-hop e duettando con grandi artisti, come il giovanissimo cantautore britannico Ed Sheeran e alcune superstar del pop, come Beyoncé, Pink e Alicia Keys.

Grandi sono anche i temi trattati: Eminem parla della sua vita personale passata e attuale, delle sue idee politiche anti-Trump e dei suoi problemi, dalla ex moglie Kimberly Anne Scott (chiamata Kim nei testi), all’overdose da metadone che l’ha quasi ucciso nel 2005. Molte delle 19 tracce presentate riprendono argomenti di singoli pubblicati in passato, come Untouchable, considerato dalla critica l’evoluzione di White America. Questa è la traccia nella quale Eminem si schiera maggiormente, andando contro Trump e il razzismo, parlando del razzismo contro le comunità nere negli Stati Uniti e mettendosi nei panni dapprima di un poliziotto bianco e razzista, per poi immedesimarsi in un giovane nero, con rime contro i repubblicani su un loop di piano.

Scaricabile da Spotify, Apple Music o acquistabile dai principali venditori musical o sul sito ufficiale di Eminem, in bundle con un capo della nuova linea Revival, questo album è quindi ricco di emozioni, pensieri e critiche, che lo rendono unico e imperdibile.

Alessandro Donina, 2 A Scientifico

 

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Only 4 corps de ballet in Italy

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Only 4 corps de ballet in Italy

Last year an other corps de ballet was closed by the Italian government, that decided to cut funding addressed to the one in Verona.

In Italy there are thirteen opera and symphonic institutions and previously, for each of them, there was a corps de ballet, but nowadays only four of them survived: Milan, Rome, Naples and Palermo.

There are 1.400.000 young Italian people that study ballet and dream to become professional dancers, but even if they could succeed, they would be probably obliged to go away from Italy. In fact in the other states dancers are more protected by the governments, that allow the maintenance of lots of corps de ballet.

For example Germany has more than fifty corps de ballet and France has 95 local companies and corps de ballet. Having only four corps de ballet in a State with 60 millions of inhabitants can only be considered shameful. The government should support the ambitions of its citizens, and not destroy them by the elimination of the possibilities to find fulfilment. I really hope that in the future things will change and everyone will understand the importance of developing not only the ballet, but all the forms of art and I hope that people will put effort into improving the situation.

Giulia Magri, 5 A Coreutico

 

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Tfil, canale emergente

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Tfil, canale emergente

Tfil è il nome di un canale Youtube emergente, nato nel 2015: è americano ed è gestito dal suo creatore, Elton Castee, un giovane nato il 6 luglio 1990, che vive a Los Angeles con altri ragazzi. Elton è conosciuto anche perché ha una sua linea di abbigliamento, reperibile su Internet digitando “send it clothing co”, caratterizzata dal fatto che il 20 per cento del ricavato viene donato in beneficenza.

Castee su Tfil monta molti video, in cui compaiono quasi sempre i suoi coinquilini: Colby Brock, Aaron Doh, Corey Sherer e Sam Golback. Elton invece appare poche volte nei primi piani dei suoi video: anzi, vengono ripresi maggiormente i compagni e i luoghi che visitano e dove vivono le loro avventure. Sono infatti conosciuti per diverse azioni che no molti farebbero: ad esempio visitare luoghi che sono apparentemente infestati da spiriti, oppure abbandonati, o trascorrere la notte nella foresta Aokigahara. Quest’ultima è una foresta ai piedi del monte Fuji, in Giappone, tragicamente famigerata per i molti suicidi avvenuti lì.

Recentemente i cinque sono andati a Dubai, dove hanno nuotato con gli squali e altri pesci in un grande acquario; hanno anche cenato al “Dinner in he Sky”: è un posto su una particolare struttura che si eleva per un centinaio di metri, su cui ci sono camerieri pronti a servirti le pietanze ordinate mentre ammiri il territorio sottostante.

I ragazzi montano anche video meno elaborati, in cui rispondono a domande dei loro fan oppure in cui riprendono momenti della loro vita quotidiana. Se ne possono trovare anche altri in cui si fanno scherzi a vicenda: competono tra loro per decretare il vincitore della battaglia degli scherzi. Che dire, un canale tutto da seguire!

Maria Elena Vlagea, 2 B Scientifico

 

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Anoressia e bulimia: lo stesso male

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Anoressia e bulimia: lo stesso male

Ultimamente ho letto un libro che si intitola “Il peso della felicità”, durante i miei viaggi in treno: l’ho fatto perché presa dal desiderio di conoscere le tematiche di anoressia e bulimia.

Volevo capire qualcosa di più su questi due mondi così pericolosi, che mi incuriosivano e al tempo stesso mi spaventavano un po’. Avevo sempre sentito pronunciare questi termini, ma in realtà non mi ero mai soffermata più di tanto sul loro significato  e sulle loro conseguenze.

Questo libro parla di una ragazza come me, che decide di voler dimagrire pur non avendone per nulla bisogno. Ecco che spunta il primo mondo pericoloso: quello dell’anoressia. Ma che cosa è l’anoressia? Non è niente altro che la perdita “voluta” dell’appetito, con il conseguente rifiuto del cibo. Non è sicuramente una cosa positiva: quando una persona arriva a paragonare e identificare il proprio “peso” con la “felicità”, il più delle volte ha raggiunto il limite della normalità.

Esistono persone che si “vedono” grasse senza esserlo, e cercano per questo di perdere molti chili nel più breve tempo possibile, diventando così anoressiche.

Mi hanno colpito molto due frasi del libro: “Cominciavo a vedermi le ossa del bacino e mi piaceva molto toccarle” e “Rigirandomi nel letto mi toccavo le ossa, a una a una: sporgevano tutte. Sì, stavo bene”. Queste parole mi hanno fatto riflettere sul fatto che l’anoressia è un mondo da tenere lontane e che belle non si diventa certo perché si vedono le ossa! Mi ha stupito anche il fatto che alcune persone si spingano a livelli così estremi senza accorgersi del male che si arrecano.

Il fenomeno dell’anoressia colpisce soprattutto le ragazze adolescenti che hanno paura di essere respinte o prese in giro. L’essere belle non significa necessariamente essere sottopeso.

Il secondo mondo, altrettanto pericoloso, è la bulimia. Anch’esso è un disturbo dell’alimentazione, caratterizzato da un’eccessiva sensazione di fame derivante da malattie psichiche. Si manifesta quando una persona ha un bisogno incontrollato di mangiare grandi quantità di cibo e, subito dopo, il bisogno di vomitare. Anche questo mondo è assolutamente negativo.

Relativamente alla bulimia, nel libro mi ha colpito questa frase: “Cara bulimia, in qualche modo mi fai star bene e sono ancora molto affezionata a te. Si sa che per lasciar andare qualcosa come te ci vuole tempo, parecchio”. Sono situazioni complicate “difficilmente abbandonabili”.

Purtroppo non è facile stare lontani dall’anoressia o dalla bulimia, e tanto meno avere la certezza di non incontrarle mai durante la propria vita: in un momento di fragilità potrebbe capitare a chiunque.

Giulia Zanella, 2 A Scientifico

 

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Cavallette fritte a pranzo? Si può

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su Cavallette fritte a pranzo? Si può

Anno nuovo, vita nuova e, vien da dire, cibo nuovo. Forse. Con il 2018 entrerà infatti in vigore il nuovo regolamento Ue sui Novel Food, che prevede il riconoscimento di  insetti o parti di essi come alimenti tradizionali di paesi esteri e quindi li immetterà nel commercio, nonostante il grande dissenso di gran parte degli italiani.

Da  gennaio 2018 la Commissione Europea scriverà un elenco dei Novel Food autorizzati alla commercializzazione nell’Unione Europea, tra questi ci saranno insetti e parti di essi, riconosciuti come nuovi alimenti o prodotti tradizionali esteri.

A dare la prima notizia è stata la Coldiretti durante il Forum Nazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione, durante il quale ha anche riprodotto alcuni dei piatti che probabilmente vedremo comparire nelle nostre tavole a partire dal nuovo anno.

Questa novità, come riporta ancora Coldiretti a seguito di un’indagine, non sembra però piacere agli italiani; infatti solo il 16% della popolazione sarebbe favorevole all’introduzione di questi alimenti, contro il 54% sfavorevole e il restante indifferente o senza un’opinione riguardo.

La maggior parte degli italiani, secondo un’indagine dell’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, è sfavorevole a mangiare insetti interi, mentre già una parte in più accetterebbe l’idea di alimenti lavorati con parti di esse, come farine o pasta.

Magari in un futuro ormai presente saremo noi stessi a mangiare prelibatezze da pelle d’oca.

Marianna Ruggeri, 2 B Scientifico

 

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L’Europa egoista causa della crisi?

Posted by admin On Luglio - 11 - 2018 Commenti disabilitati su L’Europa egoista causa della crisi?

La Grecia, culla della civiltà europea e del pensiero occidentale, è diventata oggi il simbolo della “crisi economica” che imperversa ormai da diversi anni e impone sempre più restrizioni alla sovranità e alla libertà dei paesi impoveriti.

Il popolo greco è stato trasformato in vittima espiatoria di una crisi causata, per non dire voluta, dal sistema bancario internazionale che, da parte sua, non ha perso nessuna delle sue ricchezze. Il popolo greco è stato il primo d’Europa a essere di fatto privato della propria autonomia, della propria sovranità, messo in qualche modo sotto tutela come un bambino incapace. Una situazione ancora più incredibile visto che sembra essere stata voluta  dagli organismi finanziari internazionali.

Con il caso greco, la post-democrazia tecnico finanziaria, che finora agiva nell’ombra camuffando in maniera più o meno abile la sua azione sotto gli stracci lisi dei “diritti umani” e del “suffragio universale”, ha abbassato la maschera, facendo del paese di Pericle e di Omero il laboratorio del suo progetto totalitario d’imposizione progressiva di organi tecnocratici volti a sostituire le istanze di rappresentanza popolare.

Ancora più crudele e tragico in questa storia è il fatto che l’umiliazione del popolo greco non ha suscitato quasi alcuna reazione d’indignazione, compassione e solidarietà da parte degli altri popoli.

Al contrario i greci sono stati contestati, accusati e resi colpevoli di tutti i mali economici del mondo, responsabili della loro disgrazia. Presentati come un branco di nullafacenti corrotti e truffatori dalla stampa internazionale, l’opinione pubblica ha ingoiato la pillola falsa che considera la popolazione greca come fonte di crisi e non come vittima. Come se fosse possibile che siano state le qualche migliaia di falsi ciechi pensionati o le vacanze troppo costose dei funzionari di stato a portare il paese al fallimento e al caos e non gli intrighi mafiosi e le speculazioni.

Senza trascurare e scusare gli abusi e le mancanze della popolazione, che hanno certo peggiorato la situazione del paese, è di un’infame ipocrisia puntare il dito esclusivamente verso di loro e farne il capro espiatorio di una crisi fomentata dai consigli d’amministrazione delle grandi banche mondiali.

Myret Zaki, caporedattrice del giornale economico svizzero “Bilan”, nel suo libro “La fine del dollaro”, evidenzia il fatto che la crisi greca sarebbe in realtà la conseguenza di un attacco coordinato dagli interessi americani al fine di screditare l’Euro nel momento in cui quest’ultimo iniziava a diventare una moneta totalmente credibile agli occhi dei paesi produttori di petrolio dell’OPEC (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio). Conveniva quindi attaccare il ventre della zona euro e mettere in ginocchio la Grecia quando la situazione di quest’ultima, anche se instabile, non era peggiore di quella di paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Giappone, aventi tassi d’indebitamento al 200%.

La campagna mediatica di stigmatizzazione del popolo greco pare aver funzionato. È quindi nell’indifferenza quasi generale, e addirittura, credo, con un certo consenso collettivo, che il popolo greco, spogliato di quasi tutte le prerogative concesse ai cittadini, è stato ridotto al ruolo di vittima della “troika” affarista – mondialista.

Questa incapacità della solidarietà popolare europea è una mancanza tragica, una dimostrazione di debolezza dalla parte degli stessi popoli che hanno indicato ai loro boia il metodo per sopprimerli: strangolarli uno dopo l’altro, affiggendo la vittima e contando sull’inazione dei propri fratelli terrorizzati dalle minacce “economiche” brandite incessantemente. La codardia, che consiste nel detto “meglio al vicino che a me” oppure “se la sono cercata”, ha tra l’altro mostrato tutta la sua inutilità con l’estensione progressiva del caso greco ad altri paesi d’Europa.

Una lezione da meditare in un momento in cui il precariato economico fa rinascere timori ed egoismi nazionali, a scapito dell’ideale di potenza e di giustizia sociale che è l’Europa dei popoli.

Federico Martini, 3 A Scientifico

 

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Ferragni: blogger, designer and model

Posted by admin On Gennaio - 22 - 2018 Commenti disabilitati su Ferragni: blogger, designer and model

Hello there, today, we’re going to discover together a little bit more of Chiara Ferranti’s world, one of the most famous influencer of the whole web. Who is Chiara Ferragni?

Chiara, is an Italian business woman, blogger, fashion designer and model born in Cremona on May the 7th 1987.
She has always her luggage in her hands, in fact, she travels all around the world and she lives between Milan and Los Angeles.
Her career started in 2009 when she opened her own blog called “The Blond Salad”, a mix of photography, trips, lifestyle and fashion.

After the creation of the “TBS”, together with her boyfriend of that time, she transformed the blog into her own business and then she built up her first e-commerce online shop “Chiara Ferragni Collection” in which she sells clothes, shoes and accessorizes.

Because of her determination to achieve her dreams (be a fashion blogger and partner with the most important house of fashion), while her friends were playing videogames, she was building something that now is an empire.

Nowadays Chiara Ferragni is an example not just for teenagers but also for everyone who wants to fly high and pursue any kind of goals.

In one of her speech, she said: “My biggest satisfaction is that people think about me and smile, people love to dream through me”.

What characterizes her and what makes her one of the most loved influencer, is that “she is always the same on and off the social media”.

Nicole Nerborini, 4 A Tecnico

 

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Il medioevo, tra gregoriano e trovatori

Posted by admin On Gennaio - 22 - 2018 Commenti disabilitati su Il medioevo, tra gregoriano e trovatori

Quando i primi cristiani non devono più nascondersi per pregare e quando nelle città sorgono chiese e conventi, all’alba e all’imbrunire si diffondono nell’aria melodie come Æterne rerum Conditor (“Eterno creatore di tutto”), inno gregoriano scritto nel VIII secolo d.C.: i frati cantano le loro preghiere fuori dal tempo e dallo spazio, quasi a proiettarsi verso l’immobilità della vita ultraterrena e per avvicinarsi a Dio. Ascoltala e rifletti sulle sensazioni che questa musica provoca in te!

Costantino, imperatore romano, nel 313 d.C con l’editto di Milano, riconosce il diritto della libertà di culto anche ai cristiani, fino ad allora perseguitati. Con la caduta dell’impero romano d’Occidente nel 476 d.C. ha inizio un lungo periodo che sarebbe durato fino al 1453: il Medioevo. Quest’epoca, caratterizzata da una notevole vivacità economica, culturale e sociale, si suddivide il Alto Medioevo (476 d.C-1000 d.C) e Basso Medioevo (1000 d.C-1453 d.C). I monasteri e le chiese, sono i principali centri di cultura dell’Alto Medioevo. Qui frati e diaconi si dedicano alla copiatura di pergamene e codici, che abbelliscono con preziose miniature. La cultura si espande raggiungendo le corti, qui nasce la produzione letteraria e musicale. Sorgono le  università, dove si insegnano diritto, medicina e teologia. Nei borghi, le piazze ospitano spettacoli di artisti girovaghi.

L’organo rappresenta lo strumento principe della musica religiosa e polifonica del tempo. Nella musica profana è la viella lo strumento ad arco più diffuso tra i trovatori. Sono in uso anche strumenti a fiato come trombe e flauti, strumenti corde come il salterio, il liuto e la strana tromba marina.

L’abitudine di intonare canti in lode del Signore esisteva già prima dell’Editto di Milano. Con il Cristianesimo, il repertorio dei canti sacri si arricchì molto, ma senza uniformità a causa delle differenze che vi erano tra popolo e popolo. Per questo motivo papa Gregorio Magno scelse e raccolse i canti sacri i un grande libro, l’Antifonario, pretendendo che ovunque nell’Occidente fossero eseguite solo le melodie scelte dalla chiesa di Roma. L’Antifonario andò perduto durante le invasioni barbariche. Noi oggi ne conosciamo ugualmente il contenuto perché fu più volte copiato a mano nell’abbazia di Cluny.

La Schola Cantorum dove si preparavano coloro che cantavano durante le funzioni liturgiche fu un’altra grande riforma che favorì l’affermazione del canto gregoriano. Gregorio Magno stabilì che i cantori studiassero ben 9 anni, imparando a memoria tutte le melodie ascoltate dal maestro. Fu così garantita la sopravvivenza di quelle melodie straordinarie, che però non venivano ancora scritte: infatti le parti musicali sono state aggiunte nell’Antifonario soltanto alla fine del IX secolo.

Il canto gregoriano, nel suo svolgersi lento, induce alla contemplazione dei valori spirituali e al distacco dalle cose terrene. Ha il testo in latino, è vocale non prevede un accompagnamento strumentale, è un canto monodico che si intona su una sola parte, anche se questa viene cantata anche da un intero coro. Presenta un ritmo libero, a causa della convinzione che esso fosse legato alla vita terrena, dunque non era più indispensabile.

A partire dal XI secolo si formano movimenti spirituali di riforma che aspirano a una religiosità più autentica basata sulla semplicità predicata dai vangeli. Il popolo si esprime ormai in lingua volgare e non conosce più i testi in latino della musica sacra. Molteplici sono i seguaci del movimento di San Francesco, fondato nel ’200.

A questa corrente appartengono le “Laudi”, canti in lingua volgare di argomento religioso: ovviamente non saranno mai accettate dallo stato pontificio. Essenzialmente la lauda è una composizione monodica molto semplice e di facile comprensione, ha un andamento sillabico e cioè a ogni sillaba corrisponde una nota.

Poco dopo l’anno 1000 la musica profana ha cominciato ad arricchirsi, soprattutto in Francia. Gli artisti sono nobili, feudatari, cavalieri, personaggi di corte che non fanno i musicisti di mestiere, ma si dilettano a comporre canzoni.

A seconda della zona in cui vivono possiamo suddividerli in trovatori e trovieri. I primi erano attivi nel sud della Francia e utilizzavano la lingua D’Oc. I secondi erano invece attivi nel nord della Francia e utilizzavano la lingua D’Oil, che in seguito diventerà il francese moderno. Le canzoni dei trovatori e dei trovieri sono sicuramente in contrapposizione al canto gregoriano: essendo sacro è basato su testi in latino mentre le canzoni trobadoriche, di argomento profano, sono invece con testi in volgare; il gregoriano è cantato da cori numerosi, mentre le musiche trobadoriche sono cantate da una voce solista accompagnata da uno strumento che ripete la melodia della voce.

La storia della musica rappresenta un lungo cammino, mentre il Medioevo può essere definito come un lungo percorso nel quale la musica si è ritagliata uno spazio comunicativo che è andato a toccare la parte la parte più intima dell’uomo: la sfera sentimentale.

Elvira Bellicini, 3 A Scientifico

 

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Mozart era anche massone?

Posted by admin On Gennaio - 22 - 2018 Commenti disabilitati su Mozart era anche massone?

Davvero pochi sono i personaggi che presentano un’ambivalenza netta come quella di Wolfgang Amadeus Mozart: nonostante si conosca molto delle sue opere, si fa ancora fatica a interpretare le sfaccettature più nascoste della vita e, ovviamente, della personalità molto particolare del compositore.

A far ciò siamo stati però aiutati dalle sue stesse opere che ci forniscono molti dati importanti su vari aspetti della vita e dei pensieri di quello che è ricordato tutt’ora come “bambino prodigio”. Voglio soffermarmi sugli elementi della sua musica che la fecero evolvere e, in maniera analoga, risultare diversa da tutte le altre composizioni.

Fattore importante nella produzione artistica di Mozart credo sia la presenza di continui richiami alla massoneria, che ritornano incessanti nelle opere. Tali elementi sono molto evidenti, come la continua ripetizione del tre, numero massonico rappresentante la sintesi dei più importanti principi propugnati dalla Libera Muratoria (Libertà, Uguaglianza e Fratellanza): è usato nelle scenografie, nel suono degli strumenti, nelle singole note, nei personaggi che animano la scena e nei colori degli abiti utilizzati.

Famosissima è l’opera intitolata “Il Flauto Magico”: non solo perché realizzata e composta in modo sublime, ma soprattutto per essere l’opera che, più di tutte, incarna uno spirito esoterico e iniziatico.  E anche in questo capolavoro non si fa attendere il tre: per l’aspetto musicale tre sono le note che i fiati suonano spesso contemporaneamente, i colpi sulle percussioni e i tocchi sullo xilofono. I personaggi sulla scena di quest’opera sono spesso tre. Tre sono i fanciulli (i genietti) che impediscono il suicidio di Pamina e di Papageno, tre le dame al servizio della Regina della Notte e tre gli schiavi di Sarastro.

L’intera opera è accompagnata da simboli ed emblemi esoterici con richiami massonici, come il triangolo (utilizzato come forma del copricapo di Sarastro) e il compasso sovrapposto alla squadra (logo massonico). L’azione vede la lotta di due potenze contrapposte: oscurantismo, personificato dalla Regina della Notte e dalle tre ancelle, e ragione illuminata, saggezza, indentificate in Sarastro, capo della comunità dei sacerdoti di Iside e di Osiride, grande Sacerdote del Sole. È chiaro che questi incarna uno spirito di carattere massonico-iniziatico.

Sorge una domanda: Mozart ha fatto parte attivamente della massoneria o i richiami sono stati inseriti nelle sue opere solo perché ne era affascinato?

La risposta è che Mozart era realmente un massone, anche se questo termine è da intendere in modo diverso da oggi. Il compositore ha avuto i primi contatti con la Massoneria (inconsapevolmente) da giovanissimo. A 11 anni, come ringraziamento per averlo curato dal vaiolo, ha dedicato al suo medico Wolff un’arietta dal titolo “An die Freude”. e pare che sia stato  proprio lo stesso Wolff, massone, a suggerire il testo dell’operetta, tratto da una raccolta di canti latomisti. Il musicista però è entrato ufficialmente nella massoneria il 14 dicembre 1784, come apprendista nella loggia fondata dal Maestro Otto von Gemmingen, fino a raggiungere il  grado di maestro nella loggia di Vienna più importante anche a livello musicale.

I motivi che hanno fatto sì che l’autore si avvicinasse al mondo massonico fino a decidere di farne parte non sono però identificabili. Senza alcun dubbio sentiva l’esigenza di un contatto personale con Dio che, all’epoca, non trovava nella Chiesa. Amadeus aveva in oltre molto forti gli ideali di umanità e di spiritualità ed era alla ricerca costante del rapporto con il “fratello prossimo”. Queste sono state, a mio parere, le cause della sua decisione.

Federico Martini, 3 A Scientifico

 

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Marina mercantile, sacrificio e crescita

Posted by admin On Gennaio - 22 - 2018 Commenti disabilitati su Marina mercantile, sacrificio e crescita

Marina e Aeronautica all’apparenza stanno agli opposti, ma possono trovare molti punti di contatto: ne sa qualcosa il nostro istituto “Antonio Locatelli, che se a Bergamo ha la parte aeronautica, in quel di Grottammare mantiene quella navale. Abbiamo intervistato, lo scorso 27 luglio, la direttrice dell’Accademia Italiana della Marina Mercantile, Daniela Fara.

Direttrice, prima di parlare dei corsi che offrite, le chiederei di presentare l’Accademia.

L’Accademia della Marina Mercantile Italiana vuole essere una risposta alle ambizioni dei ragazzi che voglio intraprendere la carriera del mare e inizia la sua attività nel 2005 su iniziativa di istituzioni pubbliche come il Comando Generale della Capitaneria di Porto, la Provincia di Genova, l’Istituto Nautico “San Giorgio” e la Confederazione Italiana Armatori. Nasce dell’esigenza di qualificare maggiormente i futuri Ufficiali di coperta e di macchina della Marina Mercantile e di accompagnarli in questo progetto: la nostra mission è dunque quella di formare, aggiornare, qualificare e riqualificare il personale marittimo della flotta mercantile Italiana.

Fate selezioni mirate, mi risulta.

Noi selezioniamo con i concorsi annuali per gli allievi un numero di ragazzi in base a quelli che sono i posti messi a disposizione dalle varie compagnie e su questi numeri formiamo le classi, così da garantire a ciascun allievo l’imbarco previsto dal percorso formativo. Provengono prevalentemente dagli Istituti Trasporti e Logistica, e viene loro garantito l’imbarco da allievi ufficiali di 12 mesi, obbligatorio per conseguire il titolo di ufficiale. Questo percorso ha la durata di 2 anni ed è articolato in 1500 ore in aula con corsi di formazione teorici e corsi internazionali.

Più nello specifico, per quanto riguarda i corsi di macchina e coperta, quali sono i requisiti, quanti imbarchi vengono fatti, cosa si studia?

Per accedere al concorso bisogna non aver superato il 26° anno di età, essere cittadini comunitari, avere la qualifica di allievo ufficiale (macchina o coperta) e essere in possesso dei corsi BST (Basic Safety Training) e Security Awarness. insieme al possesso della visita medica biennale in corso di validità che stabilisce se il candidato possiede quei prerequisiti fisici per ricoprire il ruolo di allievo ufficiale e in seguito di ufficiale. La selezione ha una parte scritta e una orale: si valutano sia la conoscenza tecnica appresa durante il percorso di studi sia la conoscenza della lingua inglese, fondamentale, sia una certa capacità di ragionamento logico. Durante l’esame orale viene effettuato un test che indaga il profilo della persona e un colloquio dove si analizza nuovamente la conoscenza dell’inglese, approfondendo anche l’aspetto motivazionale e culturale del candidato. Chi supera le selezioni viene ammesso in un percorso fortemente caratterizzato dall’alternanza scuola lavoro, con quattro periodi a terra alternati con tre a bordo. Alla fine ci sarà la verifica finale che attesterà o meno l’idoneità dell’allievo sia all’esame per acquisire il diploma sia all’esame per ottenere la qualifica.

Si parla di ufficiali di macchina e coperta che provengono da istituti nautici ma chi avesse fatto un liceo scientifico o un istituto tecnico ad altro indirizzo può comunque iscriversi?

Nel 2007 è stato introdotto un modulo di allineamento per permettere la loro partecipazione: nel 2016 è stato riformato e adesso si può svolgere o negli ex istituti nautici, oggi I.T.T.L, nell’ambito del normale percorso di studi oppure può essere erogato da istituti, come l’Accademia, che sono accreditati a erogarlo; le ore sono 700 per il corso coperta e 800 per il corso macchina. I risultati sono stati ottimi e i ragazzi si sono avvicinati maggiormente alla sezione coperta piuttosto che a quella di macchina. Un problema potrebbe essere il finanziamento del corso: fino all’edizione conclusa a maggio 2017, l’Accademia lo poteva erogare gratuitamente grazie al finanziamento del fondo nazionale marittimi; a oggi le risorse stanno scemando e quindi non sarà più possibile presumibilmente, il che complica le cose per chi, ad esempio, viene da zone lontane.

So che da circa un anno avete iniziato a formare anche altro personale per la parte Hotel di bordo con i corsi nella sede di Arenzano e con i corsi nella sede di Lavagna. Ce ne parla?

Abbiamo iniziato con Costa Crociere a Arenzano e poi a Lavagna con Msc. Le figure che formiamo attualmente sono quelle di pasticcere, panettiere e cuoco di bordo per Costa, tecnico multimediale e Middle Manager per Msc. Tutte le nostre attività nascono da un’esigenza delle aziende: questo garantisce formazione mirata e occupazione e imbarco a fine corso. Con Costa Crociere sono state previste anche figure che hanno necessità di una formazione più breve, come animatori, guest-service e così via. A settembre il corso fotografi. I requisiti variano dalla figura: è evidente che per fare il cuoco di bordo sarà necessario o il diploma alberghiero o un’esperienza professionale; per l’animatore sarà invece necessario un diploma di scuola superiore. Tuttavia quello che sempre è indispensabile è la conoscenza delle lingue..

L’Accademia ha anche una collaborazione stretta con Grandi Navi Veloci per formare assistenti d’ufficio.

La figura dell’assistente d’ufficio non è adottata da tutti: Grandi Navi Veloci invece ne ha fatta una figura centrale nella propria organizzazione e abbiamo fatto già due corsi; ora è aperto un bando per assistente d’ufficio addetto alle telecomunicazioni, una figura ancor più specifica e molto strategica. Accademia è diventato centro di formazione continua per GNV: la compagnia ha fatto della formazione una delle policy aziendali, non solo con formazione in ingresso ma anche riqualificazione e aggiornamento. Per questo finanzia interamente il corso. Questa figura opera nel settore hotel ed è, sostanzialmente, l’assistente diretto del commissario di bordo; quello addetto alle telecomunicazioni nasce invece  dall’evoluzione del marconista e del radiotelegrafista che oggi non esistono più. In questo caso l’assistente d’ufficio addetto alle telecomunicazioni ha, su ordine degli ufficiali di coperta, ha il compito di seguire le comunicazioni. Questa cosa è propria di GNV che ha pensato di sostituire il radiotelegrafista con l’assistente d’ufficio addetto alle telecomunicazioni, aprendo una possibilità di occupazione a soggetti diversi dall’ufficiale di coperta, perché normalmente questo ruolo di operatore è affidato a loro Per fare questo corso occorre il diploma di scuola media superiore e non occorrono requisiti particolari se non la conoscenza delle lingue.

Sembra che la conoscenza delle lingue sia fondamentale in questo settore.

Assolutamente. Senza l’inglese qui non si lavora. Per i settori tecnici, quindi macchina e coperta, è essenziale l’inglese ben parlato e ben compreso, perché è fondamentale soprattutto in situazioni di sicurezza dare e comprendere ordini. Nel settore hotel invece una lingua non basta. Va recuperato un approccio migliore a queste materie: nella tradizione italiana c’è sempre stata scarsa propensione allo studio delle lingue straniere.

I nostri allievi a Bergamo e a Grottammare sono avvantaggiati rispetto ad altri perché già dalla prima superiore hanno un’ora dedicata alla madrelingua inglese e soprattutto iniziano lo studio di una seconda lingua, lo spagnolo, con la possibilità di ricevere le certificazioni internazionali come il Dele e il First.

Secondo me questa è la strategia del futuro, non solo per questo settore specifico dove è fondamentale, ma anche per altri settori.

Parliamo del tasso medio di occupazione dei vostri allievi:  l’Accademia ha sempre formato occupati, laddove molti corsi formano invece disoccupati.

Noi siamo oltre il 92% per quanto riguarda gli ufficiali di coperta e di macchina e, a oggi, al 100% di occupati per quello che riguarda i corsi fondo sociale europeo, quindi corsi più brevi nel settore hotel, elettricisti e operatori meccanici. Siamo in generale sopra il 90% per tutti i nostri corsi e ci tengo a ribadirlo. Quando abbiamo capito, nel tempo, di aver avviato corsi che non portavo a questi risultati, li abbiamo cessati. Noi vogliamo fare occupati e non disoccupati: questo settore fortunatamente, nonostante la crisi, ha retto molto bene e continua a dare occupazione.

Cosa si sente di dire ai nostri allievi?

Il settore del trasporto marittimo in generale è un settore dove si può trovare ancora occupazione, ma che ha due caratteristiche: una è il sacrificio, mentre l’altra è la gratificazione. Non solo perché si ottengono occupazione e lavoro, ma anche perché ci sono sia soddisfazioni economiche che possibilità di carriera. Ho detto anche sacrificio perché è davvero un sacrificio stare a bordo: non è una vita normale e ha caratteristiche a cui non tutti sono portati. Quello che mi sento di dire è guardarsi in uno specchio e chiedersi se si pensa di avere un futuro a bordo, tenuto conto che questo lavoro ha la caratteristica del sacrificio, dell’impegno, a volte della solitudine; infine ha la caratteristica di necessitare un grande equilibrio, perché si deve saper stare soli ma anche confrontare a volte con molte persone e altre sempre con le stesse venti, e si è li per mesi, con i problemi da risolvere sul posto. Si incontrano molte nazionalità, molte culture e quindi oltre all’equilibrio ci vuole molta apertura mentale, considerazione delle diversità culturali, rispetto degli altri, senso della gerarchia. Diciamo che la vita di bordo è un mondo che incontra tutti gli aspetti che si possono incontrare nell’ambito di una vita globale nei vari settori. Credo che un ragazzo debba quindi chiedersi: “Io mi ci vedo a bordo? Penso di farcela? Penso di avere queste caratteristiche?”. Perché se una persona tiene molto a stare vicino alla famiglia, agli amici, tiene a fare una vita “normale” – cosa legittima e lo voglio sottolineare -, questa non è la vita per lui. Dopo ciò deve sapere che il sacrificio e l’impegno sono grandi: si trova, come dicevo prima, in un unico contesto tutto quello che si può trovare in più contesti nella vita. A bordo, come a terra, non viene regalato nulla e come ci si comporta è fondamentale per gli altri e per la loro sicurezza; se non si è a servizio della squadra, altra caratteristica che si deve possedere per lavorare a bordo, si viene emarginati. Credo quindi che questo settore sia una bellissima e grande opportunità che dà gratificazioni economiche e di ruolo sociale, ma che richiede grande sacrifico e dove nulla viene regalato: a partire dal sacrificio per la formazione iniziale fino ad arrivare a quello per tenersi aggiornati e avere continuamente voglia di studiare. Non tutti sono portati e non è una colpa non esserlo.

Mirko Mondini, diplomato 2014

 

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Dall’Aeronautico alla Marina: al top

Posted by admin On Gennaio - 22 - 2018 Commenti disabilitati su Dall’Aeronautico alla Marina: al top

Dall’Aeronautico alla Marina: come è successo? Tutto ha avuto inizio a giugno quando il Ministero della gioventù e quello della Difesa hanno pubblicato il bando per i corsi velici della Marina Militare a Venezia (scuola navale militare Morosini), Livorno (accademia navale) e La Maddalena (accademia sotto-ufficiali), e ho deciso di partecipare.

Le domande provenivano da ogni angolo del nostro “stivale” e su migliaia che erano solo 350 venivano ammesse. Due settimane prima della partenza ho saputo di essere stata selezionata e che sarei stata una dei fortunati a partecipare ai corsi velici: ho fatto salti di gioia e non vedevo l’ora di iniziare questa avventura in un mondo che, fino a poco fa, mi era estraneo, avendo interessi volti più all’aeronautica.

L’11 luglio, io con la mia valigia rossa, accompagnata da mio padre ho preso il treno diretto a Brescia, dove avremmo poi preso il treno Frecciarossa che ci avrebbe portato a Venezia. A Brescia abbiamo incontrato Laura, anche lei partecipante ai corsi: durante il viaggio abbiamo fatto conoscenza e parlato anche di cosa ci saremmo aspettate da questa esperienza. A Venezia abbiamo poi raggiunto il vaporetto che ci avrebbe portato sull’isola di Sant’Elena, dove è situata la scuola: durante il tragitto abbiamo potuto godere delle bellezze artistiche e del fascino della città. Mezz’ora dopo siamo arrivati all’isola di Sant’Elena: piccolina ma graziosa e accogliente, piena di vegetazione e di campetti dove giocare. Una volta sulla via principale, sul fondo si vedeva la Scuola: cominciavo a entusiasmarmi di più e il cuore mi batteva a mille. Avvicinandoci vedevamo dei ragazzi con i loro familiari seduti sulle panchine nei pressi della scuola; la gente continuava ad arrivare e, man mano, ci conoscevamo e scambiavamo qualche chiacchiera.

I cancelli si sono aperti alle 14: 40 ragazzi (20 ragazze e 20 ragazzi) stavano entrando nell’accademia dove avrebbero vissuto 10 giorni che avrebbero segnato le loro vite per sempre.

All’entrata c’erano 3 ragazzi e 3 ragazze del primo anno dell’accademia che ci hanno accolto e condotto a piccoli gruppi nell’edificio, precisamente nella sala giochi, dove gli istruttori hanno preso i nostri documenti e ci hanno consegnato la divisa per la franchigia), una sacca, libro di testo per la teoria e una scotta (termine tecnico marinaio che sta per cordino). Successivamente siamo saliti nelle camere dove i nostri supervisori  ci hanno mostrato come fare il letto con il “risvoltino” (dritto e senza piegature, in pratica perfetto), come fare il cubo del letto (piegare  precisamente le lenzuola, metterle a capo del letto con sopra il cuscino) che doveva essere fatto ogni mattino, e il cubo dei vestiti che doveva essere fatto invece ogni sera prima di andare a letto. Una volta spiegate regole e orari, ci hanno dato 10 minuti per fare il letto, vestirci con maglietta bianca, pantaloncini blu, calzini bianchi, scarpe bianche e (per le ragazze) con i capelli legati: il nostro abbigliamento di tutti i giorni. Poi alcuni supervisori hanno cominciato a controllare se tutto fosse in ordine, mentre altri verificavano il nostro vestiario.

Poi siamo scesi e istruttori e comandante ci hanno introdotto il corso. Alle 19 in punto la cena e subito dopo la prima lezione teorica di vela: eravamo stanchi per la giornata faticosa, piena di emozioni e “traumi” e a malapena riuscivamo a seguire la spiegazione degli istruttori. Alle 22,50 siamo saliti e in 10 minuti abbiamo dovuto fare la doccia (in ogni camera 4 persone e due docce) e prepararci per andare a letto. Pensate, nemmeno il tempo per contattare i nostri genitori.

Ecco la giornata tipo. Alle 7 in punto i nostri supervisori ci svegliavano urlando per i corridoi: “Sveglia! Sveglia! Avete 15 minuti per fare il cubo, lavarvi, vestirvi e fare il letto!”. Noi scattavamo e iniziavamo a far tutto. Nel frattempo uno dei supervisori entrava per controllare i cubi: se ben fatti metteva i cuscini sul materasso, altrimenti era tutto da rifare. Terminati i 15 minuti, dovevamo essere fuori schierati mentre i supervisori controllavano i letti e l’ordine dei bagni: se trovavano il letto fatto male, lo disfacevano e ci richiamavano a rifarlo in 2 minuti. Finita l’ispezione alzabandiera, inno d’Italia e infine in mensa per la colazione. Finita la colazione un’ora di lezione sugli esercizi che avremmo dovuto fare in barca e le informazioni base sulla vela.

Ci recavamo quindi al lido di Venezia: una parte di tragitto col vaporetto della scuola (i più fortunati in gommone) e l’altra a piedi. Arrivati al lido ci cambiavamo con scarpette da scoglio, salvagenti, cappellini, occhiali da sole e molta crema solare per evitare scottature. Ogni equipaggio spingeva fino a riva la propria barca, la armavamo e andavamo in mare aperto senza istruttori (con gli istruttori solo i primi 3 giorni).  Alle 12 circa tornavamo in spiaggia e si mangiava: finito il pranzo gli istruttori ci spiegavano quello che avremmo dovuto fare nel pomeriggio e, dopo neanche un’ora e mezza, eravamo di nuovo in mare. Per le 16,30/17 dovevamo rientrare in spiaggia, disarmare le barche, riportarle dove erano il mattino e risistemarci per far rientro a scuola.

Nella sezione velica, gli istruttori facevano il punto della situazione e un’analisi della giornata e poi in mezz’ora dovevamo farci la doccia e vestirci con la divisa della marina per la franchigia. Alle 19 scendevamo per cenare: prima di iniziare qualsiasi pasto dovevamo stare davanti ai tavoli in posizione di riposo e un ragazzo presentava a un superiore in mensa ordinandoci: “A-ttenti!” Poi si girava verso il superiore dicendo: “Mensa Allievi” e il superiore rispondeva: “Grazie, seduti” e noi tutti, ancora sull’attenti ci rivolgevamo al capo tavola che poi ci dava il permesso di sederci. Non bisognava far rumore con la sedia: dovevamo sollevarla con una mano, avvicinarla a noi mentre ci sedevamo. Una volta preso il pasto dovevamo aspettare che tutti i componenti della tavolata ci fossero. In caso fossimo i primi a usare qualcosa, ad esempio la brocca d’acqua, dovevamo chiedere al capotavola: “Posso iniziare l’acqua?”; mentre nel caso in cui fosse al termine dovevamo chiedere: “Posso finire l’acqua?”. Se dovevamo alzarci da tavola per prendere il bis dovevamo chiedere il permesso. Per iniziare il secondo o la frutta dovevamo aspettare che tutti finissero il pasto. Inoltre a tavola si stava con i piedi uniti, la schiena dritta appoggiata allo schienale, i gomiti chiusi e mani sempre sul tavolo. La parte più critica e (in un certo senso) divertente del pasto era il momento della frutta. Vi starete chiedendo il perché. Ora vi spiego: la frutta più piccola del palmo della mano si poteva mangiare con le mani, mentre la frutta più grande del palmo della mano (come mela, pera, banana) dovevamo mangiarla con le posate: una cosa impensabile ma obbligatoria. In quel momento, pezzi di mela che schizzavano, rumori metallici che riempivano la sala…ma a forza di farlo eravamo diventati quasi degli esperti. Finito il tutto si faceva la stessa presentazione dell’inizio e si sparecchiava. Dopo cena ammainavamo la bandiera, segnavamo l’orario di franchigia e in gruppo uscivamo in centro Venezia.

Era la parte direi fondamentale della giornata, dove potevamo chiamare le nostre famiglie e amici ed era uno dei pochissimi momenti dove potevamo conoscerci meglio tra noi ragazzi. Per le 22,30 ritornavamo in accademia e per le 23 dovevamo essere già a letto.

Come vedete le nostre giornate erano molto organizzate e non esistevano tempi morti. La domenica è stata la giornata di riposo e abbiamo visitato la città di Venezia, in particolare l’Arsenale, il museo storico navale e il campanile di San Marco, dove abbiamo potuto ammirare dall’alto l’intera città di Venezia e scattare tante foto.

L’ultimo giorno è stato molto speciale: al mattino abbiamo fatto una regata, cioè la gara di barca a vela: 8 equipaggi composti da 5 persone e uno (il mio) da 4 perché una ragazza che non aveva il vaccino antitetanico si era dovuta ritirare il secondo giorno. È durata tutta mattina e, dopo tante fatiche, il mio equipaggio ha vinto: eravamo così felici che arrivati a riva ci siamo dati un lungo abbraccio di gruppo. All’inizio è stata dura essere organizzati e controllare le nostre emozioni in alto mare, ma lavorandoci assieme ce l’abbiamo fatta.

Al pomeriggio, dopo pranzo, siamo tornati all’accademia sulle nostre barche e per un tratto da soli; ma nella barca del mio equipaggio si erano rotte alcune cime e scotte, quindi abbiamo dovuto essere aiutati da un istruttore. Nella zona velica abbiamo disarmato le barche, le abbiamo lavate e abbiamo messo in ordine ogni componente.

Il comandante ci ha fatto un discorso di fine corso e ci hanno consegnato gli attestati di partecipazione, le tessere FIV (federazione italiana vela) e le medaglie agli equipaggi classificati nelle prime tre posizioni. Poi la premiazione: in sala giochi ci aspettava un buffet molto ricco e gustoso. La mattina dopo, la partenza verso casa.

È stata un’esperienza incredibile e unica non solo perché abbiamo fatto un corso di vela in un’accademia militare, ma anche  per le persone che ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere e per lo stile di vita che conducevamo. I primi due giorni devo dire che sono stati tosti e, per alcuni ragazzi, molto ma molto difficili, perché vivevamo praticamente una vita militare dove tutti i programmi erano scanditi e non bisognava sforare: ad esempio per noi ragazze è stato difficile gestire la questione dei capelli da asciugare e, la maggior parte delle volte, li lasciavamo umidi.

All’inizio inoltre i nostri supervisori erano molto severi e rigidi, non ridevano mai, per ogni piccola cosa ci riprendevano e noi non potevamo fare nulla perché, nonostante avessero la nostra stessa età, dentro la scuola erano i nostri superiori, e dovevamo sottostare ai loro ordini; nei giorni successivi fortunatamente si sono sciolti e sono diventati più “umani” e, addirittura, sono diventati nostri amici.

Un’altra cosa che per alcuni rendeva difficili le giornate era l’assenza del cellulare che potevamo usare solo di sera per chiamare i nostri genitori e amici durante il tempo libero.

I nostri istruttori sono stati di una professionalità eccezionale e sempre disponibili in caso di necessità. Poi i ragazzi: ognuno con i propri pregi e difetti, diversi e particolari nella personalità, sono stati fantastici e, onestamente, non sono stata mai così legata a un gruppo. Eravamo molto uniti: ci aiutavamo, ci sostenevamo nei momenti difficili, tutti parlavano con tutti, giocavamo, ridevamo, scherzavamo e abbiamo vissuto insieme avventure e disavventure. È stato difficile lasciarci: quasi tutti piangevano e gli abbracci erano lunghi e intensi, segno dello stretto legame che si era instaurato. Abbiamo passato momenti indimenticabili insieme che non scorderò mai.

Consiglio di intraprendere questa esperienza a coloro che abbiano la voglia e la curiosità di scoprire e vivere (anche se per pochi giorni) la vita militare e sperimentare un’esperienza educativa-sportiva, soprattutto a chi pensa di intraprendere la carriera militare, per potervi fare un’idea generale.

Celine Polepole, 3 B Scientifico

 

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Violence against women: the origins

Posted by admin On Gennaio - 22 - 2018 Commenti disabilitati su Violence against women: the origins

Violence against women is nowadays a common phenomenon which has very ancient roots in cultural attitudes and that, in various ages, dominated the way of understanding the relationship between man and woman. Women have always been considered inferior to men and destined to silent obedience.

The concept of classical Greek antiquity, where the woman is considered inferior to man by Platone, while for Aristotle the woman is “of weaker nature” since the “female body is incomplete”, authorizes submission.

Christianity resumes and confirms this submission; for St. Paul “women leaders are the man, a woman can’t teach, can’t say what she thinks but she must remain silent; from this conception the Catholic prohibited women to do  priestly duties.

The idea that women don’t have sexual needs, remains during the Middle age, the Renaissance and the following centuries: Emile Rosseau wrote that while “the man is active and strong, the woman is passive and weak”, hence derive that the sex relationship between the sexes has a character of violence believing that female sexuality is satisfied from child birth.

The recognition of a different value of women was born in Europe in the last century, with the ability of women to spread their ideas thanks to the suffragettes movement.

By the end of the 1960s, contraceptive led to greater sexual freedom for women. On a cultural level, violence is identified as a legal and illegal act depending female circumstances or civil status.

In the Bible, rape is a crime against property (man’s property), punishment for rape is death, not only for the kidnapper but also for the victim, if married.

There is an idea that women are responsable for rape, because during sexual violence they actually want a sexual intercourse and with their behaviour they excite men.

These ideas perpetuate aspects of female representation that aren’t no longer acceptable today.

Law 66 of 1996 on Sexual Violence against women basically modifies the way of representing rape, this law is a consequence of changes involving the woman’s image.

In 1976 Russel interviewed 900 women in the United States of America and found out that one on four had been raped.

Giada Ubiali, 5 A Coreutico

 

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Human mind: complex and awesome thing

Posted by admin On Gennaio - 22 - 2018 Commenti disabilitati su Human mind: complex and awesome thing

Human mind is one of the most complex and awesome thing that could exist.

It’s often defined as a “centre of control” of the whole organism, essential on a physic level, but a potential destroyer on a psychologic level. Our mind allows us to escape from reality, makes revolutionary discoveries and take important decisions. We often think we have the complete control on it, but we don’t. On the contrary, it has the power to control us and our lives.

We’re its slaves, and as far as we can try to be independent , we’ll always be subdued to it. Think about pain. We live with it during our whole life, trying to find a therapeutic way to get rid of it or to relieve it, we talk about pain and say our opinion about it.

This is widely shown in literature. Lots of poets have a pessimistic point of view of life, of human condition and they show it in their work. For example we can quote Leopardi, who defined happiness as a transitory cessation of pain.

Every person has his pains and problems. How many times, after we experience a shock, or a simple delusion, do we intend not to think about it? We repeat  to ourselves and to the others that everything is fine, as we need a confirmation, we try to keep away everything that could make things worse and we keep going ahead…

Of course, we go ahead, if we’re  strong enough, if we receive the right support, but that wound will always be there.

And every promise we make to ourselves is actually useless because unconsciously or not, we’ll continue clinging on the past, at least during the first period, with photos, material objects, music but mostly with thoughts.

At this point our dear mind won’t leave us in peace until we can’t be able to make the rationality winning on the feelings, that isn’t an easy thing to do.

The pain is often due to a rejection of the present, of the change. The injured man hides in the past to find the peace in useless hopes that end revolting against us and destroying us on an emotional level. But “Be strong”, “You have to go ahead”, well that’s right but not everyone is strong enough.

Lots of people become slaves of the pain, throw the weapons away and give up and they could not be considered mere weak persons. All of this often becomes a real disturb or illness.

Scientists try to give a rational and scientific explanation and they are partially successful, but there are lots of things that can’t be totally explained with science.

For example, why could psychologic pain be worse than physical pain? They’re just impulses given by brain reactions, right?

I don’t think we can limit this. It is something intrinsic in human soul. Psychologic pain causes lots of negative effects  on the person who suffers from it.

Sometimes a sensation is felt on the chest, something similar to an ache, as our heart isn’t temporarily able to beat as before.

But time repairs everything, be patient and don’t give up. Mind controls us. It will repair everything, at the right time.

Francesca Ferraro, 3 B Scientifico

 

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