Sunday, November 2, 2025

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L’uomo che combatté in tre eserciti

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su L’uomo che combatté in tre eserciti

La storia di questo uomo è certamente una bizzarra vicenda, che colpisce quando ascoltata: il protagonista è infatti – a quanto pare – l’unico soldato che abbia combattuto in tre eserciti diversi, nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

Yang Kyoungjong nasce il 3 marzo 1920 a Sinuiju, nella allora Corea giapponese e da bambino trascorre una infanzia tipica dell’impero giapponese, che si era stabilito nella sua nazione dieci anni prima della sua nascita. A diciotto anni, nel 1938, viene reclutato nell’esercito imperiale nipponico, con cui combatte nella guerra di confine sovietico-giapponese. Nella decisiva battaglia di Khalkhin Gol, nell’estremo nord della Cina, lungo il confine con la Mongolia, il giovane soldato viene catturato dall’esercito sovietico, ormai già vittorioso nella battaglia e persino nell’intera guerra. Yang, dopo la cattura, viene subito mandato in prigione e portato poi ai campi di lavoro, dove rimane per circa 3 anni e mezzo.

È il 1942, la Seconda grande guerra è iniziata più o meno quando i giapponesi hanno perso con i sovietici e successivamente, nel 1939, la Germania ha invaso la Polonia. Dopo tre anni i nazisti verranno poi sconfitti in Russia a Stalingrado e in Egitto ad El Alamein.

Il prigioniero proveniente dalla lontanissima Corea  viene chiamato a difendere non più la sua terra, nonostante fosse all’epoca “giapponese”, ma adesso deve difendere nel fronte europeo la nazione contro la quale ha combattuto prima di essere prigioniero: la Russia. Verso il dicembre del 1942 Yang viene trasferito sul fronte ucraino dove partecipa all’avanzata sovietica post-Stalingrado fino ad arrivare sulle sponde del fiume Don.

Da lì inizia a combattere come soldato sovietico per la prima volta dopo l’ultima esperienza in Mongolia. Arriva fino alla città di Kharkiv, dove l’Unione Sovietica viene sconfitta dall’ultima offensiva tedesca con esito positivo del conflitto mondiale.

Come se fosse il destino, Yang Kyounjong viene catturato dai soldati della Wehrmacht. A differenza di quanto era avvenuto con l’URSS, l’esercito teutonico incorpora subito il prigioniero coreano, ma solo perché la situazione per i tedeschi è ormai critica sia sul fronte orientale che in Nord Africa.

La Wehrmacht forma alcuni battaglioni di soldati di origine orientale, nominati Ost Bataillon (cioè battaglioni dell’Est), di cui fanno parte soprattutto i prigionieri delle minoranze culturali e geografiche sovietiche, ad eccezione di Yang, che è un coreano influenzato dalla cultura giapponese.

Dopo qualche mese di lotta sul fronte orientale il battaglione viene trasferito in Francia, precisamente nella spiaggia di Utah Beach, in Normandia.

Il giovane soldato trascorre un anno su questa spiaggia fino a che giunge il 6 giugno 1944, l’ultimo giorno di combattimento di Yang nella sua carriera militare.

Nei giorni successivi al D-Day, dopo essere catturato dagli americani, viene trasferito in un campo di prigionia in Inghilterra. Prima di ciò i soldati alleati che si occupavano della registrazione e della spedizione dei prigionieri verso l’isola britannica rimangono sorpresi per la presenza di soldati orientali, scambiati all’inizio per giapponesi.

Una volta scontata la pena in Inghilterra, si trasferisce negli Stati Uniti, per l’esattezza a Evanston, in Illinois. Lì, dopo aver combattuto per ben tre eserciti e in teatri ben diversi, ha vissuto serenamente fino al 1992, quando il 7 aprile muore per cause naturali.

Alcuni storici considerano molto attendibile l’incredibile avventura del soldato coreano, ritenendola non veritiera in mancanza di fonti ufficiali.

D’altro canto c’è la testimonianza del tenente americano Robert Brewer (poi colonnello nella guerra del Vietnam) che lo ha registrato tra i prigionieri asiatici. In Corea del Sud (anche se Yang è nato in una città della attuale Corea del Nord) questa strana vicenda viene raccontata spesso: a tal punto da dedicarle nel 2010 un film intitolato “My way”.

Alberto Julio Grassi, 2 A Scientifico

 

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Il contatto manca, ma poi sarà più bello

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Il contatto manca, ma poi sarà più bello

Cara professoressa, in questo momento tutti noi stiamo vivendo un periodo difficile che nessuno si sarebbe mai aspettato di vivere. È partito tutto da capodanno del 2020 quando tutti dissero “che quest’anno sia migliore di quello appena finito”, e nessuno immaginava ciò che ci aspettava. Arrivarono le prime notizie su questo sconosciuto virus espandersi in Cina, poi i primi due contagiati in Italia, e tutto d’un tratto siamo stati catapultati in un mondo che a tratti pare parallelo. I bar affollati piano piano chiusero, i parchi in cui la gente si recava iniziarono a svuotarsi, così i supermercati, e anche le città diventarono deserte. “Bisogna stare a casa”, “Scuole chiuse fino al 15 marzo”, “Chiusura prolungata fino al 3 aprile”, “I ragazzi seguiranno le lezioni online e le uscite saranno solo per stretta necessità”, dissero. I contagi e i morti aumentavano ogni giorno.

Sono sempre stato abituato ad avere la mia sveglia la mattina, alzarmi, mettere la divisa e recarmi a scuola, con più o meno voglia: dipendeva un po’ da che materie mi aspettavano. Tornavo a casa, aprivo i libri e studiavo quanto bastava per una sufficienza, mi preparavo per allenamento, dove riuscivo a buttar fuori tutto quello che nella giornata era andato storto; tornavo a casa per le 21 stanco morto, mi buttavo a letto e crollavo, consapevole che il giorno dopo sarebbe stato esattamente come quello appena passato.

E ora mi ritrovo qui, davanti a uno schermo, nel letto, guardando fuori dalla finestra il sole che splende alto, e penso. Penso al perché di tutto questo… Penso che le persone ancora non abbiano capito che l’unico modo per riuscire a uscirne è stare a casa.

Penso che il periodo di questa pandemia verrà raccontato sui libri di storia come quello “in cui tutti furono obbligati a rimanere a casa”. Penso che alla fine la scuola non sia poi così male, che le risate più belle sono racchiuse tra quelle quattro mura che ogni giorno mi accolgono o, meglio, mi accoglievano.

Penso che mi manca la mia routine: mi manca alzarmi all’alba, mi manca poter vedere le persone con le quali passerò i migliori anni della mia vita, mi manca uscire il sabato sera, mi manca andare in discoteca e staccare tutto, mi manca potermi allenare e correre sul quel prato verde che forse mi conosce più di tutti, mi mancano i pianti dopo la perdita di una partita e i sorrisi vedendo la mia squadra salire in classifica. Mi manca entrare in classe, solitamente con qualche minuto di ritardo, sedermi al mio banco e iniziare le lezioni. Mi mancano gli sguardi complici tra compagni che attraverso un iPad non ci potranno mai essere, e soprattutto mi manca l’aspetto umano, che un apparato elettronico non rimpiazzerà mai.

E sa, profe, anche lei mi manca, esattamente come tutti i professori. Insomma, mi manca tutto ciò che sono sempre stato abituato a vivere, mettendo in secondo piano però le amicizie, la famiglia e l’amore, se a quest’età si può chiamare così. Stando a casa ed essendo distante dalle persone a me tanto care ho capito quanto sia importante il contatto fisico e quanto veramente non siano da sottovalutare certi legami. Ho anche capito l’importanza della famiglia, che è sempre un luogo sicuro quando tutto sembra crollare, e che l’amore che ci lega sarà sempre più forte delle litigate che avvengono ogni giorno.

Ho capito tante cose, che prima tutti davamo per scontato, e mi sento che, quando tutto questo finirà, sarà tutto più bello, e ognuno avrà una concezione di vita diversa. Saranno più affettuosi gli abbracci e i baci, sarà più buono il caffè preso al bar, sarà più bello toccare con mano le verifiche, qualsiasi sia il voto scritto sopra. Sarà più bello litigare con i profe, sarà più bello mettere la divisa e stringere la cravatta. Sarà tutto più bello, perché è proprio in questi momenti che si capisce il valore che ha la vita.

Mi sento triste, solo, perché lontano da tutti. Ma mi sento anche felice e più maturo, perché so che quando la routine ricomincerà la vivrò con il sorriso stampato in faccia e con la fortuna di non aver dovuto passare questa quarantena solo, su un letto dell’ospedale. Ma in realtà penso che ciò che ognuno di noi prova non si riesca a spiegare a parole: semplicemente provo tutto quello che un ragazzo di 15 anni riesce a provare.

Elvi Ymeraj, 1 C Tecnico

 

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Maturità? Troppi dubbi, ma voglio viverla

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Maturità? Troppi dubbi, ma voglio viverla

Ormai lo sappiamo, il virus colpisce tutto e tutti. A noi studenti costringe a casa da scuola, lontano dalle proprie amicizie, dai professori e senza dubbio ci priva anche delle quotidiane esperienze in cui avevamo la fortuna di incappare.

Nonostante le grosse difficoltà e la forte sofferenza del sistema scolastico italiano, grazie all’occhio avanguardista della nostra dirigenza, l’Istituto Aeronautico Locatelli conferma l’affidabilità che da anni gli è riconosciuta: se qualcuno fosse ancora incredulo sappia che non lo dico io; pur essendo il nostro gazzettino di rilevante notorietà, sento l’esigenza di citare un pesce ben più grosso, infatti l’elogio all’istituto lo manda il quotidiano Libero, che a inizio crisi esordì con un titolo a dir poco accattivante: “Il record di Bergamo: 600 studenti connessi da casa”. Faccio queste premesse per tutelare me e i miei compagni: non possiamo lamentarci di come sia stata affrontata la situazione dalla nostra scuola, ma potremmo di certo farlo nei confronti del MIUR.

Lucia Azzolina, ministro dell’Istruzione, ha messo in confusione docenti e milioni di studenti. A inizio marzo decise infatti di comunicare che tutti gli alunni sarebbero stati promossi: una scelta ritirata giusto poco fa! Condannando malcapitati nullafacenti, che si ritrovano a fine maggio con la possibilità di essere bocciati!

Anche il temutissimo rito della maturità rischiava di saltare: come abbiamo riscontrato dalle esperienze olandesi e inglesi, c’erano buone probabilità che i 463.133 studenti italiani delle classi quinte rimandassero l’esame di Stato a mai più. Fortunatamente, seppur con qualche grattacapo, la soluzione si è trovata: la maturità si farà ma giusto con qualche modifica…

Come tutti dovrebbero sapere dall’anno scolastico 2018/2019 le linee guida per l’esame finale di Stato sono leggermente cambiate: fino all’anno scorso l’esame avrebbe dovuto essere formato dalla prima prova scritta di italiano, dalla seconda prova scritta, concernente le materie di indirizzo, e da un colloquio orale comprensivo di nodi concettuali tra le varie materie e di PCTO (Percorsi formativi per le competenze trasversali).

Con l’emergenza “Covid” non si ha avuto alternativa: la prova di maturità doveva essere rimodulata. Sfortunatamente per i compagni del quinto anno e per tutti i professori direttamente interessati, le linee guida per l’esame hanno tardato ad arrivare. Il famosissimo “documento del 15 maggio”, per il quale i docenti hanno l’obbligo di consegnare i programmi scolastici, è stato rimandato. Il ministro Azzolina tarda a farsi sentire o per meglio dire tende a non concretizzare, temporeggiando il più possibile in attesa di qualcosa a noi ignota, bloccando e scaraventando nell’incertezza più totale l’intero sistema scolastico.

Il 16 maggio, dopo essere stati assoggettati per settimane da decine di rumors, i maturandi e i loro professori finalmente vengono a conoscenza di cosa bisogna preparare. Così noi ragazzi, con nientemeno che qualche settimana di anticipo, possiamo finalmente stare tranquilli sul da farsi. Gli studenti del quinto anno si presenteranno all’esame di Stato, che avrà inizio il 17 di giugno, con un massimo di 60 crediti, e dovranno affrontare un colloquio orale, con un limite di 60 minuti per persona, che avrà il valore di 40 crediti scolastici. I professori delle materie di indirizzo dovranno assegnare ai ragazzi un elaborato entro l’1 giugno, lavoro da svolgere a casa e da presentare e discutere con la commissione il giorno d’esame. I docenti di lingua italiana dovranno invece sottoporre gli studenti all’analisi di un testo letterario svolto precedentemente in classe; il resto della commissione avrà il compito di scegliere un argomento che verrà assegnato al candidato, che dovrà dimostrare di sapersi muovere adeguatamente tra le materie oggetto di studio. Il colloquio si concluderà con l’esposizione, tramite proiezione di diapositive, dei percorsi per le competenze trasversali portati a termine dall’alunno durante il triennio del secondo ciclo di istruzione. Verrà inoltre richiesta un’approfondita conoscenza di nozioni di “Cittadinanza e costituzione”, materia inesistente nei programmi scolastici di molti indirizzi.

Tra grande confusione e lancinante sconforto, ne usciamo più storditi di prima: pur se remota, la paura che queste scelte non sia definitive c’è, ormai un cambio all’ultimo non stupirebbe nessuno. Lucia Azzolina e le numerose “task force” istituite, scelgono però di non sollevare il velo pietoso che aleggia sulle direttive che sanciscono i comportamenti da rispettare per svolgere un esame sicuro e in presenza. Scelta tanto particolare quanto criticata del ministro: ancora c’è confusione, chi accenna a un massimo di 10 persone in aula, chi dice che sarà d’obbligo la mascherina anche durante l’orale e chi invece sostiene che non sarà richiesto… insomma, tante erano le incertezze e tante rimangono, noi aspettiamo e prendiamo quello che ci capita nella speranza di vivere, nonostante tutto, la bella esperienza della maturità.

Raffaele Parola, 5 A Scientifico

 

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Quarantena, rivoglio la mia vita!

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Quarantena, rivoglio la mia vita!

Oggi, ennesimo giorno di quarantena, è un altro giorno difficile, all’interno di un periodo altrettanto difficile. Difficile perché non eravamo preparati a questo, ma come si può?

Del resto come possiamo essere pronti a lasciarci tutto alle spalle, se le nostre spalle sono ancora impegnate a sostenere il peso dei ricordi e di quei momenti passati in libertà?

Le nostre spalle ci sono, le sentiamo e sentiamo che sono a contatto con altre cose, ma noi con la testa dove siamo…? Con i pensieri balliamo in punta di piedi con la speranza, tocchiamo con il palmo delle mani i ricordi, guardiamo la monotonia della quotidianità che prima tanto disprezzavamo.
Oggi ennesimo giorno di quarantena, mi sento vuota, ma so.
Torneremo ad essere liberi e ad abbracciarci, torneremo a sussurrarci tutte quelle parole non dette tenute in sospeso.
Oggi, ennesimo giorno di quarantena, ci vuole pazienza. Forse quella che manca un po’ a tutti, perché la stanchezza si fa sentire e, con lei, anche tutto ciò di cui abbiamo paura…
Oggi, ennesimo giorno di quarantena so che torneremo a fare gli aperitivi al tramonto e a ridere senza indossare delle mascherine, tornerà ad essere tutto più semplice..

Oggi, ennesimo giorno di quarantena dobbiamo affrontare ciò che ci spaventa, tutto ciò che ci distrugge e soltanto dopo, vedremo l’arcobaleno.
Oggi, ennesimo giorno di quarantena rivoglio la mia vita, rivoglio le emozioni addosso. Voglio tutto quello che non posso avere, o forse voglio stare solo per un attimo bene…

Saguaro

 

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“Ciao nonna, noi non ti dimenticheremo”

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su “Ciao nonna, noi non ti dimenticheremo”

Un brutto giorno, a molti di noi, il Covid-19 ha portato via dei cari: a volte in modo improvviso, a volte lento. A volte senza la possibilità di salutarli. È successo, tra gli altri, a Viola, che con questo articolo, pubblicato anche dai quotidiani “L’Eco di Bergamo” e “Giornale di Brescia”, ha ricordato la sua bisnonna.

Questo coronavirus ci sta portando via tutto. Si è insinuato nella nostra vita prima piano piano e poi, velocemente, ha avvolto le sue braccia intorno a noi. Letteralmente. Questa notte è toccato alla mia bisnonna. Se n’è andata velocemente come fanno i petali del soffione, come le foglie cadono dagli alberi in autunno.

Prima la febbre. Poi i polmoni. E dopo tutto il resto. O almeno credo, perché sinceramente non ho neanche idea di come la malattia l’abbia colpita. Non ho idea di come si sia sentita in quella casa di riposo che un tempo adoravo, mentre ora disprezzo più di ogni altro luogo. Vorrei far tornare indietro il tempo e convincere mia mamma a portarla a casa nostra prima che il virus si diffonda. O magari era destino che questo virus la colpisse e non ci sarebbe stato scampo in nessun modo.

Quello di cui sono certa è che non se n’è andata senza lottare. Lei non era una che si arrende facilmente. Lei non era una che si arrende. Punto.

Era una gran donna, la mia bisnonna. Lei sì che l’ha vissuta, la vita. Caterina Maisetti. Anno 1926. Aveva solo 17 anni (solo pochi più di me), quando è andata a recuperare le salme di alcuni partigiani uccisi dai tedeschi a Pratolungo,

vicino a Borno. Quante volte me la sono fatta raccontare questa storia! Ero troppo fiera che la mia nonnina avesse partecipato, anche se in minima parte, al più grande combattimento di tutti i tempi. Lo raccontavo (e lo racconto tuttora) a chiunque.

“Si erano rifugiati a Pratolungo passando per Mazzunno” iniziava lei. “Una spia di Gorzone aveva informato i tedeschi, che non avevano esitato a raggiungerli e ammazzarli tutti”. “Tutti tranne uno, giusto?” chiedevo io. “Era stato ferito, così aveva potuto fingere di essere morto. E noi l’avevamo portato in salvo”, raccontava in dialetto.

Era stato proprio per questo che il mio bisnonno, Apollonio Ferrari, era diventato un grande sostenitore del ricordo di quella tragedia. Era stato lui l’organizzatore della commemorazione di Pratolungo.

Si erano sposati nel 1946. Era stato un matrimonio con tanto di viaggio di nozze a Brescia. “Era un bel viaggio per quel tempo” diceva sempre. Aveva un vestito corto bianco. Non era un vestito comprato per l’occasione, ma uno dei migliori del suo armadio. Qualche anno più tardi sarebbero nati i primi figli. 10 in tutto. Seguiti da 39 tra nipoti e bis-nipoti. Siamo proprio una grande famiglia. Una grande famiglia che non dimenticherà mai la sua nonna.

Viola Ghitti, 2 A Scientifico

 

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Apprezzeremo di più le piccole cose

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Apprezzeremo di più le piccole cose

Nessuno avrebbe mai pensato di dover affrontare una situazione come questa: ci siamo ritrovati nel giro di pochissimo tempo a dover fronteggiare un virus che, apparentemente, era stato sottovalutato da tutti, ma che in realtà ci ha portati in una pandemia mondiale. Nessuno si stava rendendo conto di quello che stava succedendo, si pensava che fosse leggermente più forte rispetto al virus influenzale ma non era così. Quando inizialmente hanno sospeso la scuola per una settimana, sinceramente, eravamo un po’ tutti felici perché ancora non avevamo percepito la gravità della situazione.

L’8 marzo è stato l’ultimo giorno in cui ho visto i miei amici e parenti e sinceramente non me lo aspettavo. Il giorno dopo, quando mia mamma è tornata dal lavoro, mi ha spiegato tutto quello che stava succedendo e che la situazione era davvero grave e non si poteva più uscire di casa; infatti, col passare dei giorni, me ne resi conto molto di più, poiché al telegiornale si sentiva che i casi aumentavano e le vittime purtroppo erano sempre più.

Nell’evolversi questa situazione è diventata grave specialmente quando c’è stato il picco dei contagi che ha riguardato molto tutte le case di riposo: questa situazione mi ha riguardato ma non perché io in particolare abbia avuto il virus, ma perché mia madre lavora in una delle RSA della provincia di Milano.

Inizialmente era davvero una situazione stressante: i dispositivi sanitari erano scarsi e mia mamma tornava dal lavoro stremata per la situazione e la paura di ammalarsi e magari attaccarlo a noi a casa, soprattutto mia nonna che è un soggetto a rischio data l’età avanzata. In un secondo momento la situazione a casa è precipitata, poiché dove lavora mia madre hanno fatto i tamponi a tutti gli ospiti e più della metà era risultata positiva: mia mamma era stata a contatto con la maggior parte di loro. Si viveva in una condizione stressante per tutti, in casa eravamo costretti a mantenere le distanze; io che ero abituata a andare ogni giorno a chiacchierare con mia nonna non lo facevo più, se entravo in casa sua lo facevo solo per portarle delle cose e sempre con la mascherina e standole più lontana possibile.

Fortunatamente qualche settimana dopo si è sistemata un po’ la situazione: mia madre dopo aver fatto una cura di antibiotici ha fatto il tampone che è risultato negativo e quindi ha ricominciato a lavorare, fortunatamente con tutti i presidi. La settimana dopo, tra fine aprile e inizio maggio, la situazione è tornata più o meno alla normalità.
Durante questi due mesi non sono uscita e quindi non ho visto le mie amiche e i miei amici: ci siamo però sempre tenuti in contatto, in particolare con quelli più stretti con cui facevo e faccio tutt’ora videochiamate fino a tardi la sera, quando stacco la testa da quella che è stata la giornata e mi svago parlando, confrontandomi e facendo qualche gioco con loro. Questa cosa mi è servita davvero molto nel periodo più difficile di questa quarantena.

Anche per quanto riguarda la scuola devo dire che nel fare lezione da casa è molto più difficile mantenere una certa concentrazione, sia perché ci sono molte più distrazioni sia perché passare sei ore in camera a fare lezione senza mai poter scambiare qualche chiacchiera con i compagni nei momenti morti è davvero noioso.

Mi manca la scuola, mi manca dovermi alzare presto e tutta addormentata andare a prendere il pullman la mattina, mi mancano i miei compagni, mi manca tutto quello che facevo nella quotidianità.
Sono felice che sia iniziata la fase due, ovvero la ripartenza, anche se secondo me ci potrebbe essere una ricaduta fino a che non ci sarà un vero e proprio vaccino. Finalmente comunque si possono rivedere parenti e amici, sia pure tenendo rigorosamente le distanze e la mascherina, altrimenti tutto il lavoro fatto da medici, infermieri e operatori socio-sanitari andrebbe buttato.

Onestamente non capisco quando le persone dicono che adesso la gente, per timore di una possibile ricaduta o comunque del virus in generale, non uscirà di casa. Secondo me è solo giusto avere un po’ di timore e buon senso, non andare in giro in massa, proprio per evitare una ricaduta.

Quando sono uscita di casa dopo due mesi devo dire che ero parecchio stranita nel vedere tutti con le mascherine: a vederlo solo al telegiornale mi sembrava una cosa così lontana, ma invece adesso è diventata la normalità.

Finita la quarantena penso che impareremo ad apprezzare di più le piccole cose e a non dare più nulla per scontato.

Giorgia Soccio, 1 A Tecnico

 

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Caro diario, ti racconto la quarantena

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Caro diario, ti racconto la quarantena

Mantova, 25 maggio 2020, 13,29

Caro Diario,

oggi ti racconterò della mia vita in quarantena. Non avevo mai vissuto in isolamento ed è bruttissimo rimanere rinchiusi in casa ed essere limitati in ciò che si può fare durante la giornata. Ovviamente ci sono lati positivi e lati negativi, come in tutte le cose. I benefici della quarantena sono tanti. Ad esempio abbiamo avuto più tempo per la nostra famiglia, abbiamo avuto tempo per scoprire chi ci teneva veramente a noi e chi no, ma la cosa più importante è che abbiamo avuto la possibilità di conoscere meglio noi stessi. Soprattutto passioni per qualcosa che non credevamo di possedere.

Tutto è iniziato con la prima diffusione in Cina. Ancora non avevo preso seriamente la questione del virus e la mia vita, fino a quel momento, era normale e semplice. Facevo le mie cose durante la giornata: cui uscire il pomeriggio e sfogarmi col pallone, andare in bici oppure stare in compagnia dei miei amici. Cose normalissime.

Ogni cosa è cambiata quando sono arrivati i primi contagi in Italia. Pensavo fosse un virus normalissimo come l’influenza, fino a quando non ho visto il numero dei decessi aumentare sempre di più. Durante una settimana di febbraio, sono tornato a casa da scuola per il weekend: sembrava andare tutto per il verso giusto, ma la domenica ho scoperto che si stava a casa per una settimana a causa del virus. Ero sbalordito e ovviamente, da studente, felicissimo e gasatissimo perché significava svago totale per me. E così è stato. Quei 7 giorni li ho dedicati completamente al calcio. Dalla mattina alla sera. Era l’unica cosa che avevo in mente in quel momento. A fine settimana, ho scoperto che si stava a casa per un’altra settimana sempre a causa del COVID-19. Ero sempre al settimo cielo e anche quella settimana l’ho dedicata al calcio. Per quelle due settimane tutto il resto è scomparso: per me non esisteva nient’altro che il pallone. Mi sentivo come se fossi in paradiso.

Intanto la situazione del virus peggiorava e i blocchi continuavano. Ovviamente, io e i miei compagni di classe non potevamo rimanere senza scuola e infatti sono iniziate le videolezioni. A me, sinceramente, non faceva né caldo né freddo. Mi andava bene avere le videolezioni. Intanto, ormai non si poteva più uscire di casa per cercare di contenere il numero dei contagi perché aumentavano a dismisura, ma io continuavo a uscire perché comunque non ce la facevo a stare a casa 24 ore su 24. La situazione, a parte per gli infetti e i morti di COVID-19, è rimasta così per un po’ finché non hanno comunicato il lockdown. La vita ha cessato di esistere. Non c’era nessuno fuori da casa. Fino a quel momento, non sapevo cosa significasse concretamente il lockdown. Le aziende sono state chiuse, i campionati sospesi, i servizi secondari fermati. Le uniche cose che rimaste aperte erano i negozi alimentari. Ero scioccato perché non si poteva più uscire. Potevamo farlo solo nei casi più gravi e con le mascherine.

C’è stato il lockdown per più di due mesi e io, in quei due mesi, sono rimasto a casa. Non sapevo più cosa fare durante le giornate. Fare le stesse cose ogni giorno mi stufava ed ero stressato. Ero ansioso di uscire. La quotidianità era ormai monotona. Ho comunque scoperto nuove cose di me stesso. Ad esempio che mi piace scrivere. Ho inoltre dato maggior tempo alla lettura, ho riorganizzato la stanza e ho dedicato più tempo anche alla palestra senza trascurare lo studio.

Il lockdown è finito il 4 maggio e nello stesso giorno è iniziata la fase 2 con un po’ più di libertà d’uscita, anche se vigilata e controllata. A parer mio, non ci sono state grandi differenze tra la fase 1 e la fase 2. È cambiato solo che prima non si poteva uscire e ora, nella fase 2, si può uscire con più frequenza ma la gente comunque anche nella fase 1 usciva.

Fatto sta che il 4 maggio sono uscito dopo due mesi chiuso in casa. Appena uscito, il mondo mi sembrava diverso. L’aria era pulita e, dopo anni, ho visto per la prima volta gli uccelli in piazza. Sembrerà una cosa banale e/o strana, ma non lo è. Era da anni che non sentivamo più i cinguettii nel mio paese. Quel giorno, pensavo uscisse il mondo in strada, ma non è stato così. C’era pochissima gente. Sarà perché la maggior parte della gente è andata in città, a Mantova, oppure sul lago. Invece io sono andato a  fare  un giro sull’argine. Era bellissimo e la natura padroneggiava in tutto. C’era solo il verde. I campi avevano l’erba alta un metro, le mura della chiesa dietro al campino avevano i rampicanti, il parco era chiuso, negozietti chiusi. Il paese era deserto. Silenzio tombale. C’erano solo i suoni della natura. Tutto magnificamente splendido, il mondo. Non era più come prima. Sarà perché uscivo dopo due mesi probabilmente: si tornava alla normalità, ma con una concezione diversa del mondo.

Penso che le persone stiano uscendo più mature dalla quarantena e più responsabili in ciò che fanno. Ovviamente faccio parte anche io di queste persone e credo che comunque ci abbia fatto bene stare chiusi in casa a pensare come sfruttare meglio il tempo disponibile. La questione del virus la stiamo affrontando discretamente bene. Spero che si risolva tutto il più presto possibile e che la prossima pandemia – se proprio dovrà esserci –  possa accadere quando non ci sarò più.

Aaryan Raj Verma, 1 A Tecnico

 

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Dovere a ogni costo? Può valerne la pena

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Dovere a ogni costo? Può valerne la pena

Stavo pensando a una cosa… Non vi siete mai fermati un secondo a pensare, prima di fare una qualunque azione, se fosse davvero la scelta giusta magari rischiare la propria pelle o qualcosa di vostro per raggiungere un obbiettivo? Beh, secondo me questa è una bella domanda.

Vorrei partire però prendendo in considerazione un fatto piuttosto ovvio, ovvero che siamo tutti diversi l’uno dall’altro, ma non tanto dal punto di vista “fisico/esteriore”, quanto per il fatto che ognuno di noi possiede una propria individualità. Difatti la parola individuo definisce una persona umana considerata nella sua singolarità: di conseguenza qualcuno che pensa e agisce in modo diverso dagli altri. Io, giustamente, non posso entrare nella mente degli altri e forzarli a fare qualcosa di pericoloso perché penso sia giusto.

Fatta questa breve introduzione, torniamo a noi. Personalmente prima di avventurarmi a fare qualunque cosa, oltre a fermarmi e a pensare a tutte le possibilità e agli scenari che si potrebbero verificare, prendo in considerazione anche tre variabili molto importanti, e cioè il dispendio energetico che devo usare, la dedizione nel mettere le proprie qualità a disposizione di qualcosa, e per finire la più importante, il sacrificio di qualcosa di particolarmente rilevante per uno scopo nobile come un ideale.

All’inizio potrebbe sembrare che per compiere un processo del genere ci si impieghi molto tempo, ma invece è una questione di pochi secondi, o addirittura millisecondi. Dopotutto, ci ricorda anche Antonia Gravina che  “pensare prima di agire è saggezza, ma agire prima di pensare è rimpianto”, no?

Insomma, per concludere, riprendendo, con la frase riportata sopra dall’autrice ci viene spiegato quanto sia necessario pensare a tutto quello che potrebbe capitarci prima di compiere sciocchezze o semplicemente azioni di cui potremmo pentirci; difatti se una persona si sente in dovere di fare qualcosa di molto importante per sé, è ovvio e normale che compia un sacrificio del genere, e usi tutte le proprie energie a disposizione. Anche se potrebbe risultare pericoloso, lo fa comunque: perché ci tiene, costi quel che costi.

Sull’altra faccia della medaglia, invece, possiamo trovare delle persone che agiscono senza pensare alle conseguenze, e ciò potrebbe causar loro spiacevoli conseguenze, potremmo dire.

Addirittura ci sono delle persone che si rifiutano direttamente di agire a prescindere, perché non vogliono spendere le loro energie in qualcosa di pericoloso o che per loro potrebbe risultare inutile, perché in contrasto con i loro ideali, che dal mio punto di vista sono chiaramente sbagliati, ed è una cosa questa che detesto.

Però come ho detto prima, non ci posso fare nulla. Io, invece, cerco di mettere tutto me stesso nel fare qualunque cosa, anche se sono consapevole del fatto che potrebbe prosciugare completamente tutte le mie energie, con la conseguenza di ritrovarmi ogni volta esaurito completamente.

Non mi importa. Io rimango sempre saldo sui miei ideali, e nessuno può cambiare ciò che penso. Quindi, è giusto andare sempre avanti, anche rischiando, per arrivare in fondo a una qualcosa che ci interessa oppure che ci si presenta di fronte? Sì, lo è sempre per andare avanti ed essere delle persone sempre un po’ migliori.

Francesco La Ferla, 2 A Scientifico

 

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“Dobbiamo avere sogni e poi lottare”

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su “Dobbiamo avere sogni e poi lottare”

Stay hungry, stay foolish”: una frase che avrete di certo già sentito, una frase molto famosa pronunciata da un uomo ambizioso, determinato, intelligente. Steve Jobs. Un uomo formatosi nel proprio garage che è divenuto uno dei più importanti della storia moderna. Con questa frase ha fatto capire al mondo che, anche dopo peripezie, dolori, delusioni, è sempre andato avanti con più forza e determinazione di prima. La celeberrima frase offre uno spunto molto serio, che ci porta a riflettere sull’importanza di gesti e azioni che possono, a primo impatto, anche avere aspetti estremamente negativo.

In primis dobbiamo ovviamente porci degli obiettivi, senza guardare di che tipo (dando per scontato ch’essi siano morali). Ma ciò non basta: bisogna sempre avere fiducia in se stessi, non lasciare che qualcuno irrompa all’interno dei nostri obiettivi.

Voglio fare un excursus e spiegare la differenza tra un sogno e un obiettivo. Un sogno in quanto tale è irraggiungibile e rimane fisso nel pensiero, in un mondo iperuranico, senza trovare alcuna applicazione nella vita reale, quasi come un amore impossibile. Un obiettivo invece è qualcosa che sì, nasce nel mondo iperuranico, ma si realizza nella realtà. Il passaggio dal mondo delle idee e dell’immaginazione a quello reale risulta difficile e bisogna essere determinati e focalizzarsi sull’obiettivo per raggiungerlo.

Ci saranno molti ostacoli che cercheranno di fermare il vostro cammino verso la soddisfazione personale, ma bisogna saper trarre beneficio dalle sconfitte, perché solo così si può realmente imparare. Io personalmente non mi sono ancora posto degli obiettivi fissi nella vita: sono ancora un ragazzo e voglio godermi per questo periodo l’adolescenza che ho davanti.

Questo però non significa che sarò per sempre così, e riconosco di essere molto ambizioso, anche se a uno sguardo superficiale così non sembrerebbe essere.

Credo che si debba seguire il proprio istinto, il proprio cuore, per diventare ciò che si desidera. Non chiedere aiuto per qualcosa che si vuole ottenere, ma costruire e creare un vero e proprio “impero” con le proprie forze.

Michael Symon Jaafar, 2 A Scientifico

 

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Il caso Silvia Romano: un libero sfogo

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Il caso Silvia Romano: un libero sfogo

Sapete quanti sono 563 giorni? Io no. Non riesco neanche a immaginare 563 giorni tutti insieme. Tutti uguali. Diciotto mesi in cui ogni giorno corrisponde a quello precedente. Certo, forse Silvia Romano, la volontaria tornata in libertà pochi giorni fa, un giorno si spostava e l’altro no. Ma di prigioni ne ha viste sei: sapete quanto fa 563 diviso 6? Significa che lei ha avuto un giorno differente dagli altri ogni 93, circa 3 mesi. Cosa significano, per noi, 3 mesi? Vogliamo raccontarlo? Bene, allora facciamolo.

Cosa ho fatto io negli ultimi 3 mesi? Oggi è l’11 maggio, 3 mesi fa era l’11 febbraio: il 14 sono uscita a mangiare la pizza. Il 21 sono stata a un pigiama party. Il weekend di Carnevale sono stata a Trieste con un amico. Sono stata da una mia amica il giorno del suo compleanno. Ho visto le cugine che non vedevo dal 5 ottobre. Quanto tempo era? Esattamente 5 mesi e 2 giorni. Neanche un terzo di 18. Nei restanti giorni (passati a casa) non sono sicuramente stata con le mani in mano: uscivo in giardino, giocavo con la mia sorellina, aiutavo mio fratello a studiare, guardavo film, serie tv, leggevo, prendevo il sole (solo un poco), dormivo, studiavo.

E lei, invece, che ha fatto negli ultimi 3 mesi? Vogliamo provare ad immaginare? Ha letto, mangiato, dormito? Voglio sperare che non abbia subito violenze di nessun tipo. Che non sia stata maltrattata. Malnutrita.

E, invece, voi che state lì a criticarla per quello che ha fatto, come avete passato gli ultimi 90 giorni? Vi siete annoiati nella vostra casetta quasi sicuramente più grande del doppio della sua? Oh, cucciolotti, non siete potuti uscire? Mannaggia a questo governo, che tiene alla nostra salute! Mannaggia a questo virus che non ha permesso di uscire tutte le mattine a bere il caffè con le amiche per spettegolare sulla vita altrui. Mannaggia a questo virus che non ha permesso di uscire a mangiare la pizza. Come farete ora? Caspiterina, potrete risparmiare. Eh, oddio, come farete senza quello shopping frenetico in cui affondate ogni vostra tristezza? Accipicchia! Niente più vestiti da buttare perché quelli nuovi sono troppi e gli armadi sono troppo piccoli. Cari amici, vi è proprio andata male.

Voi che non fate che lamentarvi dello Stato che ha pagato il suo riscatto, quando se fosse accaduto ai vostri, di figli, avreste voluto che lo stato ne pagasse anche 10, di milioni. Ma certo, voi questi problemi non li avrete: i vostri figli non andranno mai in Africa ad aiutare chi non ha niente. Come possono i figli di persone come voi (che quando bisogna mostrare che vi stanno a cuore i bambini del Terzo Mondo sono i primi a parlare, ma che quando bisogna davvero agire se ne stanno muti) partire per un continente sconosciuto per salvare, letteralmente, il mondo?

Voi che dite “loro non hanno niente”, ma che non contribuite in nessun modo a rimediare. Lei, invece, voleva aiutarli. Dopo essersi laureata non ha pensato a come cercare un lavoro che la rendesse ricca. Lei è voluta partire. Andare. Dare, magari, un senso alla sua vita. Sapendo di fare qualcosa per l’umanità, per il prossimo. E voi la criticate?

“Meritava di essere lasciata giù”, ho sentito dire da qualcuno. Ma fatemi capire, per favore, perché qui mi sfugge qualcosa. Se voi andate in vacanze in Kenya e vi rapiscono, non meritate di essere salvati? Perché, se è così, va bene. Quando però toccherà a voi (e spero non sarà così, ma nella vita non si può mai sapere) non contate che qualcuno vi venga a salvare.

Non siete voi quelli che scrivono in ogni dove “verità per Giulio Regeni”? Voi che fate tanto i giustizieri per i morti, ma che quando si tratta di salvare i vivi ve ne lavate le mani? Cosa siamo a fare, allora, uno Stato, se quando un cittadino è in difficoltà lo si abbandona? Però ripeto, potrei mettere la mano sul fuoco che se toccasse a voi vorreste che fossero mobilitate tutte le agenzie di intelligence esistenti, pur di scamparla. Fatemi capire, voi o i vostri familiari avreste 4 milioni da dare ai sequestratori? Magari qualcuno sì, ma solo pochi.

Voi che vi lamentate tanto del mal di schiena. Ma pensate alla sua, di schiena. A quella povera ragazza costretta a dormire 563 notti sul cemento. È un lusso, il vostro materasso memory. Vi turba che si sia convertita all’Islam? Se è così siete proprio ignoranti. Irrispettosi. Maleducati. Ognuno ha il diritto di credere quello che vuole. Come io non vi giudico perché voi siete cristiani, atei, buddisti o che so, voi non dovete permettervi di apostrofare qualcuno che non la pensa come voi.

Potete non condividere le sue scelte, non saremmo esseri umani se non fosse così. Il rispetto, però, quello non va dimenticato. Si è convertita all’Islam? Pace e amen. Fine. Fatti suoi, mica vostri.

Vi turba che lo Stato abbia usato i vostri risparmi per il riscatto? Cosa succederà ora? Aumenterà il debito pubblico per questo? Ma se siete voi i primi che imbrogliate lo Stato, cercando tutti i modi possibili per versare meno tasse. Se siete voi quelli delle fatture false. Quelli che vivono nella bella villetta con un giardino di 8 ettari e la piscina di 2, pagata con soldi sporchi?

Sapete cosa vi dico? Ma statteve zitti!

Viola Ghitti, 2 A Scientifico

 

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La semplicità del non avere. Pensiamoci

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su La semplicità del non avere. Pensiamoci

La felicità si compra oggi giorno: una banconota in tasca renderebbe qualsiasi uomo lieto perché il denaro è divenuto con il passare del tempo sinonimo di felicità. Amore, famiglia, intelligenza e speranze non hanno più alcun valore e per questo sono considerati futili, inutili alla formazione dell’individuo.

Nel corso della storia si è passati da una rivoluzione antropocentrica copernicana (Rinascimento) fino a una fase in cui la scienza dominava il mondo (Positivismo). Ora la fase terminale pone al centro il denaro, capace di comprare tutto fuorché quegli oggetti e quei valori che non riesce a prendere sotto il proprio dominio. Le estremità si toccano, ma come raggiungere allora la felicità che non si compra? Liberandosi da tutto ciò che è inutile all’essenza umana per vivere in armonia con se stessi.

La felicità comprata è rimpiazzabile e corruttibile dal tempo, quella invece nata da relazioni interpersonali è incorruttibile e raramente si esaurisce nel tempo. Certo, i beni materiali possono renderci felici temporaneamente, ma è necessario non basare la propria gioia solamente su quella felicità effimera.

Questo periodo di quarantena mi ha permesso di leggere un libro particolare, intitolato “Un nuovo mondo” di Eckhart Tolle: è stato il primo libro di crescita personale che ho letto. I suoi capitoli mi hanno svegliato dall’irrealtà che sto vivendo. Meglio dire: che stiamo vivendo. Il volume spiega i nostri comportamenti, le nostre reazioni, e analizza il ruolo dell’ego in tutto ciò. La frase che più colpisce il lettore, secondo me, aprendo in lui un nuovo mondo, recita: “L’Ego tende ad equiparare l’avere con l’essere: io ho, dunque io sono. E più ho, più sono. L’Ego vive attraverso il paragone, il modo in cui vi vedono gli altri diventa il modo in cui vedete voi stessi. Se ognuno vivesse in un palazzo e fosse ricco, il vostro palazzo o la vostra ricchezza non vi servirebbero ad accrescere il vostro senso del sé. In quel caso vi potreste trasferire in una semplice capanna, dare via la vostra ricchezza e riconquistare un’identità considerandovi e venendo considerati più spirituali degli altri. Come siete visti dagli altri diventa lo specchio che vi dice come siete e chi siete”.

In questo periodo di sospensione credo che dovremmo tutti fermarci a riflettere, anche solo per un minuto, su ciò che la vita ci ha donato e che noi, abbagliati dal mito del soldo, non siamo stati in grado di percepire e interiorizzare. Saresti felice nell’avere solo quello di cui hai davvero bisogno nella vita? Pensiamoci.

Michael Symon Jaafar, 2 A Scientifico

 

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Tutelare la vita è valore universale

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Tutelare la vita è valore universale

Quando una legge è ingiusta, è corretto metterla in discussione o violarla? Da questa domanda nasce una riflessione sul tema della responsabilità. Le leggi andrebbero sempre rispettate, non solo perché se non si rispettano si incorre in sanzioni, ma perché, se siamo cittadini corretti, dobbiamo capire che le leggi vengono scritte per il bene comune, per l’ordine e la giustizia del nostro Paese. Oggi siamo fortunati a vivere in un Paese civile, dove le leggi vengono scritte tenendo conto del valore della vita e della dignità della persona umana. E rispettare queste leggi non solo è giusto, ma anche moralmente corretto.

Purtroppo nella storia non sempre sono state scritte leggi che rispettavano questi valori: per esempio al tempo del Nazismo sono state emanate leggi tremende e chi le ha messe in pratica si è giustificato dicendo che stava solo “rispettando la legge”. In questo caso sarebbe stato giusto mettere al primo posto la loro coscienza e responsabilità verso la vita umana.

In altri casi le leggi non sono state rispettate perché le persone hanno sostenuto che, secondo il loro parere, non erano giuste. Ma questa non è una valida giustificazione, perché altrimenti ognuno farebbe ciò che vuole, in base al suo modo di vedere le cose.

In generale le leggi non possono accontentare tutti, specie quelle riferite a cose, beni, perché scritte in base all’epoca e alla cultura in cui vengono pensate. Tutte le altre, cioè quelle che tutelano, preservano e danno valore alla vita e alla dignità delle persone, dovrebbero essere non solo leggi universali, cioè adottate in tutti i Paesi del mondo, ma dovrebbero essere sempre rispettate. Le leggi morali vanno sempre rispettate e, dove non sono tutelate le persone e la loro dignità, secondo me è giusto disobbedire. In questo caso è giusto ribellarsi a quelle leggi perché è un gesto che si fa in buona fede per porre l’attenzione su un problema: la cosa importante è che la violazione della legge non crei danni alle persone o ai beni, altrimenti a sua volta diverrebbe ingiusta.

Lorenzo Cerretti, 1 A Tecnico

 

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La paura? Può creare problemi. O salvare

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su La paura? Può creare problemi. O salvare

La paura è un’emozione che può essere positiva o negativa e la provano sia gli esseri umani che animali. La paura positiva a volte può essere un bene, in quanto fa capire  quale sia il limite da non superare per non subire a volte gravi conseguenze: ad esempio se ci trovassimo in un luogo buio e deserto, dove regna la delinquenza, non staremmo molto tranquilli e inizieremmo a camminare a passo sostenuto per paura di incontrare pericoli e quindi rischiare la nostra vita; invece per gli animali potremmo immaginare una gazzella con un leone: quest’ultimo ovviamente vorrebbe cibarsi della gazzella, ma essa, avendo paura, inizierebbe a correre per tentare di fuggire dalle sue fauci. Ma se noi e lei non avessimo avuto paura, avremmo corso dei rischi, il leone l’avrebbe divorata senza la minima difficoltà. Altre volte invece le paure sono negative, nel senso che creano difficoltà, come la paura del buio, della morte, di soffrire, dei ragni, degli spazi piccoli, dei topi e tantissime altre. Alcune di queste paure sono irrazionali e vengono chiamate “fobie”.

Un’altra paura molto frequente al giorno d’oggi è quella sociale, che consiste nel non accettare come si è e voler somigliare sempre più a personaggi che vediamo sui social network (tv, giornali e altro). Questa paura è decisamente la più illogica e a volte pericolosa, in quanto non permette alle persone (soprattutto giovani, ma anche adulti) di dimostrare la propria personalità e carattere.

Davide Giovanzana, 1 A Tecnico

 

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Sex roles during Victorian age: Dracula

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Sex roles during Victorian age: Dracula

An example of sexual repression of the Victorian Age in the novel could be Mina, who is more feminine while having masculine roles during the story. The way of expressing feminism by Bram Stoker is quite evident and when focusing on it all the other appeals of the novel are subliminal. This novel became so popular even if it can seem quite boring, but why? Dracula results so attractive due to the masked and symbolic sexuality shines from it. But it also has to be considered that it’s a peculiar novel so much that Stoker’s biographer didn’t want to make an analysis of Dracula and of the whole book for their deep psychological themes. Firstly let’s take a look at an article written by the author Bentley where the sexual symbolism of Dracula is accurately analysed. The first thing that stands out is a possible incest between Dracula and his three vampire sisters; after that the topic of the adulterous relationships stands out, depicted by the scene where many men were offering their blood to Lucy and secondly there’s the topic of the repulsion of menstruation, due to the fact that when a woman at that time could have children began a short sexual life because English people had to respect a maximum number of sons and after having children they couldn’t have sex anymore due to the laws written to contrast the spread of sexual illnesses; this fact is represented in Dracula when the Count forced Mina to drink his blood. Anyway, this article points out the sexual things in a stronger way than the novel itself. Though, the article does not treat the suggestion of group sex as the gang-bangs and the orgies, that in Dracula, come to mind when the three woman vampires approach Jonathan Harker. In terms of sexuality it must be said that it’s brutal and violent but also that it’s the main desire of people living during Victorian Age who had to respect many restrictions regarding sexuality. In Stoker’s novel the tiredness of the English citizens for their sexual condition catches the eye.

The Victorians needed to feel all the emotions related to sexuality with no restrictions. This urge of limitless feelings can be identified in the novel when Harker is swooning while the female vampires were getting closer to him, suggesting the male desire to assume passivity at the hands of an aggressive woman; it’s a fanciful situation that does not respect the reality because at that time good women had to stay at home and used to be submitted to their husbands’ bestiality in order to reproduce.

The Victorian men tried to feel that emotional passivity in the houses of prostitution as Harker experienced with the three female vampires. In the Victorian Age only fallen women as prostitutes could enjoy sex and the novel is used by the author to say that it’s not true and he does it again withe the three woman vampires, who are lovely, attractive and elegant but above all desirous of sex without being fallen as the society of the time described the women who could enjoy the sexual acts.

Vampires depicted the aggressive and passionate way of having sex and it can be seen when Lucy had a transformation in a vampire when her purity turned to a sensual wildness. During that period some specialists claimed that the only feelings that a woman could have were concerned to their home, their children and their domestic duties. Stoker’s female vampire dismissed this emotions regarding motherhood, especially when they were eating children; in contrast male vampires did not touch kids. This rejection of children depicted by the fact that the woman vampires dined on them is due to the fact that vampires saw men as sexual objects and children couldn’t be used.

There are many fantasies caused by the forced relationships between mothers and sons as the incests, that along with the violation of good women are part of many male sexual fantasies, and this is common also nowadays, and the ones who imagine this fantasies are considered deviant. So the male vampires are divided into two figures: the passive ones and the violators. According to the novel must be said that no one changes in front of Dracula but, simply, everyone allows his inner side to get out, as the good women in front of him become pure of eroticism.

The novel was written by Stoker during a wave of feminism in which his mother took part. His whole life included reputable women who probably served to create Mina’s character, a strong and intelligent woman with a large knowledge about sexuality. Taking everything into consideration, the bipartite structure of sex roles of men and especially of women during the Victorian Age influences the plot, the characters and the themes of Stoker’s novel, that also nowadays remains an important source of horror and repulsion.

Stefano Macchia, 4 A Scientifico

 

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MotoGP e F1 virtuali nell’era del Covid

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su MotoGP e F1 virtuali nell’era del Covid

Stiamo vivendo un periodo a cui verrà sicuramente dedicato un capitolo in uno di quei noiosi libri di storia che i nostri nipoti dovranno studiare e che noi racconteremo con l’enfasi con la quale nostro nonno ci racconta dei tempi della Seconda Guerra Mondiale. L’emergenza Covid-19 ci ha tolto la libertà (e ad alcuni, purtroppo, anche di più), ma ci ha donato altro: in questi anni si era magari perso il rapporto con genitori, fratelli o sorelle, e dover passare intere giornate con loro ha ristabilito un legame che magari era andato perso o si era logorato.

In questo periodo dovevano anche aver inizio i due massimi campionati motoristici: MotoGP per il motociclismo e Formula 1 per l’automobilismo. Anche in questo caso il virus ha tolto, ma ha anche dato: infatti nonostante i vari gran-premi siano stati posticipati o annullati, i piloti non hanno abbandonato la pista, almeno virtualmente.

Sin dall’inizio della pandemia il giovane pilota della scuderia McLaren Lando Norris ha continuato ad allietare le serate di quarantena dei suoi fan guidando virtualmente in diretta su Twitch (il maggior provider di streaming online). Nel giro del primo mese numerosi colleghi piloti (tra cui Charles Leclerc, il più promettente giovane della Formula 1 e attualmente pilota Ferrari), vari altri sportivi e alcuni youtubers si sono uniti a lui nelle streams serali.

Attualmente il mondo degli e-sports si sta espandendo e sta guadagnando una propria dignità all’interno del panorama sportivo, soprattutto grazie alle stelle del motorsport che ne stanno facendo un assiduo utilizzo anche per restare allenati mentalmente: Charles Leclerc ha affermato durante una diretta che “per girare forte serve concentrazione e allenamento” in quanto con gli attuali software e periferiche il realismo percepito alla guida di un simulatore casalingo è molto elevato.

Le gare a scopo ludico sono culminate a metà aprile nella Race for the World series: piloti, sportivi e youtubers hanno preso parte a sei gare per raccogliere denaro da devolvere in beneficenza, in particolare all’ONU per permettere la ricerca di un vaccino contro il virus che ci sta mettendo in ginocchio e per aiutare i più bisognosi in questo periodo di crisi. Il risultato di questa iniziativa sono stati 70 mila dollari, contro un obiettivo di 100 mila: è ancora però possibile fare donazioni.

Un messaggio di speranza dato da giovani ragazzi che, oltre a donare risate, spettacolo e intrattenimento, hanno avviato una raccolta fondi che, seppur modesta rispetto ad altre, sarà sicuramente ricordata negli annali della Formula 1 e, soprattutto, ha aumentato il budget che l’Onu può devolvere alla ricerca.

Alessandro Donina, 4 A Scientifico

 

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Memphis Belle, eroi di guerra

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Memphis Belle, eroi di guerra

È l’inizio del 1942, piena Seconda Guerra Mondiale, le forze dell’Asse stanno vincendo su tutti i fronti: Europa occidentale, orientale, Africa del Nord e Oceano Pacifico con il recente attacco a Pearl Harbour, che scatena l’entrata degli USA nel conflitto globale.

In una base della Gran Bretagna, un gruppo di giovani, appena usciti dal loro addestramento militare, si fanno carico di un capolavoro dell’aeronautica: il gigantesco bombardiere Boeing 17. Il comandante Robert Morgan dipinge una donna con il nome Memphis Belle, la città di provenienza della sua ragazza.  L’equipaggio si prepara già per le prime missioni e il 7 novembre del ’42 avviene il “battesimo” dell’equipaggio e del B-17: la cosiddetta fortezza volante prende il volo e si dirige verso Brest, nel Nord ovest della Francia. Nessun graffio sul bombardiere, letteralmente nessuno: un vero e proprio miracolo, perché l’80% dei bombardieri venivano colpiti e abbattuti. Questa impresa si ripete: Saint Nazaire, Lilla, Lorient, Rouen, Abbeville, Anversa (Belgio) e Wilhemshaven (Germania), a volte tornando più volte nello stesso posto.

Sono passati quattro mesi, il bombardiere si fa sentire nelle basi alleate, dimostrando di essere un vero esempio di valore e coraggio da parte di inglesi e statunitensi. Ma  il governo USA, per non traumatizzare i soldati, stabilisce di congedare i militari dopo un certo numero di missioni, venticinque in questo caso: la Memphis ha già compiuto venti bombardamenti con pochi graffi, praticamente incolume.

Ma a questo punto il gioco si fa duro. Il 16 aprile, il comando incarica i piloti, appena rientrati da Lorient, di bombardare in pieno giorno la tedesca Brema, una delle città più protette. Lì si trovava una delle fabbriche più importanti della Germania, si producevano i Fw-190, i letali caccia della Luftwaffe. La vigilia di una missione così importante fa passare la voglia di dormire e la notte si trascorre in bianco. Verso le 6,30 l’equipaggio si prepara per partire, ma arrivati al B-17 ricevono l’ordine di fermarsi perché su Brema ci sono molte nuvole e non si vede l’obiettivo. Dopo due ore di attesa si parte con altri 11 bombardieri. La formazione è scortata fino al confine tedesco da una squadriglia di P-51 Mustang. I primi attacchi dei Bf-109 e Fw-190 riescono ad abbattere un paio di bombardieri. Arrivando a Brema, altri due vengono abbattuti dai precisi e numerosi colpi delle antiaeree. Durante il bombardamento, le nuvole creano problemi ai membri degli equipaggi per sganciare le bombe indirizzate alla fabbrica. Il problema può causare il fallimento: bisogna essere precisi, perché vicino al complesso industriale c’è una scuola con numerosi bambini e civili.

La Memphis Belle, al comando della formazione, decide di passare una seconda volta per bombardare precisamente le fabbriche. Durante il passaggio, viene abbattuto un bombardiere che riesce però a sganciare le bombe sull’obiettivo. Sembra tutto passato, ma al confine con la Francia spunta uno stormo di Fw-190 dal nulla. La Memphis Belle viene colpita a un motore e dopo una decina di minuti si spegne il secondo. Il ritorno a casa sembra escluso, ma la grande abilità dei due piloti del B-17 permette di arrivare in Inghilterra. Tutti pensano che i futuri eroi siano già morti, ma dalla pista si vede una scia di fumo nero proveniente da un B-17 che, dopo un problema al carrello d’atterraggio, riesce ad atterrare. È la Memphis Belle.

Il 17 aprile 1943, dopo  un mese passato svolgendo cinque missioni “soft”, l’equipaggio secondo il regolamento viene rispedito in patria: dopo circa un anno di esperienze terribili e dopo 25 missioni, ottiene il primo congedo di un bombardiere pesante della Seconda Guerra Mondiale per meriti di guerra. Il B-17 ha volato 148 ore sganciando una sessantina di tonnellate di bombe. Negli anni ’50 il velivolo viene acquistato circa per quattrocento dollari dal sindaco di Memphis, salvandolo dalla rottamazione. Dopo qualche decennio viene trasferito in mostra vicino al fiume Mississippi, ma dal 2003, restaurato, riposa a Dayton. Il suo equipaggio: pilota Robert Morgan, co-pilota James Verinis, bombardiere e mitragliere Vincent Evans, navigatore Charles Leighton, operatore radio Robert Hanson,  mitraglieri Harold Loch, Leviticus Dillon, Eugene Adkins, Clarence Winchell, Scott Miller, Casimer Nastal, John Quinlan e Cecil Scott.

Alberto Julio Grassi, 2 A Scientifico

 

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Bagagli partendo, ricordi ritornando

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Bagagli partendo, ricordi ritornando

Viaggiare libera la mente da tutto. Scoprire nuove culture ed etnie è sempre utile per farci diventare cittadini del mondo. Ma cosa vuole dire viaggiare?

Non è solo prendere la valigia e partire, ma sono tutte le emozioni che ci girano attorno prima di arrivare a destinazione: sei lì, in aeroporto, pronto a sentire l’annuncio del tuo volo o a salpare con una nave verso una nuova destinazione. Ma tutto ciò che succederà poi ci farà capire dove stiamo realmente andando, anche con la mente. Prima di atterrare in Africa senti il sole che ti prende a tutto tondo, che ti spinge a farti forza per affrontare avventure in luoghi che sono a 5 o più ore dalla tua casa e dai tuoi parenti.

Quindi viaggiare sarà ogni volta sempre diverso. Per una persona abituata a viaggiare, proverà sempre emozioni diverse ma allo stesso tempo forti, come la volta precedente, però con una percentuale in più di gioia.

Invece, per persone che stanno per cambiare del tutto la loro vita trasferendosi o facendo un viaggio studio in un’altra parte del mondo, per esempio in America, è tutta un’altra cosa. Avere l’ansia della partenza, la tristezza di rivedere i propri cari dopo uno o più anni e la gioia di aver fatto un’avventura che ti segnerà a vita, sono grandi emozioni che ti porti dietro per tutto il tempo e che a volte si fanno sentire più forti di prima.

Ma è tutto normale, perché siamo esseri umani e le emozioni che proviamo sono bellissime e servono anche a costruirci la mente. Stare tra le nuvole o in mezzo al mare è più magico, sapendo che dall’altra parte c’è la città o l’isola dei tuoi sogni; arrivare lì con le persone che ti stanno più a cuore, diventa il doppio più magico.

Un’altra grande emozione è anche rivedere le foto di viaggi fatti 4 o 5 anni prima o riguardare le “calamite” di ogni singolo luogo visitato: ti fa viaggiare con la mente e rivivere le stesse emozioni. Ma anche la tristezza di essere ritornato a casa si fa sentire. Un viaggio è bello perché finisce, sennò sarebbe la vita quotidiana. Si parte sempre con un trolley pieno di vestiti e si ritorna con la testa piena di ricordi.

Diego Dipaola, 1 A Scientifico

 

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Medicina, tra scoperte moderne e antiche

Posted by admin On Settembre - 5 - 2020 Commenti disabilitati su Medicina, tra scoperte moderne e antiche

Un felice incidente

Nel 1928 circostanze impreviste portarono alla scoperta della penicillina. Come una delle colture batteriche di sir Alexander Fleming fosse rimasta contaminata dalla muffa è ancora ignoto, ma questo caso segnò un punto di svolta per la medicina moderna. Infatti quando il microbiologo scozzese controllò la coltura, scoprì che i batteri attorno al fungo erano morti. Senza volerlo aveva scoperto la penicillina. Prima della sua scoperta si moriva per banali infezioni, ma dopo la sua produzione di massa, a partire dal 1940, furono guarite molte malattie in precedenza mortali. La penicillina fu solo il primo antibiotico, che spinse la scienza a cercarne sempre di nuovi: è l’età degli antibiotici, in cui viviamo.

Respirare meglio

La sperimentazione su stessi ha una lunga storia nella ricerca medica. Infatti se oggi possiamo usufruire del salbutamolo, farmaco anti-asmatico, si deve anche alla decisione del suo inventore di sperimentarlo su di sé. L’asma è quella condizione cronica che colpisce oltre 235 milioni di persone nel mondo: comporta l’infiammazione dei condotti respiratori, che gonfiandosi riducono l’afflusso di aria ai polmoni. Nei primi anni del ’900, gli scienziati scoprirono che l’adrenalina aiutava a decongestionare i condotti respiratori, ma vi erano controindicazioni come l’immediato aumento del battito cardiaco. Alla fine degli anni ’60 alcuni ricercatori inglesi sintetizzarono il farmaco che replicava gli effetti dell’adrenalina sulle vie respiratorie, ma con esiti collaterali: nel 1969 il salbutamolo fu messo in commercio e personalmente testato da David Jack, che ne determinò il giusto dosaggio.

La medicina multiuso

Oggi l‘aspirina rappresenta un must have negli armadietti dei medicinali domestici, ma è importante precisare che l’umanità usa l’acido salicilico, il principio attivo dell’aspirina, da oltre 4000 anni, ricavandolo dal salice e dal mirto. L’aspirina è presente nel mercato dal 1899, ma fu solo dagli anni ’70 che il ricercatore inglese Sir John Vane scoprì come funzionava effettivamente. Infatti l’aspirina tende a bloccare la produzione di prostaglandine, che giocano un ruolo fondamentale nei processi infiammatori e nella trasmissione dei segnali del dolore. Inoltre tale medicinale rende anche il sangue più fluido, ragione per cui molti l’assumono quotidianamente per prevenire infarti e ictus. Ovviamente non tutti possono assumere l’aspirina: in eccesso e/o senza parere medico potrebbe portare a ulcere nello stomaco. Comunque la sua storia sembra si stia evolvendo: alcune ricerche dimostrano che, se assunta giornalmente, potrebbe prevenire diversi tipi di cancro, compresi tumori allo stomaco e all’intestino.

Bloccare il dolore

Ricavata dal papavero da oppio, la morfina rappresenta un altro farmaco dalla lunga storia. Antidolorifico ed euforizzante, agisce sul sistema nervoso centrale bloccando i dolori più intensi: legandosi ai recettori oppioidi nelle cellule nervose del cervello, della colonna vertebrale e dell’intestino, silenzia i segnali del dolore. Gli effetti del papavero sono conosciuti dal 4000 a.C., anche se l’uso medico risale al 1800, con il primo isolamento chimico della morfina. Può avere effetti collaterali seri e causare dipendenza, dunque il suo utilizzo va limitato a casi molto gravi.

Spezzare il ciclo delle psicosi

Fino agli anni ’50 non esistevano farmaci per le malattie mentali, per cui i pazienti con disordini mentali venivano rinchiusi in istituti e trattati, senza grandi risultati, con elettroshock o psicoterapie. Nel 1952 le cose cambiarono con l’avvento della clorpromazina che rivoluzionò lo scenario. Inizialmente questa sostanza era prescritta per superare lo shock delle operazioni chirurgiche, ma poi, grazie allo psichiatra francese Pierre Deniker, il suo utilizzo fu promosso negli istituti per malati mentali. Nel 1954 il farmaco fu approvato dalla Food and Drug Administration e ribattezzato Torazina: blocca i recettori delle dopamine nel cervello e in molti casi permette a pazienti che soffrono di psicosi di vivere normalmente.

Il propanolo

Il propanolo è stato il primo beta-bloccante efficace. Si tratta di una famiglia di farmaci usati per curare problemi cardiaci come aritmie o attacchi di cuore. La loro azione è fondamentale e consiste nel bloccare i recettori per gli ormoni adrenalina e noradrenalina, rallentando il battito cardiaco e riducendo la pressione del sangue. Il responsabile di questo farmaco fu lo scienziato britannico James Blanck, che nel 1964 vinse il premio Nobel per la medicina. Recentemente il propanolo è stato sostituto da altri farmaci con minori effetti collaterali, ma il propanolo ha trovato altri impieghi come la riduzione degli stati ansiosi e la paura da palcoscenico negli attori, ed è consigliato anche per le emicranie.

Elvira Bellicini, 5 A Scientifico

 

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Le medie: “Aumentano la positività”

Posted by admin On Agosto - 22 - 2020 Commenti disabilitati su Le medie: “Aumentano la positività”

Come si poteva migliorare un complesso scolastico di alta qualità, ben avviato e soprattutto riconosciuto e conosciuto a livello provinciale e regionale come l’Istituto “Antonio Locatelli”? Il preside Giuseppe Di Giminiani, ancora una volta, ha abbracciato il rischio per imbarcarsi in un mondo nuovo per quanto riguarda il complesso bergamasco: le scuole medie inferiori, avviate quest’anno.

Com’è nata questa idea?

È nata con l’intento di garantire una preparazione differente per affrontare le superiori al meglio, affinché gli alunni arrivino preparati e con un’eccellente metodologia di studio, come già fatto alla scuola di Grottammare.

Cosa ha portato alla città?

Nonostante le ottime realtà cittadine, ho voluto anche io mettermi in gioco garantendo un progetto di alto livello e diverso da quelli già presenti.

Cosa ha portato al Locatelli?

All’interno della scuola, con l’arrivo della prima media, è aumentata la positività che era già presente, portando una ventata di entusiasmo e un notevole rinnovamento. I ragazzi, ma soprattutto i genitori, sono molto soddisfatti e questo mi rende molto fiero trattandosi di progetto giovane.

Come procede?

Nonostante la sede della scuola media non sia ancora pronta, il progetto “Scuola Media” procede molto bene. A giugno la palazzina in costruzione sarà terminata e saranno garantiti gli spazi necessari agli alunni.

C’è stato un aumento delle iscrizioni per il prossimo anno scolastico?

Rispetto all’anno scolastico in corso le iscrizioni per quanto riguarda le scuole medie sono aumentate del 10%, fornendo a me e ai miei collaboratori un riscontro positivo.

La prima media quest’anno si trova circondata da classi delle superiori: ci parli di questa coesistenza.

Quest’anno è andata così a causa dei ritardi nella costruzione della nuova struttura. Nonostante ciò, tutto è andato per il meglio e ciò può solo essere positivo. I bambini arrivano a scuola con grande entusiasmo e portano gioia a chiunque li incontri, siano ragazzi o professori. Si sentono parte del Locatelli anche grazie alle attenzioni che i più grandi riservano loro.

Un pregio e un difetto delle medie.

Non si può parlare di pregi e difetti. Il progetto è appena partito e il connubio della preparazione conseguita nei tre anni avrà reso gli alunni pronti ad affrontare le superiori, particolarmente quelle del Locatelli: alcuni docenti delle medie sono gli stessi delle superiori e quindi una continuità all’interno del nostro istituto sarebbe la miglior scelta per l’alunno.

Quali sono le materie più importanti del percorso triennale?

Le materie importanti sono tante. Il latino, ad esempio, prepara gli alunni al primo anno di liceo spalmando il programma sul triennio delle medie. L’inglese è ovviamente fondamentale e molte materie sono svolte in lingua, come teatro ad esempio. Inoltre viene insegnato lo spagnolo come seconda lingua straniera, mentre matematica e scienze vengono spiegate da due docenti differenti. Inoltre, data la giovanissima età degli alunni e i pericoli in cui possono intercorrere sul web, vengono impartite lezioni di informatica giuridica con il colonnello Piccinni.

Perché scegliere queste medie?

Il nome “Locatelli” è una garanzia a Bergamo, in Lombardia e al di fuori della regione. Ovunque il giudizio sul nostro istituto è positivo, è una realtà trentennale che ha portato successi di anno in anno. I genitori ripongono molta fiducia nella scuola e sono tutti soddisfatti, sia per quanto riguarda la prima media, sia per quanto riguarda le superiori.

Ci saranno mai le elementari?

Le scuole elementari sono il prossimo progetto che vorrei attuare: sono un mio grande obiettivo, cui vorrei dar luce fra tre o quattro anni. Lo scopo sarebbe creare un percorso completo dai sei ai diciotto anni, in modo da dare ai bambini e ai ragazzi una uniformità e continuità nel loro viaggio scolastico: il sistema scolastico italiano è in declino dal punto di vista umano perché almeno il 20% degli studenti non è autosufficiente e necessiterebbe di avere maggior supporto morale e didattico. È ciò a cui ho sempre puntato da quando ho fondato questa scuola e che riuscirei a ottenere fornendo la possibilità di seguire un percorso scolastico completo e uniforme all’interno dell’istituto.

Alessandro Donina, Stefano Macchia, 4 A Scientifico

 

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EduFin, sfida per affrontare il futuro

Posted by admin On Agosto - 22 - 2020 Commenti disabilitati su EduFin, sfida per affrontare il futuro

La mancanza di educazione finanziaria è un problema che riguarda larga parte della popolazione del nostro paese. Casi avvenuti nel recente passato come le perdite legate al titolo Lehman Brothers oppure le obbligazioni subordinate, generando situazioni di disagio sociale, hanno evidenziato la limitata conoscenza, anche delle più elementari nozioni di finanza, da parte di molte persone che, a seguito di tali avvenimenti, hanno perso i risparmi di una vita.

In questo contesto si inserisce il corso EduFin, promosso dall’associazione Federmanager, che i ragazzi delle classi quinte hanno avuto l’opportunità di frequentare. Tale percorso, avviato a novembre per un totale di dieci ore, ha rappresentato una proposta di alfabetizzazione finanziaria nell’ambito del progetto di Cittadinanza e Costituzione. La sessione è stata sostenuta da soggetti esperti in materia, che con passione hanno saputo trasmettere ai giovani d’oggi conoscenze utili, che consentiranno loro di partecipare attivamente alla realtà sociale, culturale, professionale ed economica in cui si collocano. L’intero iter è stato affiancato da un consistente materiale didattico, che ha permesso ai ragazzi d’assimilare innumerevoli nozioni tra le quali rientrano concetti di PIL e GRAND, la pianificazione finanziaria e il sistema previdenziale.

Al termine del corso, il 19 dicembre, gli studenti hanno partecipato a una “caccia al tesoro finanziaria”: 20 quesiti a risposta multipla sugli argomenti affrontati. La consegna del “tesoro” si è svolta il 31 gennaio 2020 presso l’istituto Aeronautico Locatelli. Di seguito riportiamo un’intervista ai docenti che ci hanno accompagnato in questo percorso.

Che ruoli ricoprivate prima del pensionamento?

Abbiamo dedicato la nostra vita alla direzione di imprese, al mondo dell’industria. Tra noi alcuni hanno rivestito ruoli dirigenziali presso multinazionali italiane e francesi.

Come vi siete avvicinati a Federmanager?

In qualità di manager in pensione siamo stati direttamente contattati dall’associazione. Principalmente ci occupiamo di progetti come EduFin oppure interveniamo in cooperative senza disponibilità economica aiutandone lo sviluppo e il controllo dei bilanci.

Come è nata l’idea del corso EduFin e in che modo vi siete avvicinati al nostro Istituto?

Il corso è nato nel 2019, ma ovviamente prima dell’apertura del sipario ci sono stati mesi di lavoro per la preparazione del materiale didattico e la pianificazione dell’intero iter. Il tutto è stato reso possibile dall’Ufficio Scolastico, che ha accettato e sostenuto l’idea del corso. EduFin ha riscosso un grande successo, l’obiettivo primario non era quello di creare lezioni frontali, anzi, puntavamo sul totale coinvolgimento dei ragazzi, e siamo fieri del risultato ottenuto!

Come vi sono sembrati i giovani d’oggi posti davanti ai fondamenti del mondo finanziario e al corso?

Come previsto la conoscenza iniziale era bassa, ma non nulla e questo ha suscitato in noi un sospiro di sollievo! Lo scopo era illustrare le problematiche, dando ai ragazzi nozioni, ma soprattutto input. Gli studenti hanno affrontato il corso con serietà ed entusiasmo, creando un clima di totale positività: il tasso di interesse è stato elevato!

Come vedete il futuro dell’economia e dei giovani?

Il mondo sarà sempre più complesso perché tutto è interconnesso: quando noi eravamo ragazzi conoscevamo solo la nostra situazione, oggi invece non si può più ragionare in un contesto nazionale. I vostri tempi saranno più complicati, ma bisogna aver fiducia nei giovani, che in primis devono aver fiducia in se stessi. A nostro avviso la grande sfida dei giovani sarà la velocità dei cambiamenti. Ai nostri tempi le innovazioni erano più lente, impiegavano tempo per essere conosciute… mentre ora tutto viaggia a velocità vicina a quella della luce! Tutto sommato non siamo negativi. Speriamo che le classi dirigenti si prendano la loro responsabilità e realizzino che la politica ha un ruolo di guida, mentre l’economia è uno strumento. Il futuro dell’economia è complesso, sia a livello internazionale che italiano. Con il PIL che non cresce, la disoccupazione elevata e la produttività bassissima, il tutto unito a un debito pubblico elevatissimo, bisogna trovare la strada e la capacità di attuare un cambiamento. Abbiamo fiducia delle nuove generazioni, ma la situazione è diversa, per certi aspetti più difficoltosa, per altri più facile. I rapporti internazionali oggi sono molto più sviluppati, ma ci sono insidie come la globalizzazione cui far fronte.

Un ultimo consiglio?

Studiate, incuriositevi, date importanza alle soft skills, ma soprattutto allo spirito di gruppo, al dialogo, ai rapporti umani! Abbiamo fiducia in voi, siamo sicuri che informandovi, amplierete il vostro bagaglio culturale. Fate esperienze, mantenendo sempre una certa professionalità, e fate bene le cose, l’esperienza ci ha insegnato che le cose fatte male non portano ad alcun traguardo.

Elvira Bellicini e Lisa Merlo, 5 B Scientifico

 

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