Sunday, November 2, 2025

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Il razzismo, un odio da non tollerare

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Il razzismo, un odio da non tollerare

Il razzismo credo sia una forma acida e datata di odio, che riesce purtroppo a ferire sempre più persone ogni giorno nel mondo. Penso che tutto parta da un presupposto: non si può criticare, giudicare o, peggio, offendere qualcuno per qualcosa su cui non ha potere decisionale. La propria nazionalità, come il colore della pelle, rientra tra quelle cose che sfuggono al nostro controllo: chi può scegliere infatti in quale Paese nascere?

Per questo penso che chiunque abbia comportamenti razzisti o ferisce qualcuno solo per la sua provenienza debba essere punito: perché nel 2019, anno in cui lo scambio culturale tra le popolazioni è molto forte, non si può accettare chi a sua volta non tollera una persona proprio per le sue diversità culturali.

Uno dei problemi principali di oggi è che le persone generalizzano senza conoscere e, generalizzando, rendono difficile l’integrazione tra culture diverse. Noi stiamo vivendo in un’epoca e in un Paese in cui stanno avvenendo moltissimi cambiamenti e, per questo motivo, il razzismo va fermato al più presto.

Penso che l’uomo abbia paura di quello che non conosce: per questo motivo si mostra “forte” con insulti e malvagità e questo porta solamente a violenza. Nella vita ricevi quello che dai: se dai odio riceverai odio, se aiuti sarai aiutato.

Fabio Bizzotto, 2 A Scientifico

Italia intollerante: arretrata, vittima di ignoranza e invidia

Il razzismo esiste in varie forme in Italia, e penso che l’Italia sia razzista: la maggior parte delle volte la causa è l’ignoranza, perché noi italiani spesso tendiamo a banalizzare su questi argomenti e non pensiamo magari, in relazione ad esempio agli immigrati, da cosa stiano scappando, perché, e cosa stiano lasciando.

Poi a volte subentra l’invidia mista a ignoranza, come quando un italiano accusa un immigrato di prendere 35 euro al giorno dallo Stato senza fare niente, senza sapere che in realtà di quella cifra 32 euro vanno alle associazioni che li ospitano. Altri italiani accusano gli stranieri di rubare il lavoro, ma sanno benissimo, ormai, che gli immigrati svolgono spesso quei lavori che noi non abbiamo più voglia di fare.

Sotto questo profilo l’Italia, secondo me, è ancora molto arretrata.

Lorenzo Palazzari, 2 A Scientifico

 

 

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Differenze tra uomini? Non è inferiorità

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Differenze tra uomini? Non è inferiorità

Credo che la parola “razzismo” non stia per forza a indicare l’odio di un popolo verso un altro, ma semplicemente la credenza di una persona nell’esistenza delle “razze”.

Esistono le etnie, naturalmente: una persona del Nord Europa è di etnia differente rispetto a un congolese, non solo per l’aspetto fisico, ma ovviamente anche – per alcuni aspetti –  genetico: la pelle scura del congolese è dovuta a una maggiore concentrazione di melanina e a geni diversi, non certo a un sintomo di inferiorità.

Siamo noi uomini poi che trasformiamo le differenze in un pretesto per giudicare, la discriminazione razziale, che è tanto grave quanto diffusa.

Per le diverse abitudini e culture, spesso tendiamo a insultare le persone perché ci sembra che un modo di fare diverso dal nostro sia sbagliato. Ma avendo storie e ideologie diverse, è inevitabile che un popolo affronti una questione in modo diverso da un altro; ciò non giustifica le brutalità a cui abbiamo assistito nel corso della storia. E che nonostante tutto proseguono.

Come si può fermare un’abitudine che prosegue da migliaia di anni?

Molti, soprattutto ragazzi, oggi sono molto discriminatori nei confronti degli altri, ma credo che per questo non li si possa incolpare: è comune tra i ragazzi insultare e giudicare anche chi è simile a ognuno di loro.

Il vero problema sono gli uomini con potere, che sono convinti di essere migliori degli altri, che pensano che bianco sia meglio di nero.

Un po’ come se il colore della pelle bastasse a giustificare l’omicidio di migliaia di persone.

Eleonora Arfini, 2 A Scientifico

 

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La guerra Civil en Aragón: julio de 1936

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su La guerra Civil en Aragón: julio de 1936

Profundizo sobre el argumento de esta Comunidad Autónoma, porque soy originario de Zaragoza y parte de mi familia materna vivió en primera persona este suceso histórico.

La Guerra Civil española afectó mucho la vida de los españoles del siglo XX, y también la actual.

En Aragón la guerra se vivió con mucha intensidad respeto a otros lugares de España, a causa de su posición estratégica en el mapa: la región, en esa época y actualmente  Comunidad Autónoma limita al este con Cataluña, cuya capital Barcelona es  la segunda ciudad de España más importante; a Oeste limita con Navarra, Castilla y León y La Rioja (en la época parte de Castilla la Vieja); por el Norte limita con Francia, principal vía de escape al final de guerra por parte de la población; al sur con Castilla la Mancha y Madrid (una vez llamada Castilla la Nueva) y Comunidad Valenciana (al tiempo Valencia).

El conflicto empezó el 18 de julio de 1936 y Aragón estaba dividida en dos fracciones: a Oeste el bando sublevado y una mínima parte del territorio y al este el bando republicano.

La primera gran acción bélica en la región fue el famoso bombardeo republicano de la Basílica del Pilar, en Zaragoza, donde un avión descargó tres bombas hacia la catedral, y gracias a un “milagro” ninguno de los tres explosivos estallaron, causando solo daños muy leves.

Entre el 1936 y 1937 los republicanos avanzaron debido a la victoria de Belchite, que acabó en tragedia. De hecho el  pueblo entero fue arrasado a causa del duro enfrentamiento, y los cadáveres de los civiles fueron metidos en tanques de vino situados en la bodega del pueblo. Al final de la guerra fue reconstruido el nuevo pueblo, en parte al lugar destruido y aún hoy se puede pasear entre las ruinas.

También en el pueblo de mis abuelos, habían destrozado la iglesia, en su interior estaba el retablo, el cual tenía mucho valor. En la actualidad se encuentra la iglesia reconstruida y restaurada.

Habían muchos fusilamientos a civiles de ambos bandos  y un episodio en un pueblo, muestra que unos soldados mojaron a un prisionero de gasolina, lo fusilaron, y lo colgaron en un puente.

Habían numerosos eventos tristes contados por  testigos, por  ejemplo, la historia de dos hermanos que lucharon en la guerra, uno en el bando sublevado y otro en el republicano. El primero intentó sin éxito salvar a su familiar del fusilamiento, que fue capturado por sus compañeros. Mientras, un amigo de mi abuelo luchó y vio morir  a uno de los muchísimos voluntarios italianos, donde decenas y decenas de ellos descansan en el Sacrario del parque Pignatelli de  Zaragoza.

Basándome también en leyendas, se dice que dentro de una estatua de un pueblo de Zaragoza, se escondió algo de dinero; pero es común que a día de hoy hay muchos objetos de valor y documentos, también personales, que se hayan destruidos, perdidos o escondidos.

Desde 1937 hasta el final de la guerra, los sublevados reconquistaron los pueblos aragoneses uno a uno y  sin embargo duros duelos como los de Teruel y Fuendetodos, (en este último las trincheras de la Sierra Gorda) hoy se pueden visitar.

Después de estos enfrentamientos, se pasó a la decisiva batalla del Ebro, con la victoria de los nacionalistas, donde permitió a estos últimos dirigirse hacia Cataluña y la actual Comunidad Valenciana, últimos territorios controlados por los republicanos.

Alberto Grassi, 1 A Scientifico

 

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Libertà di parola e pensiero, ma nei limiti

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Libertà di parola e pensiero, ma nei limiti

L’articolo 21 della Costituzione Italiana dice che tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La libertà di pensiero, e di stampa, però, non esiste in tutte le Nazioni: infatti, in paesi come Eritrea, Corea del Nord, Cuba e Iran, per fare qualche nome, la stampa è monopolizzata dal governo e addirittura la Turchia è stata recentemente definita come “la più grande prigione di giornalisti”. Questo perché ogni qualvolta qualcuno prova a non seguire gli ordini del governo viene processato e successivamente imprigionato.

Fortunatamente in Italia questo importante articolo della Costituzione è stato approvato dall’Assemblea Costituente il 14 aprile 1947. Prima, la situazione in Italia sotto il regime fascista era ben diversa: vi era una censura che impediva ogni tipo di comunicazione e permetteva al Duce di circuire facilmente le menti del popolo.

Oggi quell’articolo è alla base anche dell’operato dei giornalisti: rappresenta il fondamento su cui nasce e si sviluppa tutto il loro lavoro.

Personalmente, il solo pensiero di vivere in un periodo con questo tipo di restrizioni mi terrorizza: restare all’oscuro di quello che succede attorno dev’essere sconfortante.

Penso che le idee di tutti vadano rispettate e che mai nessuno dovrebbe sentirsi giudicato per queste. Ma vi è un limite a questa libertà?

La risposta è sì: questi limiti si dividono in espliciti, cioè come il buon costume, e impliciti, come quello dell’onore e della reputazione, della riservatezza, dell’identità personale e altri.

Insomma, qualcuno pensa che non bisognerebbe mettere alcuna una limitazione alla libertà di parola, ma io penso che, nonostante questo sia un diritto fondamentale, siano necessari alcuni paletti per favorire la pacifica e civile convivenza umana.

Bisogna sempre riflettere sul fatto che dietro alle parole c’è molto altro, possono pesare e causare problemi. Ricordiamo l’accaduto del 7 gennaio 2015, quando Charlie Hebdo – il settimanale satirico francese – è diventato oggetto di un attacco terroristico che ha portato ben diciassette morti: il tutto a causa della pubblicazione di alcune vignette satiriche su Maometto.

Albert Einstein diceva che la libertà d’insegnamento e di opinione, nei libri e sulla stampa, sta alla base dello sviluppo sano e naturale di ogni popolo: ed è proprio così, perché una società senza questi diritti mai riuscirebbe a evolversi.

Camilla Shnitsar, 2 A Scientifico

 

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MMA: prestigious sport or mere brawl?

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su MMA: prestigious sport or mere brawl?

The acronym MMA stands for Mixed Martial Arts. Basically, it’s the combination of various fighting styles like Sambo, Boxe, Jiu-Jitsu, Greco-Roman Wrestling etc…

The most important MMA competition is the American Ultimate Fighting Championship (UFC) founded in 1993. The goal of this society is to find the best fighter in the world, no matter the fight techniques of the competitors.

At the beginning, it was very criticized due to the almost lack of rules: a fighter on the fight stage could do whatever he wanted to do but this led to very cruel battles and severe injuries or deaths.

MMA gained the notorious reputation of the most brutal fighting sport ever, leading many TVs or media refusing to talk about it. Many nations, for example France, banished this activity. So, with the goal of surviving, it was decided to add strict rules to this competition. Here’s a short list of the rules:

no groin attacks; no knees to the head on a grounded opponent; no strikes to the back of the head or the spine; no head butts; no biting; no fingers in an opponent orifices.

Now, with the implementation of a true regulation, fightings became significantly less violent and MMA started gaining a lot of watchers and fans. Today, it’s popularity threats even Boxe.

Davide Casiraghi, 5 B Tecnico

 

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Infanzia abusata, anche nel 3° Millennio

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Infanzia abusata, anche nel 3° Millennio

Secondo i dati statistici diffusi dall’UNICEF, nel mondo circa 150 milioni di bambini e fanciulle sono vittime di schiavismo e di altre atrocità. Più di 2 milioni e mezzo di questi ragazzini vengono sfruttati ogni giorno nelle Nazioni sviluppate.

Come si può vivere una vita serena leggendo questi dati allarmanti? Come si può stare bene, sapendo che un numero di bambini maggiore rispetto all’intera popolazione russa è costretto a lavorare in miniera, nelle piantagioni, o in oscure e luride fabbriche? Non si può.

Diversamente da quello che si pensa, questi dati non coinvolgono solamente i bambini colpiti da questa ingiustizia, ma riguardano anche la nostra società. La maggior parte di ciò che compriamo, soprattutto scarpe e vestiti, sono stati infatti prodotti da loro.

Gran parte delle Nazioni che vedono la presenza di schiavismo sono collocate nell’Asia meridionale, ma ce ne sono molte altre in Africa e in America meridionale.

In Thailandia il 32% dell’intera forza lavoro è costituita da minorenni mal pagati e mal gestiti; in questo momento in India stanno lavorando faticosamente circa 60 milioni di ragazzini (un numero che arriva quasi a eguagliare l’intera popolazione italiana). In Perù il 20% dei lavoratori nelle miniere ha fra gli 11 e i 18 anni; in una giornata qualunque in Egitto 4 milioni di bambini vengono sfruttati e, purtroppo, la lista può continuare ancora molto a lungo.

Lo schiavismo però non è l’unica ingiustizia che rende questi bambini infelici. Soprattutto nei paesi del Medio Oriente e dell’Asia meridionale, come India, Pakistan, Afghanistan e Turkmenistan, molte fanciulle vengono costrette a sposarsi ancora bambine. Considerando anche il fatto che queste nazioni orientali non sono esattamente conosciute per i diritti concessi alle donne, si può ben intuire che queste fanciulline indifese, una volta divenute “spose”, siano poi considerate come semplici oggetti da collezione, e soggette anche a numerosi atti di stupro e violenza. Pensando anche solo a una piccola parte dei bambini sfruttati sento come un nodo alla gola, e mi viene da pensare a quanto io sia stato fortunato.

Noi però possiamo fare qualcosa: possiamo denunciare queste atrocità, possiamo fare in modo che queste persone paghino per le loro colpe.

Per fortuna in alcune Nazioni il fenomeno si sta arginando, grazie per esempio ai nuovi ed efficienti macchinari nel campo del lavoro, che garantiscono ricchezza anche per i più bisognosi, senza necessità di sfruttamento. In altri casi invece, purtroppo, lo schiavismo e le violenze continuano ancora a fare vittime.

Avendo in mano questi dati che incutono nient’altro che paura e orrore, e pensando a tutte le cattiverie e ingiustizie che quelle povere creature devono sopportare ogni giorno, penso che, forse, Pascoli non aveva torto nel considerare il nostro pianeta “un atomo opaco del Male”.

Filippo Mancuso, 2 A Scientifico

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Chang-e4: on the dark side of the Moon

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Chang-e4: on the dark side of the Moon

There’s a dark side of the moon that we never see due to the synchron rotation. China sent a lander and a rover to this hidden face of our satellite.

The motion of the moon and the one of our planet are now synchronised: the rotation period of the moon lasts exactly as the revolution period of the Earth.

This is the reason why we can’t see with our eyes this hidden part. The first pictures of this dark side was observed on 10th October 1959 by the Soviets during an overflight.

On Christmas Eve 1968, three American astronauts were the first ones to see directly this hidden face (Mission Apollo 8, with Frank Borman, James Lovell and William Anders).

From a morphological point of view the dark part has more craters than the part facing our planet because the Earth protects this side of the moon from meteorites  while the other one has no protections.

We sent rovers on Mars but until the Chang-e4 mission we have never overview the hidden face of the moon, despite we took pictures of it sixty years ago. This is because on this side is impossible for astronauts or probes to communicate with Earth, until the Chinese, on May 2018, sent a probe called Queqiao, that acts as a radio bridge, to collect the information from the mission Chang-e4. The Chinese made this historic mission for different reasons.

The conquer of the moon is one of the most important goals of the space agencies of the world. Furthermore the hidden side of the moon is an unknown region and the Asian agency wants to investigate on morphological and mining aspects that will help scientists to better understand the evolution of the moon and of the solar system.

Stefano Macchia, 3 A Scientifico

 

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Cellulari e tecnologia, un confronto

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Cellulari e tecnologia, un confronto

La dipendenza da cellulare è un argomento molto delicato. I giovani d’oggi, secondo me, sono troppo dipendenti dal cellulare e, infatti, molti ragazzi lo trattano quasi come se fosse una vera e propria persona.

Il telefono per me è solo un mezzo che ti permette di comunicare o stare in contatto, attraverso Internet, con le novità nel mondo. Anche i bambini molto piccoli ormai sono da considerare “dipendenti”, perché i loro genitori permettono che avvenga: credo sia un’assurdità che, per non far piangere un bambino, gli si debba dare un telefono fra le mani: piuttosto un giocattolo!

Ormai l’evoluzione della tecnologia sta mutando l’uomo, che cerca sempre di agevolarsi la vita usando (e abusando) la tecnologia.

Davide Feier, 2 A Scientifico

La tecnologia, al giorno d’oggi, a mio parere, è indispensabile. Ormai tutti si sono abituati  e nessuno ne farebbe volontariamente a meno. Con il termine tecnologia io intendo un po’ tutte le innovazioni che, nel corso degli anni, ci hanno in qualche modo semplificato la vita.

Come ogni cosa, anche la tecnologia in sé e per sé ha pregi e difetti. Tra le qualità c’è sicuramente l’aver semplificato la vita di molte persone con oggetti come il navigatore satellitare, il telefono, ma anche gli apparecchi acustici. Invece, volendo vedere i difetti, secondo me, alla fine ce n’è uno solo: il rischio della dipendenze.

Ci sono molte persone, compreso me, che senza alcuni oggetti non vivrebbero: come cellulare e videogiochi. A soffrire di questo sono soprattutto i più giovani, ma io mi ritengo fortunato a essere nato in quest’epoca così tecnologica.

Nicola Salvi, 1 A Scientifico

 

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“Biri gyaru”, a famous film in Japan

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There is a really famous film in Japan based on a true story called “Biri gyaru” (in the American version “Flying colours”). “Biri” and “gyaru” are two new Japanese words. “Biri” is the worst student in the class and gyaru is a girl with golden hair, a lot of make up who wears short skirts. 

This is a story of a Japanese high school student, Sayaka, who hasn’t been studying  for 5 years but then she has to get ready for her university entrance examination and so things have to change!

It is really difficult to enter in a university in Japan because of the high amounts of tests, so students usually study for these exams for 2 or 3 years attending cramming schools.

In the movie Sayaka’s mother sends her to a cramming school where she chooses the Keio University, considered one of the most prestigious and difficult university in Japan. Her family, in particular her father, believes that her destiny is failure, nothing more. Her tutor never gives up and so Sayaka becomes determined to study hard to prove that her parents are wrong.

Over the course of the summer holidays, Sayaka works diligently, without hanging out with her friends anymore, changing her physical aspect to show her seriousness.

Her results progressively improve on practice tests and her academic deviation value increases from 30 to 70 percent… and here we have the happy ending. The message is clear: we have to be confident with ourselves believing in our possibilities.

Locatelli Anna Margherita, 4 B Scientifico

 

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La Terra: né sferica, né piatta

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su La Terra: né sferica, né piatta

Molte persone danno per scontato che la Terra sia sferica, ma come reagirebbero se io affermassi invece che il nostro pianeta non possiede la forma di una sfera? Molto probabilmente alcuni leggerebbero ciò che ho appena scritto, e  penserebbero che io non stia facendo nient’altro che disinformazione.

Tutto questo però non è per niente vero, poiché è normale che la teoria della perfetta sfericità della Terra presenti molte piccole imperfezioni sul piano scientifico e matematico.

Innanzitutto, la Terra assume la forma di un geoide di rotazione, e non quella, precisa e geometrica, di una sfera.

Per chi non sapesse cosa sia un geoide, basti sapere che è un “compromesso” tra la sfera, che rappresenterebbe la Terra, e i punti più alti (le vette delle montagne, le colline, ecc…) e più bassi (le depressioni, i fondali marini e oceanici, ecc…) della superficie del nostro pianeta. Penso infatti che non ci sia bisogno di specificare che la superficie del nostro pianeta sia costituita da montagne, pianure, colline, mari e oceani, e che non sia uniforme.

Inoltre c’è da considerare che il nostro pianeta, a causa della rotazione che effettua ogni giorno su se stesso, viene leggermente schiacciato sui poli, come se ci fosse una gigantesca pressa idraulica che continua appunto a premere incessantemente, deformandolo.

Nonostante ci siano parecchie teorie scientifiche che sostengono questa mia affermazione, le persone continuano a pensare che la Terra sia semplicemente una grossa sfera che ruota su se stessa, sbagliando: scienziati come Isaac Newton (Woolsthorpe-by-Colsterworth, 25 dicembre 1642 – Londra, 20 marzo 1727), avevano già parlato del fatto che la Terra non fosse perfettamente sferica. D’altro canto, proprio al giorno d’oggi, ci sono perfino molte persone che credono ancora che il nostro pianeta sia piatto come un disco.

Filippo Mancuso, 2 A scientifico

 

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Liceo Coreutico, da 5 anni al top

Posted by admin On Aprile - 1 - 2019 Commenti disabilitati su Liceo Coreutico, da 5 anni al top

Anche il Liceo Coreutico “Locatelli” apre le porte al pubblico e, soprattutto, ai nuovi aspiranti alunni e ai loro familiari. L’appuntamento è per domenica 2 dicembre, a partire dalle 9 del mattino.

L’occasione verrà sfruttata per presentare la scuola di ballo, coordinata dalla professoressa Elena De Laurentiis fin dalla sua apertura, nell’anno scolastico 2013 – 2014, e con al direzione artistica a partire dall’anno scolastico 2015 – 2016 dell’étoile Carla Fracci, sempre presente col suo consiglio e col suo supporto per accompagnare le ballerine (e i ballerini) sia nel momento dell’apprendimento che in quello delle tante esibizioni pubbliche e dei successi che vengono raccolti nei vari concorsi nazionali, testimonianza diretta del loro impegno.

Ultimi impegni del corpo di ballo, dopo le fatiche di fine anno scolastico scorso e dell’estate, sono stati due appuntamenti importanti per la nostra scuola e la sede di Grottammare: la consegna annuale dei diplomi.

Nel caso di Bergamo il corpo di ballo si è esibito ripetutamente, come negli anni scorsi, sul palco del Palacreberg, mentre per Grottammare la scelta è caduta sul teatro Verdi di San Benedetto del Tronto.

Tra le “fatiche” di fine anno, va almeno accennata la partecipazione di alcune allieve a esibizioni del ballerino di fama internazionale Roberto Bolle (On dance, accendiamo la danza).

Molte le  altre accademie e i festival nazionali e internazionali che hanno visto la partecipazione delle nostre ballerine; tra queste la English National Ballet School, la London Contemporary Dance School e la PineApple Dance School di Londra; l’Accademia nazionale di danza di Roma; l’accademia di Ballo Teatro alla Scala di Milano; la International School of Contemporary Dance di Monaco; la Oliva Contemporary Dance Project di Verona; l’International Dance Festival di Vienna; l’International Dance Festival e la Joffrey Ballet School di New York; e IB Stage di Barcello

 

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Da BgScienza alla ricerca in Lombardia

Posted by admin On Aprile - 1 - 2019 Commenti disabilitati su Da BgScienza alla ricerca in Lombardia

Dal concorso regionale “Lombardia è Ricerca” fino ad arrivare alla manifestazione internazionale di BergamoScienza, la nostra scuola si è distinta anche quest’anno per le interessanti proposte che sono state presentate.

In particolare al concorso “Lombardia è Ricerca”, seconda edizione, la nostra scuola ha ottenuto un ottimo piazzamento con lo Schiascopio Laser, uno strumento utilizzabile per verificare il difetto visivo delle persone.

La premiazione si è svolta giovedì 8 novembre presso il teatro Alla Scala di Milano, alla presenza delle massime autorità civili e militari della regione e con interventi di grandi personalità televisive e sportive a livello nazionale, tra i quali il noto presentatore Gerri Scotti.

A Bergamo Scienza, invece, come da parecchi anni, la nostra scuola si è distinta per gli esperimenti particolarmente elaborati e interessanti riprodotti e illustrati.

In questa edizione in particolare il nostro istituto ha presentato, tra l’altro, proprio lo Schiascopio Laser, già citato per il concorso “Lombardia è Ricerca”, la bilancia di Kavendish per la pesatura della terra e ancora altri interessantissimi esperimenti, che hanno affascinato gli spettatori di ogni fascia di età.

Come da ormai 5 anni, a organizzare  il laboratorio e a gestirlo ha provveduto il professor Ferdinando Catalano, abile scienziato specializzato nelle attività di laboratorio e insegnante di Fisica presso la nostra scuola per le classi del biennio.

Guido Pedone, 5 B Scientifico

 

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Pickelhaube, simbolo di un’epoca

Posted by admin On Aprile - 1 - 2019 Commenti disabilitati su Pickelhaube, simbolo di un’epoca

di Riccardo Bernocchi, 5 B Scientifico

All’indomani del centesimo anniversario della Prima Guerra Mondiale guardiamo come antichi oggetti da collezionismo i reperti di quel conflitto che, un secolo fa, sconvolse l’Europa e il Mondo intero. Quelli che oggi sono reperti bellici o uniformi, un tempo erano parte integrante della vita dei loro proprietari. Ogni cimelio, dal più banale al più raro e pregiato, racchiude dentro di sé una storia molte volte sconosciuta.

Tra i più grandi simboli di quell’antica Europa, che scomparve dopo la fine del primo conflitto mondiale, abbiamo l’elmetto con il chiodo, il Pickelhaube, massimo simbolo del militarismo prussiano. Le origini di questo copricapo sono antiche e risalgono al XIX secolo. L’elmetto, nella forma e struttura a noi nota, risale al 1842 quando il re Federico Guglielmo IV di Prussia lo fece adottare per la fanteria prussiana. Altre nazioni, come la Russia, lo avevano in dotazione e ancora oggi in alcuni paesi, come Norvegia e Inghilterra, è utilizzato da vari reparti.

Fatto di cuoio bollito e rinforzato con placche metalliche color argento o oro, il copricapo era caratterizzato dalla punta metallica, che in certe ricorrenze poteva essere sostituita, per gli ufficiali in alta uniforme e per alcune unità, da un supporto metallico con piume. Per i reparti dell’artiglieria la punta era sostituita da una sfera, simboleggiante una palla di cannone.

Altri elementi caratteristici del Pickelhaube erano l’ornamentale placca frontale, dalla quale si poteva dedurre la regione o la provincia di provenienza del reparto, e le placche di attacco del sottogola (laccio con il quale l’elmo veniva assicurato alla testa): due coccarde rotonde colorate, quella di destra con i colori nazionali (nero, bianco e rosso) e quella di sinistra con i colori della provincia di provenienza del reparto.

La Prima Guerra Mondiale spinse i tedeschi ad apportare varie modifiche al Pickelhaube. Già nel 1892, per diminuire la visibilità delle componenti metalliche, era stata prodotta una copertura in tela di colore marrone chiaro e, dopo il 1916, di colore “grigio da campo”. Il numero del reparto veniva segnato inizialmente in rosso, e dal 1914, sempre con lo scopo di ridurre la visibilità, in verde, sulla parte frontale. Altre modifiche vennero apportate al copricapo, sia per renderlo più funzionale, sia a causa della scarsità di materie prime, come ad esempio il cuoio.

Come tutti i copricapi indossati durante la Grande Guerra dai soldati delle diverse nazioni, anche il Pickelhaube, mostrò sin dall’inizio la sua fragilità. Infatti l’elmo non era in grado di proteggere la testa dalle pallottole o dagli shrapnel, proiettili riempiti di sfere metalliche che prima di impattare al suolo esplodevano.

La battaglia di Verdun, nel 1916, sancì il definitivo e inesorabile declino del Pickelhaube che venne gradualmente sostituito con un nuovo elmetto, divenuto poi celebre nella Seconda Guerra Mondiale: lo Stahlhelm (elmetto d’acciaio).

Anche il Pickelhaube non sopravvisse alla guerra e all’inesorabile sviluppo bellico. Rimane comunque il simbolo di un’Europa che è ormai solo un lontano ricordo e un pezzo ricercato dai collezionisti di reperti militari di tutto il mondo.

 

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La diga del Gleno, crollo annunciato

Posted by admin On Aprile - 1 - 2019 Commenti disabilitati su La diga del Gleno, crollo annunciato

La storia inizia nel primi anni del 1900. Siamo in val di Scalve, nell’alta bergamasca: nel 1907 l’ingegner Tosana di Brescia chiede  il permesso per lo sfruttamento dell’acqua del torrente Povo. Più tardi il permesso verrà concesso all’ingegner Gmur e quindi alla ditta Galeazzo Viganò, da Truggio, in provincia di Milano. È una ditta tessile e per questo ha molto bisogno di energia elettrica. Il progetto consiste in una diga a gravità costruita in località Pian del Gleno:  uno sbarramento verticale che si oppone alla forza dell’acqua grazie al suo peso, la diga del Gleno.

Nel 1917 la ditta Viganò inizia  i lavori di costruzione della diga anche se il progetto non è ancora stato approvato dal Genio Civile, e appalta i lavori di costruzione della diga a una ditta di Milano. Gli operai sono pagati a cottimo perciò lavorano velocemente e male. Abbiamo testimonianze di persone che hanno visto con i loro occhi che i ferri usati erano vecchi e alcuni provenivano, si dice, dalla prima guerra mondiale.

Una donna di Corna, uno dei paesi distrutti dall’acqua, ha detto che il padre le intimava di scappare perché in Val di Scalve girava la voce che la diga che si stava costruendo sarebbe crollata e che quindi avrebbe travolto i paesi sottostanti. Nel 1921 il progetto viene cambiato: sopra la base della diga a gravità, sarebbe stata costruita una diga ad archi multipli.

All’epoca la diga ad archi multipli era una novità. Era appena terminata la costruzione di una diga di questo tipo in Sardegna e, per essere al passo con le innovazioni, si decide di seguire il loro esempio.

Il cambio di progetto è, probabilmente, uno degli eventi scatenanti la caduta dello sbarramento. Se il progetto non avesse subito variazioni forse la diga non sarebbe caduta. Gli archi multipli vengono “appoggiati” alla base della diga senza fissarli adeguatamente. I lavori continuano fino all’ottobre del 1923, quando la diga è riempita per la prima volta in seguito a precipitazioni. Il brutto tempo prosegue fino a metà novembre, quando si registrano fuoriuscite di acqua dallo sbarramento. Il primo dicembre alle 6,30 il guardiano della diga, Morzenti, sente forti rumori ed esce per controllare cosa sta accadendo. Alza gli occhi e si vede i pezzi di diga cadere addosso. Allora scappa verso la montagna.

Alle 7,15 i dieci archi centrali della diga crollano portando con sé dai 5 ai 6 milioni di metri cubi d’acqua. Il primo paese che l’acqua raggiunge è Bueggio, dove vengono distrutte la chiesa e alcune case. Poi tocca a Dezzo, un paese diviso a metà dal corso del fiume omonimo. Le case sulla riva sinistra sono rase al suolo, mentre la parte a destra del fiume si salva per la presenza di un grande masso che devia il corso dell’acqua.

La val di Scalve è unita alla val Camonica dalla via Mala, una strada in alcuni tratti a strapiombo sul fiume. Questa via viene totalmente distrutta dall’acqua che scende a valle, perciò per molti giorni sarà  impossibile raggiungere la val di Scalve dalla provincia di Brescia. Dopo la via Mala si trova il paese di Angolo Terme, dove però non ci sono danni,  a parte la distruzione del ponte principale.

Si registrano morti a Mazzunno, ora frazione di Angolo Terme, ma che a quel tempo era comune a sé. Qui l’acqua distrugge la centrale idroelettrica, che in seguito è stata ricostruita ed è ancora funzionante. Sulle rive del fiume c’è il cimitero di Mazzunno, l’acqua lo abbatte e porta con sé i cadaveri. I mazzunnesi che erano presenti hanno raccontato che quando l’acqua si è calmata i cadaveri galleggiavano sui laghi che si erano formati.

Dopo Mazzunno c’è Gorzone, una frazione di Boario, dove però non si registrano danni. A Gorzone l’acqua è frenata da alcune rocce che ostruiscono il passaggio, così quando riesce a passare riacquista una notevole velocità. Proprio per questo quando  l’acqua raggiunge Corna, il paese più popolato di questa triste storia, rade al suolo tutto quello che trova sulla sua strada.

Solo a questo punto l’acqua si calma, raggiunge il lago d’Iseo  e lascia dietro di sé circa 360 morti accertati (ma alcune stime superano i 500) e molti feriti.

A seguito di questa catastrofe il re Vittorio Emanuele II, visita Boario, vicino a Corna, e Dezzo, per manifestare cordoglio ai sopravvissuti e vedere con i suoi occhi la distruzione. Il 2 dicembre anche Gabriele d’Annunzio visita i due paesi, a cui dona una somma di denaro non indifferente. Viene avviata un’inchiesta per capire di chi sia la colpa del crollo: viene imputato Virgilio Viganò, che dirigeva i lavori alla diga. Muore prima di andare in carcere. Durante il processo emerge che la causa principale del crollo è che gli operai riempivano la costruzione con materiali scadenti. È contato molto anche il cambio di progetto, non adatto.

Dove una volta c’era il bacino della diga, ora c’è un laghetto bellissimo, diventato  meta turistica.  Tante  famiglie  portano i figli ad ammirare la maestosità dei resti della diga e a raccontare loro un pezzo di storia locale. Io abito ad Angolo Terme, un paesino che ha vissuto in prima persona la tragedia della caduta della diga del Gleno. Credo che sia importante conoscere la storia per fare in modo che nessuno più commetta gli stessi errori.

Viola Ghitti, 1 A Scientifico

 

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Riforma del Copyright: analisi in corso

Posted by admin On Aprile - 1 - 2019 Commenti disabilitati su Riforma del Copyright: analisi in corso

Al giorno d’oggi sul web vengono caricati illegalmente molti video o film senza che l’autore venga retribuito o informato. L’Unione Europea ha così deciso di aiutare produttori e artisti contro la pirateria 2.0, ormai sempre più diffusa in rete, mediante la proposta di direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale: creata apposta per la protezione del diritto d’autore, non proteggerebbe solo i creatori di video e canzoni, ma anche scrittori, blogger e giornali.

La proposta, approvata il 20 giugno 2018 dalla commissione giuridica del Parlamento Europeo, si compone di vari articoli, ma solo tre potrebbero essere veramente nocivi e velenosi per il web: stiamo parlando degli articoli undici, dodici e tredici.

L’articolo 11, “Protezione delle pubblicazioni di carattere giornalistico in caso di utilizzo digitale”, renderebbe obbligatorio per piattaforme online che pubblicano link o snippet (frammenti di codice informatico estratto da un programma e reso pubblico) acquistare una licenza rilasciata dal creatore di quanto pubblicato. Sarebbe quindi un problema per siti come Google e Facebook, che sono saturi di traffico di questi dati che diventerebbero proibiti. Il creatore del contenuto potrebbe richiedere una quota di compenso simile alla link tax spagnola, relativa alla proprietà intellettuale.

L’articolo 12, “Richieste di equo compenso”, si ricollega in parte all’articolo undici, dato che grazie alla loro unione la link tax può esistere. È importante sottolineare che il compenso è valido solo se il contenuto è utilizzato a scopo di lucro e che, nonostante stiamo parlando di leggi sul copyright, la direttiva non comprende alcuna licenza Creative Commons, ente che si occupa della protezione del diritto d’autore e che si trova tra gli oppositori della direttiva.

Arriviamo ora all’articolo che ha fatto più di tutti imbestialire il Web, il 13: “Utilizzo di contenuti protetti da parte di prestatori di servizi della società dell’informazione che memorizzano e danno accesso a grandi quantità di opere e altro materiale caricati dagli utenti”. Proteggerebbe il web dall’upload di materiale soggetto a copyright, verificando preventivamente ogni contenuto caricato. Ma come? Con un filtro, simile al ContentID di YouTube (che avvisa chi subisce un plagio), chiamato BlueFilter: non avviserebbe solamente il plagiato, ma eliminerebbe il contenuto o lo mostrerebbe solo con pubblicità assai invasiva.

Contro questa proposta molte piattaforme online si sono opposte: tra tutte Wikipedia Italia ha spiccato, oscurando il sito per tre giorni e lasciando una pagina dove esponeva il problema della direttiva, con solo le due pagine  degli articolo 11 e 13 linkate. Perché questa chiusura? Wikipedia, come altre piattaforme, pubblica articoli e testi scritti da persone che non firmano, andando quindi contro la proposta europea e negando il proprio diritto d’autore.

La direttiva è stata rinviata al 12 settembre durante un’assemblea del 5 luglio 2018 che ha trovato più voti a favore che a sfavore: tra i voti a favore, sarebbe risultato solo un politico italiano, mentre il vicepremier Luigi di Maio si è dichiarato contrario. Il 12 settembre il Consiglio dell’UE si è riunito e la legge è passata, con l’articolo 13 ancora integro; la link-tax è passata pressoché invariata. Il che vuol dire che i due problemi più importanti riscontrati dalla maggior parte delle piattaforme restano: gli autori di meme dovranno pagare per ogni contenuto che pubblicano, Wikipedia rischierebbe di chiudere (dato che non dichiara l’autore dei propri contenuti), Google potrebbe avere problemi, soprattutto per la piattaforma Google News (poiché riporta titoli delle principali testate giornalistiche senza apportare alcun cambiamenti) e altre piattaforme potrebbero venir bloccate, tra cui alcuni siti utilizzati dai liceali, come Splash Latino.

Entro l’inizio di gennaio 2019 la riforma dovrebbe entrare in vigore, anche se la maggior parte dei web-creators coinvolti sperano in una burocrazia molto lenta e lunga, dato che è necessario trovare un modo per aggirare in parte questi controlli (soprattutto il BlueFilter) che, anche se necessari per proteggere scrittori e cantanti, sono superflui e troppo ferrei per il web, che si troverebbe violato della libertà che lo ha sempre caratterizzato.

Alessandro Donina, 3 A Scientifico

 

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Vita di Galileo o, piuttosto, riflessione?

Posted by admin On Aprile - 1 - 2019 Commenti disabilitati su Vita di Galileo o, piuttosto, riflessione?

di Elvira Bellicini, 4 A Scientifico

Per capire un’opera, serve capirne e conoscerne l’autore. E della “Vita di Galileo”, opera di cui ci occupiamo, l’autore è Bertolt Brecht, drammaturgo, poeta, regista teatrale, tra i più grandi e del Novecento (nasce il 10 febbraio 1898 in Germania). Le prime esperienze teatrali sono a Monaco e, nel 1928, raggiunge un grande successo con la rappresentazione dell’Opera da tre soldi. Nel 1933, quando sale al potere il nazismo, l’autore aderisce al marxismo e, all’avvento di Hitler, lascia la Germania e si stabilisce in Danimarca. Dopo aver peregrinato per 15 anni, nel 1941 approda sul continente americano, che abbandona alla fine del conflitto mondiale per rifugiarsi a Berlino, dove muore il 14 agosto 1956.

Nel corso della sua carriera, Brecht elabora una sua teoria del teatro, che chiama epico per distinguerlo da quello della tradizione borghese. Il teatro Brechtiano non produce illusioni nello spettatore, anzi provoca riflessioni, idee, pensieri, che lo portano a giudicare i personaggi e le vicende, ma soprattutto a non immedesimarsi nelle stesse. Lo scopo di Brecht, dunque, non è intrattenere lo spettatore, ma farlo ragionare. Nel suo teatro si assiste a una descrizione scientifica della realtà, con un’attenta rappresentazione dei contrasti e dei dissidi sociali.

Leben des Galilei”, o “La Vita di Galileo”, è un’opera teatrale di cui esistono numerose versioni e revisioni. Le principali risalgono ai periodi danese, statunitense e berlinese: rispettivamente 1938-1939, 1944-1945 e 1948-1953. È un dramma d’attualità che ripercorre la vita, le scoperte e le controversie in cui fu coinvolto Galileo dal periodo dell’insegnamento di matematica all’Università di Padova (1592-1610), al periodo seguente all’abiura (1633). Quest’opera non intende raccontare la vita di Galileo: Brecht si concentra infatti sull’operato scientifico di Galilei, tralasciando l’infanzia del protagonista e puntando i riflettori sul processo d’inquisizione e sull’abiura dello scienziato.

In tutte le versioni dell’opera la figura di Galilei è complessa e variegata. Il protagonista non rappresenta il convenzionale scienziato alieno alla quotidianità. Galileo è un uomo scaltro e non immune alle debolezze: nella prima stesura dell’opera, l’abiura dello scienziato viene mostrata come un atto di debolezza accettabile, in quanto viene vista come strategia per sfuggire alla morte e permettere la sopravvivenza della scienza. Nella versione danese si assiste dunque all’esaltazione della strategia che non coincide alla celebrazione dell’eroismo. ANDREA: Sventurata la terra che non ha eroi!GALILEO: “No, sventurata la terra che ha bisogno di eroi”: questo passo rispecchia la convinzione del drammaturgo secondo la quale, in un periodo di totalitarismo, non si necessita di un eroe individuale, bensì di un eroe collettivo rappresentato dal popolo stesso.

La versione statunitense, che coincide con la seconda stesura dell’opera, nasce in un contesto del tutto diverso. Scosso dalla creazione della bomba atomica, Bertolt si concentra sul concetto di deontologia della scienza: in questa revisione dell’opera, Galileo sostiene che, come la medicina possiede il giuramento di Ippocrate, anche la scienza dovrebbe avere e rispettare un codice etico. Dunque in questa edizione l’abiura rappresenta il momento in cui la scienza diviene in maniera irreparabile strumento del potere, rappresentando un pericolo per l’umanità. Nella scena quattordicesima, lo scienziato riflette sul concetto di scienza e tiene una profonda critica personale. Si accusa per aver abiurato, pentendosi di non aver combattuto per la instaurazione di una deontologia scientifica. Inoltre emerge il concetto di abiura vista come tradimento, in quanto alla fine della vicenda lo scienziato sostiene di non poter essere più riammesso nei ranghi della scienza  perché ha tradito la professione. Come anticipato, l’opera teatrale di Brecht oltre che a concentrarsi sulla tematica dell’abiura, convoglia l’attenzione sul tema dell’inquisizione.

L’ottava scena rappresenta l’emblema dell’argomento: Galileo si confronta con Fulgenzio, frate che vuole abbandonare la fisica, per paura di scontrarsi con la religione e per non togliere ai credenti la speranza dell’esistenza di Dio. Lo scienziato cerca di far capire a Fulgenzio che il suo compito è mostrare agli altri la verità, ma il frate non sembra voler lasciare le sue idee. Fulgenzio, rappresentante metaforico del popolo, non nega di aver visto le lune di Giove, ma dichiara di spiegarsi la condanna al Copernicanesimo come atto di misericordia da parte della Chiesa nei confronti della massa che crede in Dio e ha fiducia nel percorso divino che si compirà nella vita ultraterrena. Il popolo confida in Dio, crede in ciò che dice la Chiesa, non pensa che Dio eliminerà tutte le sofferenze e i guai, ma anzi crede che le sofferenze e le ingiustizie subite nella vita terrena siano una preparazione per una futura gioia maggiore.

 

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Pet therapy, un’innovazione dal passato

Posted by admin On Aprile - 1 - 2019 Commenti disabilitati su Pet therapy, un’innovazione dal passato

Fin dall’antichità l’uomo ha un rapporto con gli animali: se ne serve per il cibo, gli armamenti, gesti religiosi. Ma non solo: lo psicologo William Tuke, nel 1792 incita i pazienti del York Retreat Hospital a interagire con piccoli animali e a prendersene cura. Nel 1867, in Germania, il Bethel Hospital di Bielefeld, nato come Istituto per pazienti epilettici, accoglie disabili con patologie diverse, accostando le cure alla presenza di animali come cani e gatti.

Dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, in Francia, vengono affidati cani a pazienti malati di schizofrenia e depressione e, nel 1953, lo psichiatra Boris Levenson afferma che prendersi cura degli animali può placare l’ansia e rileva miglioramenti in un bambino autistico quotidianamente a contatto con un cane.

Nel 1961 compare per la prima volta, nel libro di Levenson, “The Dog as Co-Therapist”, il termine “Pet therapy”. Con questa espressione si indica una terapia che sfrutta la positività della relazione instaurata tra animale e paziente.

In Italia la “Pet therapy” è considerata una cura ufficiale dal 28 febbraio 2003 e gli animali coinvolti sono, oltre a cani e gatti, conigli, cavalli e asini; all’estero invece, vengono coinvolti anche porcellini d’india, alpaca e lama.

La terapia ha tre aspetti: migliorare la qualità della vita, sostenere l’inserimento sociale, e infine affiancare terapia medica tradizionale all’intervento di un animale per migliorare lo stato emotivo del paziente.

Queste attività sono impiegate per bambini e adulti affetti da autismo: l’animale ha il ruolo di favorire le relazioni, mentre negli anziani, che rischiano di cadere in depressione, stimola il senso di responsabilità. Nei pazienti malati di Alzheimer e Parkinson il rapporto con l’animale favorisce l’attenzione. Ci si avvale della “Pet therapy” anche per pazienti sottoposti a chemioterapia, affetti da iperattività, anoressia, soggetti con forme di disabilità o in carcere.

È un metodo innovativo, ma con origini antiche, per portare sollievo e aiuto a coloro che ne necessitano.

Camilla Shnitsar, 2 A Scientifico

 

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Musica del diavolo? No, salutare

Posted by admin On Aprile - 1 - 2019 Commenti disabilitati su Musica del diavolo? No, salutare

Erano le 3 di mattina. Ero comodamente sdraiato sul letto, totalmente immerso nei miei pensieri, quando in preda alla noia ho deciso di dare un’occhiata alle notizie musicali più recenti.

Dopo un po’ ho visto in mezzo a tutte le varie voci il titolo “La musica del diavolo”: si affermava che alcuni gruppi producono musica che porterebbe i giovani ad avvicinarsi a pratiche come il satanismo.

Green day, Sum41 e The pretty reckless vengono considerati produttori di musica del diavolo: alcune loro canzoni tratterebbero argomenti lontani dal concetto di religiosità e quindi verrebbero associate a pratiche oscure. In molti poi testimoniano che persone “per bene”, dopo aver ascoltato certi brani, si sarebbero trasformate, perfino dandosi al satanismo.

Ho deciso di cercare più informazioni e, dopo pochissimo, ho trovato migliaia di pagine con tema principale il metal o il rock, e addirittura ho trovato vere e proprie campagne e raccolte di firme per abolire certa musica. Ho trovato anche articoli su Corriere della Sera e La Stampa in cui veniva spiegato che questi generi farebbero impazzire anche i topi e che, se ascoltati per un lungo periodo, potrebbero portare a depressione e suicidio.

Un interessante intervento è stato fatto dalla professoressa McFerran dell’università di Melbourne, in Australia. In un’intervista afferma che “i giovani a rischio depressione è più probabile che ascoltino la musica, in particolare l’Heavy Metal in modo negativo. Quando qualcuno ascolta la stessa canzone, in particolare se Heavy Metal, più e più volte e non sente altro, lo fa per isolarsi e fuggire dalla realtà. Se questo comportamento persiste per un certo periodo di tempo, allora potrebbe indicare che il giovane soffre di depressione e ansia, e nella peggiore delle ipotesi potrebbe essere premonitore del suicidio.”

Dato che anche io ascolto alcuni di questi gruppi, da testimone diretto credo che questi siti e questi articoli non abbiano molto senso e che siano scritti da persone che hanno una minima cultura in ambito musicale. Si basano prevalentemente sul fatto che sia una musica che tratta argomenti che non sono religiosi e che hanno una melodia forte e ricca di molti suoni non propriamente “dolci”, ammettiamolo pure.

Questi articoli sono stati smentiti anche da “Medicitalia”, il sito ufficiale medico italiano che sostiene come la musica estrema aiuti invece a gestire la rabbia.

Quindi la musica ha un ruolo di autoregolazione, abbassando i livelli di ostilità, irritabilità e stress e aumenta l’ispirazione. La dottoressa Sharman afferma che “[…]i fan della musica Metal amano ascoltarla perché rispecchia il loro stato interiore del momento, e dando modo di esporre l’intera gamma di sfumature emotive, li aiuta a placarle”.

Concordo pienamente coi risultati di quest’ultima ricerca: sono convinto che non esiste melodia che possa portare l’animo alla depressione o al suicidio. La musica, in generale, ha un effetto rigenerante e calmante e aiuta l’uomo, aumentando la crescita.

Nicolas Barbieri, 2 A Scientifico

 

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Tecno-abuso, abbandono della memoria

Posted by admin On Aprile - 1 - 2019 Commenti disabilitati su Tecno-abuso, abbandono della memoria

di Eleonora Arfini, 2 A Scientifico

“Noi imparavamo i testi a memoria. I libri erano rari e costosi, quindi come potevi ricordarne e trasmetterne gli insegnamenti? Solo imparandoli a memoria”. Questo è ciò che dice il francescano Salimbene da Parma, in un testo di Alessandro Barbero.

Prima dell’invenzione della stampa i testi più importanti venivano scritti a mano, per cui la fortuna di trovarsi tra le mani un libro era molto rara e chi ne aveva la possibilità imparava ogni parola. Gutenberg cambia il mondo con l’invenzione della stampa: da quel momento in poi è possibile una maggior distribuzione dei libri, e quindi di sapere, anche tra i più poveri.

Ciò che però non si dice è che così le persone iniziano gradualmente a perdere il fondamentale uso della memoria.

E nel XXI secolo, con l’avvento della tecnologia, quasi la memoria non si sa più cosa sia. Mentre con la nascita della stampa le persone, pur non imparando più i testi a memoria, erano spinte a cercare le risposte nei libri per conoscere, ora con un click tutti i dubbi che ci sorgono vengono immediatamente risolti e questo fa sì che la capacità delle persone di riflettere e cercare risposte si stia atrofizzando.

Bisogna riconoscere che la tecnologia è alla base della nostra quotidianità e che senza di essa avremmo grossi problemi a continuare nella nostra routine: dipendiamo da gigabyte e pixel. Se abbiamo dubbi, l’ultima cosa che ci viene in mente è di scovare la soluzione tra ciò che ci può fornire il nostro cervello: automaticamente infiliamo la mano in tasca, prendiamo lo smartphone e cerchiamo la risposta su Google.

Tutte le innovazioni sono utili e positive, poi sta a noi decidere se utilizzarle in modo adeguato e corretto o invece scadere nel loro abuso.

Se usassimo la chemioterapia per curare ogni tipo di malessere, ovviamente invece di risolvere peggioreremmo la situazione. Tutti lo sanno. Quindi perché non ci accorgiamo di quanto sia pericoloso l’abuso della tecnologia e l’abbandono della memoria?

 

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Fairchild A10: the retirement of a legend

Posted by admin On Aprile - 1 - 2019 Commenti disabilitati su Fairchild A10: the retirement of a legend

1972.After almost ten years of development a new aircraft took off for the first time. Four years later it entered service with the US Air Force and the USMC. Since then, every soldier who fought in any branch of the us military force learnt to recognize the whistling sound of its engines, the beauty of its shape and, above all, the buzzing sound of its main gun. I’m talking about the Fairchild Republic A 10 thunderbolt II, more simply called the Warthog.

This aircraft has a long history and it is considered by many the best CAS (close air support) aircraft ever produced. This year, however, this legend could see the end of its career due to the age of its airframe. Even if the congress wants to keep it flying to reduce the costs of the probable development of its needed successor, the US Air Force itself is reluctant on that point.

Currently there are 103 million dollars of budget to complete the urgent replacement of the wings on the fleet of A 10 in use, but this will probably never happen. As Todd Mathes, an officer of the Air Force, told us: Spending so much money on an old aircraft is no longer worthy for the congress nor for the taxpayers”.

Their plan is to leave the already upgraded aircrafts (about 171) in use for at least five years and retire all the others (about 130), bringing the number of squadrons from 9 to 6. Although this is the official path chosen by the US  Air Force, someone disagree. According to captain Martha McSally, a former A10 pilot and squadron commander, 6 squadrons would not be enough to meet the needs of the troops in the field. It has to be said that, despite the Warthog has proven itself to be the most effective and most in demand aircraft to protect ground troops in Afghanistan and Iraq, the Air Force had repeatedly attempted to shrink or cancel the A 10 program.

In 2007, for instance, Boeing won the contract to build new wings and other parts of the airframe. Air Force leadership, however, allowed this contract to lapse in 2016, this resulting in an extra cost of about 103 million dollars to restart the wings production line.

Nowadays, without new wings, the Air Force is able to force the hand of the congress and retire the older aircrafts claiming it had no choice as a result of metal fatigue.

Whatever will be the future of this mighty aircraft it will always be remembered from the ones who fought with its shadow in the sky, knowing that it means an extra chance to return home alive. 

Matteo Bramati, 5 B Tecnico

 

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