Sunday, November 2, 2025

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Cesare Mori, prefetto di ferro

Posted by admin On Maggio - 13 - 2017 Commenti disabilitati su Cesare Mori, prefetto di ferro

di Riccardo Bernocchi, 3 B Ls

“Infliggerò alla mafia un colpo mortale – aveva annunciato Benito Mussolini al suo addetto stampa Cesare Rossi – La polizia avrà libertà d’azione. Se occorreranno nuove leggi, noi le faremo”.

Inizia con queste parole l’avventura, tutta fascista, di Cesare Mori in Sicilia: l’uomo che sarà poi chiamato con l’appellativo di “Prefetto di Ferro”. La carriera di Mori come prefetto, dopo una serie di esperienze nell’esercito, nella pubblica sicurezza e poi nella polizia politica fino a raggiungere il grado di Questore, comincia nel 1920 e l’8 febbraio dell’anno successivo viene nominato prefetto di Bologna. Durante il duro periodo dello squadrismo fascista, Mori dimostra la sua fedeltà allo Stato, punendo però allo stesso modo socialisti e fascisti. Nel ’22 viene trasferito come prefetto a Bari, ma dopo poco viene dispensato dal servizio attivo. Nel 1924 Mussolini visita per la prima volta la Sicilia nelle vesti di Presidente del Consiglio: rimane disgustato – ci racconta la storia – dalla presenza mafiosa che inquinava tutta la classe dirigente isolana. La mafia aveva tessuto un fitta ragnatela difficilmente annientabile. Il 27 maggio dello stesso anno Mussolini convoca l’allora capo della polizia, Emilio De Bono, i questori Francesco Crispo Moncada e Arturo Bocchini (che tra l’altro assumeranno il ruolo di capo della polizia il primo tre settimane dopo e il secondo nel 1926), e l’onorevole Luigi Federzoni; espone il problema siciliano e, alla fine della seduta, viene scelto il nome di Cesare Mori per debellare quella situazione. Il 6 giugno Mori raggiunge la prefettura di Trapani, sua sede provvisoria, in attesa del decreto che farà di lui il “Prefettissimo” della Sicilia. Il 20 ottobre 1925 Mussolini nomina infatti Mori prefetto di Palermo con poteri straordinari e con competenza estesa a tutta l’isola. È l’nizio di un periodo di durissime repressioni contro la malavita e il fenomeno del brigantaggio.

La lotta di Mori non è solo una prova di forza tra Stato e malavita, ma anche una lotta di intelligenza: il prefetto riesce a comprendere la psicologia siciliana, facendo leva sulle masse e sul concetto dell’onore mafioso.

Nell’arco di questi anni Mori ottiene risultati significativi, colpendo anche personaggi di grande spicco del regime fascista isolano: risultati che lo rendono il personaggio politico che infligge il più duro colpo alla mafia siciliana nella storia d’Italia. Il prefetto lascia nel 1929 per anzianità di servizio, a cinquantotto anni e dopo 35 complessivi di servizio per lo Stato.

Per la propaganda fascista la mafia è sconfitta: nella realtà storica però già dopo qualche anno la mafia si rialza e ritorna più forte di prima, anche a seguito dello sbarco Alleato nel 1943.

“Da oltre trent’anni, sul pittoresco gruppo montuoso delle Madonie, bello come una piccola Svizzera mediterranea, comandano i briganti”. Inizia con queste parole la “scheda” redatta da Cesare Mori, subito dopo essere stato richiamato in Sicilia. Risale al 1° gennaio 1926 la più famosa azione del “Prefetto di Ferro”, passata alla storia come l’assedio di Gangi.

L’esercito di Mori, le forze insomma a sua disposizione per combattere la malavita, è costituito da 800 uomini a cavallo fra carabinieri e polizia di Stato. Divisi in gruppi di cinquanta uomini autonomi, stringono d’assedio Gangi, un borgo diventato roccaforte di molti criminali.

Le truppe del prefetto occupano prima le basi mafiose e poi passano al rastrellamento del paese: ogni casa viene perquisita e, alla fine della retata, vengono arrestati più di 400 “briganti”, ma nessun personaggio di rilievo. Mori non si arrende e inizia una vera e propria guerra psicologica contro la mafia siciliana.

La sua prima trovata consiste nel far spargere la voce che gli ostaggi di Gangi, i  400 catturati, stanno subendo in carcere ogni tipo di maltrattamento e che in particolare che “gli sbirri” stanno addirittura abusando delle donne dei malavitosi. Il piano riesce e molti banditi escono dai loro nascondigli: non però i capi mafiosi che rimangono invece nascosti.

Il “Prefettissimo” decide allora di sequestrare tutti i beni appartenenti ai banditi. Questi sequestri avvengono in pieno giorno, con molta pubblicità, appositamente esagerata: al punto che i vitelli più grassi delle mandrie sequestrate vengono macellati nelle piazze e dati alla popolazione.

Mori, sentendosi ormai vicino alla vittoria, lancia delle sfide a duello ai capi banditi: il rifiuto dei capi fa leva sulla popolazione, che è abituata a rispettare solo coloro che assumono un atteggiamento mafioso, vale a dire d’onore.

A questo punto Mori arriva a dare un ultimatum ai mafiosi nascosti, minacciando “estreme conseguenze”. Il proclama viene letto alle otto del mattino del 6 gennaio. Sei ore dopo Gaetano Ferrarello, uno dei principali boss delle Madonie, si costituisce al sindaco di Gangi. Dopo Ferrarello escono dai loro nascondigli anche altri boss mafiosi.

Il successo del Regime e del suo “braccio”, Cesare Mori, diventa assoluto e riconosciuto anche dalla stampa internazionale.

 

 

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Teatro dialettale, risorsa per i giovani

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Teatro dialettale, risorsa per i giovani

Il dialetto è una cosa per vecchi? È davvero destinato a sparire? In realtà, non sono pochi i giovani che ritengono il dialetto un fattore di arricchimento culturale e personale e lo utilizzano quotidianamente. Che voi siate nati a Bergamo, a Palermo o a Verona, avrete certamente un ricordo di vostra nonna o di qualche anziana parente che si esprime in dialetto, con espressioni tipiche e colorite, difficilmente traducibili in italiano senza snaturarne il senso.

Ognuno di noi dovrebbe essere legato alla propria “vulgata”: che bello quando, ovunque nel mondo, senti un “ga rie mia” o un “mama che bel!” e capisci che ci sono dei tuoi conterranei nei paraggi. La varietà e la ricchezza dei dialetti è uno dei tanti elementi che rende unica l’Italia, arricchendola di bellezza e tradizioni locali. Certo, tra le parlate locali ce ne sono di migliori in quanto a gradevolezza del suono, ma il bergamasco è tutt’altro che inespressivo.

Il dialetto non è una bandiera di qualche fazione politica, ma è patrimonio di tutta una comunità da custodire gelosamente.

La mia passione per il bergamasco nasce dall’essere cresciuto con le nonne, il nostro “welfare” più importante: esso evoca quindi in me ricordi piacevoli dell’infanzia e del presente che spesso associo a una “lingua”.

Qualche anno fa mi è stato proposto di entrare nella compagnia teatrale dialettale del mio paese, Osio Sotto, e ho accettato di buon grado: mettere in scena le vicende della vita quotidiana bergamasca in “lingua originale” è davvero molto divertente e suscita negli spettatori tante e tante risate dovute all’empatia che si crea tra noi “attori” (o almeno, noi che proviamo a fare gli attori…) e il pubblico, che vede la propria vita di ogni giorno rappresentata su un palcoscenico, condita in chiave comica.

Nella nostra compagnia, che abbiamo chiamato non a caso “nostrana”, ci sono persone che recitano in dialetto praticamente da quando erano bambini e dimostrano tutta la loro bravura e la loro simpatia nel realizzare ogni anno commedie sempre più divertenti, senza mai cadere nel ridicolo.

Quanto è difficile destare le risate del pubblico senza ricorrere al facile “trash” che impera in questi periodi! Lo ammetto, non è usuale per un ragazzo di diciannove anni buttarsi in questo mondo così “insolito”. Proprio qui sta il bello della sfida: avvicinare altri miei coetanei alla commedia dialettale, “avvicinando” generazioni spesso distanti tra loro (sia anagraficamente che non) rappresenta la mia “mission”, quello che mi sono prefissato quando ho iniziato a far teatro.

Fino a oggi le nostre commedie sono sempre piaciute agli spettatori di tutte le età: speriamo di continuare con questi piccoli successi anche negli spettacoli futuri, dimostrando che il dialetto non è “roba da vecchi”!

Daniele Pinotti, 5B Ls

 

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Una Firenze diversa: viaggio by night

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Una Firenze diversa: viaggio by night

Il Duomo di Firenze di sera ha tutto un altro aspetto.  Di giorno, soprattutto quando il tempo è bello, i fronzoli della sua facciata, i marmi che lo rivestono e la sua immensa cupola si lasciano stuzzicare dalle informi protuberanze delle nuvole che scorrono in balia del vento sopra la città, creando un amalgama con il cielo. Quando calano le tenebre invece, il Tempio del Signore assume un aspetto artificiale, sterile, ma allo stesso tempo di un’universale eternità. Si staglia nel buio, estraneo agli edifici vicini, nascosti dalla sua figura che sembra essere lì da sempre, come un detrito lasciato da una stella esplosa. La volta celeste, di notte, perde tutte le imprecisioni e le sfumature, lasciando posto a un uniforme mantello nero che avvolge la città, proteggendola gelosamente dall’esterno.

Quando si arriva a Firenze, questo mantello lei te lo fa sentire. Varcando gli Appennini da cui è circondata ci si cala in una vallata che ospita prima una landa popolata di ferrovie, stazioni, condomini vetusti e strade deserte. L’atmosfera è da Far West. I treni che passano sui binari invasi dalla sterpaglia sono impreziositi dall’estro artistico di qualche writer. I condomini, per quello che si può scorgere dalla circonvallazione, anche.

Spingendosi un po’ più in là poi si inizia a cambiare dimensione, dello spazio, del tempo. Si iniziano a vedere auto, pullman. Persino qualche bicicletta che si insinua nel traffico, nascondendo quasi sempre il ciclista. Poi l’aeroporto.

L’aeroporto di Firenze fu costruito in quel luogo così soffocante nel 1928, quando gli edifici della città erano ancora ben lontani dall’avvicinarsi ai suoi piazzali come radici di un albero che si spinge nelle profondità del terreno alla ricerca di acqua. Ci arrivarono negli anni ’50, quando qualcuno iniziò a pensare di costruire un altro scalo. Più esteso, per aeroplani più grandi e che portassero più turisti. Poi si abbandonò tutto e Firenze Peretola è ancora lì. Nel 2015 ci sono passati 2 milioni e mezzo di passeggeri.

Proseguendo, ancora auto, qualche pullman dell’esercito vuoto, una caserma con i vetri delle finestre rotti. E l’Arno. L’Arno nasce sul monte Falterona e si snoda sino al Mar Ligure per 241 chilometri. Quando i fondatori latini di Firenze si stanziarono vicino a Piazza Repubblica, scelsero quel luogo proprio per la vicinanza all’Arno. Furono l’acqua, la corrente ad attirarli. La corrente ha una forza assoluta. Trasporta tutto ciò che viene immerso nelle acque, lo fa sparire, lo nasconde alla vista. Finchè non lo passa in consegna al mare. Oggi le acque dell’Arno sono di un marrone inguardabile, contornato dal verde delle erbacce che ne popolano le sponde.

Passato il Fiume si penetra nella parte più umana di Firenze, un piccolo universo a parte dove iniziano ad apparire le persone.

Ci sono vu’ cumprà con appresso borsoni ricolmi di braccialetti. Su alcuni ci si può scrivere un nome. “Come si chiama tua ragazza?” chiedono. “Scrivi nome qua” indicando un quaderno stracciato e porgendo una Bic. Spesso non vengono considerati o sono allontanati malamente.

Poi ci sono quelli che vendono quadretti. Canal Grande, il Colosseo, Bob Marley. Questi ambulanti sono una categoria strana. Si stanziano nelle piazze ai lati delle vie con un aggeggio che ricorda uno stendipanni. Lo usano per portare i disegni. Alcuni dicono persino di essere loro gli autori delle opere palesemente riprodotte a macchina. Tuttavia non ho mai visto un turista avvicinarsi a questi soggetti, men che meno un turista italiano. Se ne stanno lì, in piedi. Poi quando si stufano prendono stendino e quadretti sotto braccio e se ne vanno.

I vu’ cumprà si aggirano soprattutto per il centro storico. L’anno scorso c’erano anche gli zingari. Ora non se ne vedono più a scapito della multiculturalità, ma lasciando più spazio agli indiani, ai marocchini e ai tanti senegalesi.

Sono dei maghi negli affari, i senegalesi. Un tizio senegalese che si fa chiamare Bunga-Bunga si aggira nei dintorni di Piazza Repubblica vendendo braccialetti e richiamando nutriti gruppi di ragazzi attirati dalle misteriose proprietà della sua merce. Non appena Bunga-Bunga riunisce una certa quantità di seguaci, sfrutta la confusione che si crea dicendo qua e là: “tu non ha pagato, tu ha pagato meno”, finendo per riscuotere più soldi del dovuto.

Anche i Medici erano maghi degli affari. Commerciavano seta e finirono per fare i banchieri, rendendo Firenze ricca e potente. La vollero celebrare, questa potenza. Ampliarono una chiesa in Piazza San Giovanni. Doveva esprimere il potere religioso e politico. Ne uscì una struttura armonica, lineare. Il Duomo lo costruirono loro ed è perfetto di giorno, ma di notte assume un aspetto fuori dal normale.

Matteo Bevilacqua, 2B Ls

 

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Antica Pizzicheria: sapori da sogno

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Antica Pizzicheria: sapori da sogno

Luogo dai mille sapori e dalle mille emozioni, un mix di aromi, di spezie, di profumi che creano un’atmosfera idilliaca che avvolge il turista, che si sente subito catturato da questa storica bottega di salumi e prodotti tipici toscani.

L’entrata è adornata dalla testa di un cinghiale dagli occhi lucidi, che ti fissano dietro le lenti di un paio d’occhiali, invitandoti a entrare, e da un maiale roseo, in compensato, proprio davanti alla vetrina, attraverso la quale si vedono appesi salumi di ogni genere che ti fanno venire l’acquolina in bocca.

È uno dei negozi più antichi al mondo, ambasciatore della varietà, della genuinità e della qualità dei prodotti della penisola italiana, e dove, seppur in un piccolo spazio, trionfano il buon cibo, la qualità, l’ospitalità e il made in Italy a tutto campo. Tutto questo è racchiuso nella “Pizzicheria de Miccoli” di Siena.

Un piccolo negozio “alla buona”, che però, arricchito da salumi, vini e formaggi sembra diventare un perfetto esempio di architettura barocca. Entrando dalla porta, alla sinistra, si innalza verso il soffitto un’enorme scaffalatura sulla quale è riposta una vastissima varietà di vini pregiati e rinomati: dal “Chianti” al famosissimo e pregiatissimo “Brunello di Montalcino”. Ai loro piedi troviamo dolci già confezionati, tra i quali spicca il Pan Forte, il dolce tipico di Siena.

Alzando il capo, ci si accorge che sulla nostra testa vi è un firmamento di salumi appesi, immobili, che rendono quasi impossibile vedere il soffitto. Nel bancone, invece, sono riposti in modo meticoloso e ordinato i salumi pronti per essere affettati e formaggi di ogni genere. Appoggiati sul banco, invece, sono ordinati barattoli di vetro con al loro interno vari tipi di biscotti. L’ambiente e l’atmosfera sono completati dalla personalità gioviale del proprietario: di media statura, robusto, la barba grigia, perfettamente in armonia con l’ambiente. Con la sua ospitalità e cordialità, qualità diventate ormai rare, invoglia il compratore: ti accompagna in una danza di sapori, facendoti gustare i prodotti e nel contempo fornendoti informazioni sulla loro provenienza e sulle tecniche di preparazione: le sue parole spiegano e raccontano i sapori della bottega e la differenza tra un taglio e l’altro di salume, tra un latticino e quello accanto, tutti così simili eppure così straordinariamente differenti.

Sicuramente un tempio della buona cucina italiana, la “Pizzicheria de Miccoli” merita di essere visitata da tutti coloro che si recano a Siena e che desiderano lasciarsi inebriare dal piacere del gusto: d’altra parte il gran numero di turisti che, sulla via tra piazza Del Campo, dove si corre il Palio, e il complesso monumentale del Duomo di Siena, fa tappa in questo negozio lo eleva già ormai a monumento a pieno diritto.

Riccardo Bernocchi, 2B Ls

 

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I Social e la nostra vita

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su I Social e la nostra vita

Con l’avvento dei Social la nostra vita è cambiata e non poco: basti pensare che con un solo movimento del polso, riusciamo a tirare fuori dalla nostra tasca l’intero mondo… o forse è solo quello che i media ci fanno credere?

Messenger, un applicazione di una manciata di megabyte di peso che riesce a condizionare migliaia di tonnellate di uomini: passiamo secondi, minuti, ore davanti a uno schermo di 5 pollici in cerca di una notizia, di un contatto, di un’amicizia, ma in verità cio che noi crediamo amicizie o conoscenze sono solo sequenze di codici alfanumerici che vengono e che vanno.

“Eppure siamo sicuri di esprimerci e non semplicemente di chattare col resto del mondo? Siamo sicuri di osservare e non stare semplicemente a guardare? E, ancora, siamo sicuri che le amicizie che puntualmente coltiviamo soltanto tramite Internet non siano una mera illusione?” (Chimerarevo). Eppure… siamo proprio sicuri che la colpa sia della tecnologia e dei tanti che hanno contribuito a svilupparla? I Social, come tutto d’altronde, hanno lati positivi come lati negativi. Possono riavvicinare amici o parenti, permettono di contattare la propria anima gemella anche a distanza di migliaia di chilometri, ma possono pure allontanare persone che si trovano magari solo a un paio di metri di distanza.

La colpa è dell’utilizzo che noi ne facciamo: potremmo usarli solo per lo scopo per cui vennero inventati, come per Facebook il riavvicinamento di amicizie di vecchia data, oppure, come facciamo ormai quasi tutti, occupare ogni momento libero della nostra giornata a guardare cose che nemmeno ci interessano davvero.

Non è l’evoluzione della tecnologia o il continuo aumentare delle piattaforme di Social Network il problema, ma la nostra incapacità di controllore questo potentissimo strumento. “La scelta di essere completamente azzerati da una rete onnipresente nella frenesia di tutti i giorni o di vivere una vita reale fatta di rapporti reali e non solo di finestre di chat sta solo ed esclusivamente a noi. Ammetterlo è il primo passo verso la “guarigione”. (Chimerarevo).

Marcello Colombi, 2A Ls

 

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La tecnologia: risorsa o problema?

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su La tecnologia: risorsa o problema?

Sviluppo tecnologico: crescita o regresso? Negli ultimi anni l’espansione scientifica e tecnologica è stata la protagonista assoluta della scena internazionale.

Ormai dobbiamo dire addio alla comunicazione diretta con gli interlocutori o semplicemente all’udire la voce altrui. Ora le comunicazioni avvengono prevalentemente attraverso messaggi scritti, spesso inviati attraverso la Rete, grazie alla diffusione di applicazioni specifiche. Diciamocelo, il messaggio evita spiacevoli inconvenienti, come per esempio l’avvilente frase “la persona da lei chiamata non è al momento raggiungibile”, e assicura che l’informazione, prima o poi, arrivi al destinatario.

Oggi se vediamo sul nostro telefonino o su un altro strumento elettronico che non c’è campo, come uomini (e donne) primitivi perdiamo la ragione e cerchiamo in ogni modo di ritornare “connessi” con il mondo intero. Credo che questo fatto ci faccia capire il mutamento in pochi anni delle azioni umane: alcuni anni fa non si era schiavi delle tecnologie e così i modi di trascorrere le giornate erano diversi. I ragazzi giocavano sempre all’aria aperta, mentre oggi utilizzano in ogni momento il cellulare e non sono più soliti uscire e trascorrere del tempo con i loro coetanei.

Le nuove tecnologie possono però portare sia aspetti negativi che positivi. Lo smartphone, per esempio, può trasformarsi in una dipendenza vera e propria con il suo utilizzo in ogni momento della giornata, anche quando si è a tavola con ospiti o in famiglia. Conversare ad alta voce al telefono quando si è in luoghi pubblici, sul treno o in metropolitana e inviare messaggi o telefonare quando si è alla guida sono aspetti negativi, che ormai si verificano anche inconsciamente.

D’altra parte il cellulare, essendo connesso in rete, può garantire un mondo di informazioni raggiungibili con un solo tocco. Attraverso la semplicità con cui si comunica via e-mail o con i messaggi si è anche andato a favorire l’ambito lavorativo, introducendo innovazioni tecnologiche  che garantiscono una maggiore efficacia nella produzione lavorativa.

È necessario avere un occhio di riguardo per i social network, che possono favorire la comunicazione tra conoscenti e perfino tra perfetti estranei, ma rappresentare anche un aspetto fortemente preoccupante a causa del cyberbullismo e dello stalking che possono esserne favoriti.

A questo punto, cari lettori, ormai la tecnologia si sta sempre più radicando nelle nostre vite e nella nostra quotidianità, perciò starà a noi sfruttare queste innovazioni in modo positivo come strumento di evoluzione della specie umana ed evitare invece tutti quei vizi a cui le tecnologie possono portarci, magari anche facendoci cadere nel baratro della dipendenza.

Nicolò Gelmi, 2A Ls

 

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Gioco d’azzardo: è ora di dire stop

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Gioco d’azzardo: è ora di dire stop

Schedina, gratta e vinci, superenalotto, totocalcio, lotterie varie. Soldi, tanti soldi. Chi spende soldi in questo modo prima o poi diventerà dipendente dal gioco. Non sempre forse, ma la maggior parte delle volte è così, e le difficoltà economiche arrivano in ogni caso. Possiamo grattare un “gratta e vinci” e dire “ho vinto 5 euro!”, ma non si fa mai caso a quanti soldi si è speso per arrivare a quel risultato o a tutto ciò a cui si è dovuto rinunciare.

Ormai da molti anni le persone cercano fortuna e denaro nei giochi d’azzardo permessi dallo Stato italiano, poi ci sono quelli illegali, che portano più adrenalina e più denaro, ma anche più rischio. Ogni volta che entro in un bar o in una tabaccheria vedo cartelli enormi con scritte vincite mostruosamente alte.

Odio quando sento gente che dice “No! Ho perso.. E vabbè andrà meglio la prossima volta”, oppure quando dicono “Ma se spendessi di più avrei la possibilità di vincere di più”.

Non sopporto la gente che pensa e parla così, perché è proprio ciò verso cui il gioco vuol portare il giocatore. Ritenendo che spendere soldi su soldi sia la scelta migliore per vincere, non si riesce ad arrivare alla fine del mese e si è “costretti” a giocare anche gioielli, proprietà e tutto ciò che è più privato.

Penso che se lo Stato volesse davvero combattere il gioco d’azzardo non dovrebbe nemmeno mettere in circolazione tutte le forme di gioco. Però il dio denaro ha ormai ammaliato tutti così da rendere le persone schiave di un ciclo continuo. Soldi, gioco, perdita, ancora soldi. Ciò che poi viene preso dai potenti.

Questi potenti: che capiscano che stanno rovinando persone e famiglie intere. Se si andasse in ogni paese d’Italia e si andasse a vedere quante persone sono sul lastrico o addirittura in mezzo alla strada a cercare qualche moneta, si capirebbe che il gioco è ormai diventato un’epidemia continua che non si riesce a fermare, che va da persona a persona, da portafoglio a portafoglio.

Qualsiasi tipo di scommessa che contenga soldi si può ritenere gioco.

Mi ritengo giocatore anche giocando soltanto 2 euro la settimana coi miei amici per la schedina delle partite di calcio. Questo porta a un’influenza del gioco anche in età adolescenziale, perché il nuovo e il rischioso sono belli.

Io e i miei amici giochiamo la schedina per la voglia del rischio e del guadagno, perché per alcuni dire “ho vinto alla schedina” fa sentire importanti, ma non è così.

Porterà solo a dire bravo, ma se giochi poco non vinci, così che si gioca per riscattarsi con gli amici: si punterà sempre di più, in un circolo infinito.

Davide Locatelli, 2A Ls

 

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Il vigile del fuoco: vita di impegno

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Il vigile del fuoco: vita di impegno

Roberto Quaranta è un allievo vigile del fuoco da dieci anni. L’anno prossimo compirà diciotto anni e sarà costretto ad abbandonare il gruppo allievi per diventare un vigile dell’Associazione vigili del fuoco Verola. Ciò che ha fatto conoscere a Roberto l’Associazione, è il fatto che suo padre fosse, e sia tuttora, un vigile del fuoco da molto tempo. È stato proprio il padre di Roberto, Fausto, a creare il gruppo allievi e ne è ancora il principale istruttore. Appena è partita l’iniziativa Roberto si è quindi iscritto: aveva otto anni.

Gli addestramenti a cui vengono sottoposti gli allievi preparano i ragazzi proprio al lavoro del vigile del fuoco , ma lo fanno con il divertimento. Roberto, per esempio, ha imparato a salire una scala, ad avvitare i tubi e a tenere in mano e usare molti strumenti specifici di questa importante professione.

“Quello che ritengo più importante – ha detto Roberto durante un’intervista – è il fatto di aver imparato a non mollare e a fare tutto con impegno e fervore”.

La festa più importante per tutti gli allievi dei vigili è quella del 1° maggio. Tutte le prove che il gruppo di Verola fa sono finalizzate proprio a questa manifestazione. Roberto ci spiega che tutto inizia con un corteo delle varie associazioni che parte dalla piazza principale del paese, Verola appunto, per arrivare fino al locale distaccamento dei vigili del fuoco. Dopo numerose cerimonie, per concludere la festa vengono mostrate le originali composizioni che gli allievi fanno con le scale. La manifestazione dell’anno scorso è la preferita di Roberto perché, per l’occasione, sono stati invitati anche gli allievi di Lissone e alcuni del Trentino.

La scala che il gruppo allievi di Verola mostra più spesso è chiamata “Le Dolomiti”. Questa composizione è formata da due scale gemelle ai lati e da una scala singola verticale al centro. “Mi piacciono numerose scale, prima fra tutte la scala Dolomiti. Questa scala è il nostro distintivo, visto che l’abbiamo creata noi – spiega Roberto – Per iniziare disponiamo per terra un binario per non far scivolare le scale, poi arriviamo marciando e, dopo aver legato le scale, le tiriamo su. Questa in particolare è composta da due scale laterali e una scala Controventata centrale, ovvero una scala singola verticale”. Un’altra scala importante è la “Controventata italiana”, ovvero una scala verticale singola alta dieci metri.

“Salire su scale così alte è un’emozione fantastica –  ha detto alla fine dell’intervista – Ogni volta che salgo, nonostante lo faccia da tempo, è come se fosse la prima volta. Dopo aver superato la paura ci si sente imbattibili: tutto da lassù è fantastico.

Sara Lucia Zappulla, 2B Ls

 

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RSF retrocede l’Italia: discutibile

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su RSF retrocede l’Italia: discutibile

Cinquanta giornalisti sotto protezione. Due sotto processo per aver diffuso informazioni riservate. Questi i numeri citati da Reporter Senza Frontiere in una statistica a livello mondiale sulla libertà di stampa e relativi all’Italia: si tratta di una classifica che viene aggiornata ogni anno. Quest’anno siamo risultati settantasettesimi su centottanta. Quattro posizioni peggio rispetto allo scorso anno, quando siamo crollati di circa venti posti. Ma informandoci a dovere scopriamo una classifica stesa in modo poco trasparente  e per nulla obiettivo. La percezione del singolo è messa in primo piano e questo di certo non avvantaggia noi, eternamente critici e forse troppo poco patrioti. Davanti all’Italia troviamo Paesi come El Salvador, Benin, Burkina Faso, che le premesse per superarci oggettivamente non le hanno. Abbiamo chiesto qualche chiarimento al giornalista e professore nella nostra scuola Tiziano Tista.

La classifica di Reporter Senza Frontiere dà molto peso alla percezione del singolo.

Sì, e questo la rende particolarmente soggettiva. L’Italia è in una posizione medio-bassa non certo perché ci sia una vera mancanza di libertà. Abbiamo da sempre pluralità e di solito chi è schierato lo dichiara o lo fa capire bene: basti pensare al TG4 di Emilio Fede che è sempre stato particolarmente schierato, ma non in modo subdolo. Questo può portare a una percezione a volte sbagliata, che può far pensare a giornalisti obbligati a dire o tacere. In Italia in realtà, c’è anche una particolarità che è l’Ordine dei Giornalisti, ovvero un albo professionale che dà garanzie sugli appartenenti. Sostanzialmente attesta requisiti e regole, tra cui la deontologia professionale, in cui la libertà è ai primi posti.

Ai primi posti della classifica ci sono Paesi che non sono noti per essere particolarmente democratici, come El Salvador. Un tasso di omicidi tra i più alti al mondo, uno ogni mille abitanti (in Italia cento volte meno): eppure risulta cinquantottesimo.

Ho notato nella graduatoria di questo report che i Paesi in cui c’è un governo “forte”, o addirittura una dittatura, sono tendenzialmente più in alto. Di solito in questi casi succede che il potere è molto accentrato e, nell’esempio di El Salvador, il giornalista “libero” si concentra di più sulla cronaca, fatti come gli omicidi o altro. Qui nessuno di solito interferisce: i problemi possono nascere quando, in questi Stati, si “tocca” la politica, oppure l’economia. È su questi argomenti che solitamente arriva la censura.

Nel punteggio dell’Italia ha influito anche il caso Vatileaks 2?

Potrebbe. Qui torniamo alla deontologia professionale, senza entrare nel merito del caso specifico. Ci sono informazioni, in senso generale, che per quanto meritino di essere scritte non si possono pubblicare. Mettiamo il caso di un furto. Se a commetterlo è una persona qualsiasi posso decidere se pubblicare nome e cognome: in Italia e in quasi tutto il mondo il diritto di cronaca, cioè del giornalista di scrivere, ha la meglio su quello alla privacy. Devo pubblicarli “per forza” se il ladro è un personaggio conosciuto. Ma se si tratta di un furto per fame, il nome del ladro può non far più parte della notizia. Bisogna chiedersi, alla fine, quanto ciò che si scrive invade la sfera intima. Vatileaks può anche essere invasivo della privacy. Del Papa o di chi altri non importa. È comunque un caso sul filo del rasoio: la scelta se scrivere o meno e se punire o meno dipende rispettivamente da giornalista a giornalista e da Paese a Paese.

Gianluigi Nuzzi (uno dei giornalisti sotto processo per Vatileaks 2, ndr) ha sempre precisato che le informazioni sono state ottenute da funzionari che ne avevano il pieno accesso.

Il lavoro del giornalista è cacciare informazioni e i documenti sono informazioni oltre che prove. Rubare documenti è un reato, ma chiaramente se sento una conversazione o leggo un documento anche se non indirizzato a me non ho commesso alcun reato. Pubblicare o meno quello che scopro è una scelta mia: aver saputo la notizia da qualcuno che la conosceva lecitamente non influisce.

Ci sono poi dai 30 ai 50 giornalisti, in Italia, messi sotto protezione. La notizia è stata riportata in una inchiesta di “Repubblica” qualche mese fa.

Qui non si tratta di libertà di stampa. Stiamo parlando di inchieste che per qualcuno sono scomode, e per le quali quindi si cerca di mettere a tacere chi le porta avanti. Qui è sempre la parte “cattiva” che minaccia.

“Charlie Hebdo” e Vatileaks: due casi recenti e diversi tra loro. Quanto pesano in termini di libertà di stampa?

La distinzione è giusta. Un conto è finire nel mirino di qualcuno, e quindi essere messo sotto protezione. Un altro è fare satira, come quella di “Charlie Hebdo”, altro ancora è riferire e scrivere i segreti di uno Stato o di una personalità. Qui non si tratta più solo di libertà di stampa: si tratta di capire dove inizia la libertà altrui e capire che non tutto ciò che si sa è una notizia.

Ha mai avuto esperienze di intimidazioni verso colleghi o lei?

Sì, alcune. In particolare verso colleghi, ma un paio anche nei miei confronti.

Ad esempio?

Io mi occupo di cronaca giudiziaria, dove di solito c’è un torto e qualcuno che lo commette: nessuno ama che si scriva in negativo di sé. Fortunatamente tutti si sono fermati alle parole. Poi capita anche che scrivendo correttamente si arrivi all’estremo opposto e di ricevere ringraziamenti anche dai protagonisti in “negativo” di queste notizie.

Lei considera questo una limitazione?

No, nulla mi è mai stato impedito fisicamente.

Matteo Bevilacqua, 2B Ls

 

 

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Clima e meteo: qualche distinguo

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Clima e meteo: qualche distinguo

Clima e tempo meteorologico

Una delle cause per cui il cambiamento climatico è divenuto uno dei temi di punta del primo decennio del XXI secolo è principalmente sociologica: qualsiasi episodio meteorologico estremo, o comunque fuori dall’ordinario, sebbene non abbia nulla a che vedere con un cambiamento climatico può essere ripreso con un comunissimo smartphone e caricato senza troppi problemi sui social network.

Così, per esempio, i mezzi di comunicazione attribuirono al cambiamento climatico i danni causati dallo tsunami in Indonesia nell’ormai lontano 2004 o dall’uragano Katrina a New Orleans nel 2005.

Il problema è che questi due fenomeni con il cambiamento climatico non centrano nulla: infatti il primo evento è stato causato da un terremoto a 30 chilometri di profondità di magnitudo 9.5 sulla scala Richter (uno degli eventi più estremi dell’era moderna), mentre il secondo non è imputabile all’uragano Katrina, che è stato sì molto violento ma che quando ha raggiunto New Orleans aveva ormai perso molto di intensità e se la città si è trovata sommersa dal Mississippi è stato solo a causa della fragilità degli argini che lo avrebbero dovuto contenere (si parla di circa venti brecce che si sono formate).

Forse, la prima cosa da fare è imparare la differenza tra tempo e clima, ossia tra la meteorologia e la climatologia. La differenza deriva dalla diversa scala temporale a cui ciascuno di essi fa riferimento.

Più esattamente il tempo è lo stato della atmosfera in un luogo e in un momento ben determinati a differenza del clima che è lo stato dell’atmosfera osservato per anni.

Il clima è invece per definizione lo stato medio dell’atmosfera che è stato osservato come tempo meteorologico per più di trent’anni.

Il clima è dunque la successione periodica di tempi meteorologici in un luogo, che determina uno stato più frequente, ossia “meno anomalo”, dell’atmosfera su di esso.

Di conseguenza gli eventi straordinari come tsunami o uragani (ovviamente non parliamo di quelli che si sviluppano con regolarità in date aree geografiche del pianeta), non hanno nulla a che vedere né col clima né con il cambiamento climatico.

Il riscaldamento globale

Ma, allora, cos’è il cambiamento climatico? Esiste o non esiste?

In realtà il clima è cambiato, cambia e cambierà perché si tratta di un meraviglioso sistema dinamico che per definizione non può fare altro che modificarsi continuamente nel tempo.

Per esempio, alla fine del X secolo, i vichinghi migrarono in Groenlandia: una terra verde (lo dice il nome stesso), ricca di pascoli e decisamente carente di ghiaccio, dove fondarono una ricca e prosperosa colonia. Verso la metà del XVI secolo sopraggiunse però la cosiddetta “piccola glaciazione”, durata all’incirca fino alla metà del XIX secolo (sebbene non vi sia una concordanza tra gli studi), che provocò un brusco calo delle temperature medie nell’emisfero boreale. I nostri amici vichinghi furono così costretti ad abbandonare quella Grønland (il nome in danese, che significa appunto terra verde) che oggi ha tutto meno che verdi pascoli.

Ci sono altri esempi che si possono fare: dopo la fine della piccola glaciazione la temperatura media della Terra ha continuato a crescere fino ai giorni nostri, tranne per un periodo che va dal 1940 al 1975 circa in cui si è registrato un lievissimo calo delle temperature e fa strano pensare che qualcuno (animalisti, ambientalisti, ecologisti, giornalisti e chi più ne ha più ne metta) sosteneva che stavamo entrando in una pesantissima glaciazione. La verità, invece, è che la temperatura media della Terra in questi ultimi anni si sta innalzando.

Al giorno d’oggi, la teoria del cambiamento climatico si compone dall’unione di tre ipotesi che non sempre vengono distinte tra loro, anche se ciascuna di esse possiede un grado diverso di dimostrabilità. Questi sono i tre pilastri: in primo luogo esiste un riscaldamento globale della Terra; in secondo lugo la causa principale del riscaldamento globale è l’effetto serra; infine le cause principali dell’effetto serra sono le emissioni di CO2 (anidride carbonica) di origine umana.

Per arrivare ad elaborare questa teoria ci sono voluti decenni di studio e di cooperazione tra Meteorologi (quelli seri, non quelli sparano a giugno che il 27 gennaio alle ore 12,07 a Bergamo cadranno 10 metri di neve o che a maggio ti sanno dire che a ferragosto ci saranno 30 gradi con cielo sarà limpido a Bari) e Climatologi. Si spera ora che qualcuno si svegli e inizi a considerare il cambiamento climatico non come una chiacchiera da bar ma come una questione seria da affrontare quanto prima.

Mirko Mondini, diplomato 2014

 

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Solo, in aria e in acqua

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Solo, in aria e in acqua

Quando mi ritrovai per la prima volta con la testa sott’acqua, ciò che mi colpì fu il silenzio che macchia di solitudine la bugia della compagnia e della sicurezza. Lo si impara lentamente, lo si capisce col tempo e ne si soffre. Io ne ho sofferto, l’ho persino imparato, ma non mi sento di scrivere di averlo capito.

Ciò perché l’arte (si può proprio chiamarla così) del capire, si allontana dalla mera assimilazione di un concetto: semplice o complesso che sia. Prende le distanze dalla ripetizione mnemonica di concetti, parole private con prepotenza del loro significato. Imparare è scientifico, drammaticamente perfetto.

La scienza richiama la nostra tendenza a dirigerci verso l’esatto, l’estrema precisione (di un numero, un dato, un orario, un’informazione). L’esatto ci dà sicurezza, una bugia appunto: ma noi la vogliamo, privandoci del gusto dell’incertezza.

Capire è dolcemente poetico: ci permette di cullarci tra le onde della nostra umanità, quella del prossimo: è una forma di empatia.

Volare non lascia scampo alla incertezza, non c’è niente da capire. A volare si impara e basta. Ormai la precisione del sistema non lascia spazio alla sofferenza, evita le domande (qualcuno diceva che non esistono domande stupide, solo risposte stupide) e abbandona totalmente l’ambito del capire correndo su un binario parallelo.

Capire non serve più, è un bene inutile, è in eccesso e non viene più sfruttato. Purtroppo.

Piccolo post scriptum per gli aspiranti aviatori: se in questo scritto denigro più o meno esplicitamente il mondo aeronautico vi chiedo di non fraintendere le mie parole. Sono una semplice analisi, una critica se vogliamo, a un sistema di vita tipico del mondo moderno di cui l’aviazione è un esempio, un portabandiera. A voi la mia stima.

Matteo Bevilacqua, 2B Ls

 

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Droga legale: i pro e i molti contro

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Droga legale: i pro e i molti contro

Negli ultimi tempi si è parlato di legalizzare le droghe leggere, cioè di creare veri e propri negozi per la vendita legale di tale tipologia di sostanze, con tanto di scontrino e tassa sul consumo.

Da un punto di vista economico la legalizzazione delle droghe favorirebbe un grande introito per lo Stato, vista la vastità dell’utilizzo. Inoltre si potrebbe combattere il fenomeno delle organizzazioni criminali, che si sono arricchite e continuano ad arricchirsi grazie alla vendita illegale di stupefacenti. Quindi legalizzare la produzione e la vendita al dettaglio delle droghe strapperebbe loro questo business, indebolendole considerevolmente.

Però la questione vera riguarda l’utilizzo di sostanze che recano danni seri agli individui che ne fanno uso e provocano principalmente lesioni gravi e irreparabili al cervello. Con la legalizzazione, acquistare stupefacenti sarebbe più facile e potrebbe aumentare drasticamente il numero di coloro che diverrebbero così dipendenti dalle varie sostanze: la società potrebbe non riuscire a farvi fronte.

Un altro fattore da tenere in considerazione è la costruzione delle strutture per la vendita delle droghe, chiamate “coffee shop”, che potrebbero pure diventare terreno di altra criminalità: questa considerazione purtroppo è da fare, considerata la disorganizzazione dello Stato, soprattutto nella costruzione di edifici utili alla società e vista la corruzione nelle gare di appalti. Il papa in un suo discorso ha ribadito un secco no alla legalizzazione delle droghe e in Italia si è solo aperto un dibattito su questo argomento. Possiamo trarre solo una considerazione certa da questo argomento, e cioè che “noi siamo i padroni del nostro destino”. Questa citazione, di Nelson Mandela, ci fa comprendere che resta a discrezione di ciascun individuo ogni decisione, che danneggi o meno se stesso, indipendentemente dalle scelte dei governi.

Nicolò Gelmi, 2A Ls

 

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Meglio la salute o il finto consenso?

Posted by admin On Giugno - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Meglio la salute o il finto consenso?

È divenuto d’uso comune e diffuso fra tanti ragazzi il fumo, che sembra quasi una tappa regolare, irrinunciabile e inevitabile dell’adolescenza. Negli ultimi anni abbiamo avuto un aumento progressivo dei giovani fumatori a causa anche di leggi che non vengono rispettate.

Per molti fumatori fumare è diventato così normale che non riescono a farne a meno e sostengono che fumare qualche sigaretta non può far così male alla salute, anzi risulterebbe utile alla circolazione sanguigna! La verità scientifica attesta che il fumo provoca gravi danni alla salute e neanche i produttori delle confezioni di sigarette lo negano, poiché scrivono su ogni pacchetto “il fumo può uccidere”.

I giovani non fumano per le stesse motivazioni degli adulti.  Fumano solo per farsi notare, per essere accettati in un determinato gruppo, per problemi familiari o perché in quel momento hanno il piacere di provare una nuova sensazione; gli adulti solo per il proprio piacere personale.

I ragazzi spesso non  si fermano solo alle sigarette, ma consumano anche sostanze stupefacenti come  cocaina o altre droghe. A causa di queste sostanze abbiamo la morte di molti giovani, l’ultimo è stato Lamberto Lucaccioni che a causa di una maledetta pasticca offerta da un altro ragazzo ci è rimasto ucciso.  Questo fatto ha sconvolto tutti gli italiani ed è diventato esempio per alcuni giovani per smettere di assumere sostanze nocive e smettere di fumare o meglio ancora per non iniziare affatto.

L’Italia dovrebbe formare leggi più rigide e farle rispettare perché anche le nuove regole entrate in vigore nel febbraio 2016 sono banali: è poco concreto  proibire di fumare a meno di 500 metri da un luogo pubblico, visto quanti ce ne sono.

Nella maggioranza dei casi i tentativi per smettere di fumare, in mancanza di una volontà forte, falliscono, ma i medici fanno ogni tentativo possibile proponendo varie terapie e metodi sempre nuovi e sempre più efficaci, con risultati sorprendenti e invidiabili.

Per quanto riguarda l’ambito scolastico si potrebbe fare più prevenzione sul fumo e sulle droghe sottolineando bene gli effetti e le malattie che possono causare.  Forse può servire, forse no. Per i giovani  sono importanti i buoni consigli di un amico, la vicinanza delle famiglie, la tenacia, l’autocontrollo, la determinazione, la fermezza, la maturità. E ancora il senso di responsabilità, la forza di volontà, il coraggio di dire “no”, anche davanti a possibili delusioni nel gruppo di amici. Perché la salute e la vita non si barattano con nessuna forma di effimero, blando plauso.

Giada Colombo, 2B Ls

 

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Black humor: insulti agli “insulti”?

Posted by admin On Giugno - 28 - 2016 Commenti disabilitati su Black humor: insulti agli “insulti”?

La nostra è la società della libertà di pensiero e di parola, ma siamo sicuri che tutti noi possiamo dire tutto ciò che vogliamo, ovunque noi vogliamo? No, non possiamo.

Basta pensare che il cosiddetto black humor, in italiano umorismo nero, viene continuamente censurato e radiato da siti internet, perché considerato troppo “pesante”. Al giorno d’oggi, sono presenti molti siti internet dove si possono creare pagine in cui vengono pubblicate immagini o frasi, come Instagram e Facebook. Se la libertà di pensiero e quindi la libertà di parola fosse veramente rispettata, non ci sarebbe il bisogno di cancellare o eliminare pagine solo perché pubblicano foto che possono essere ritenute offensive da una certa parte della popolazione. Certo, la libertà di una persona finisce quando intacca quella di un’altra persona.

Allora la libertà di parola che contraddistingue il mondo occidentale non è così consolidata. Non vi è una libertà totale. Elogiamo la libertà e il progresso del nostro Paese, ma anche in Italia ci sono censure, e perfino disprezzo, per il black humor.

Il black humor è un umorismo compreso solo da una minoranza poiché scherza su tematiche molto delicate su cui, secondo la maggioranza che invece non lo apprezza, non si dovrebbe scherzare.

L’umorismo nero non ha la finalità di insultare una certa classe di persone, bensì solo quella di affrontare un argomento – anche serio o delicato – scherzosamente. Non ha infatti l’obiettivo di insultare qualcuno. Molte persone, che sono contro questo tipo di umorismo, non capiscono appunto che l’obiettivo non è insultare, bensì parlare di argomenti “pesanti” in modo “leggero”.

Il black humor non dovrebbe quindi essere considerato negativamente dalla popolazione, anche se è molto difficile da comprendere e da apprezzare.

Molte pagine italiane e non, vengono eliminate ogni giorno sia perché segnalate da alcuni utenti, sia perché gli utenti stessi insultano a loro volta coloro che pubblicano immagini o considerazioni ritenute non opportune.

Le persone contro questo umorismo, spesso, mostrano il loro disappunto proprio con l’insulto. Perché arrivare a insultare una persona, se il senso è dirle di non insultare? Alla fine il black humor è considerato in modo sbagliato, viene visto come un insulto, viene trattato come tale e viene subito censurato, pur non essendo quella la sua essenza, e per “combatterlo” spesso la cura è peggio del male.

Riccardo Piussi, 2B Ls

 

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Social vietati under 16? Al vaglio

Posted by admin On Marzo - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Social vietati under 16? Al vaglio

Il 17 dicembre 2015 è stato un giorno decisivo per il mondo e per l’utilizzo dei Social Network. In tema di protezione dei dati personali, è stato infatti presentato un nuovo emendamento, che è stato poi votato il 18 dalla commissione per i diritti civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento Europeo.

Questa nuova legge prevede l’innalzamento del tetto minimo di età per l’utilizzo dei principali Social Network come Facebook e Twitter, oltre che dei principali servizi di messaggistica, come WhatsApp e Telegram.

Nel giro di poco tempo quindi, a seconda della velocità dei legislatori, milioni di minori di 16 anni potrebbero non essere più legalmente autorizzati a utilizzare in modo libero social media o chat, a meno che non abbiano ricevuto un’autorizzazione espressa da parte dei loro genitori. Fino ad adesso, tutti i leader del settore tra cui quelli di Facebook, Instagram, Twitter, Snapchat e Google avevano impostato questo limite di età a soli 13 anni, per rispettare le norme statunitensi ed europee.

I passaggi successivi alla approvazione dell’emendamento sarebbero la ratifica ufficiale da parte del Parlamento stesso e successivamente tutti i Paesi dell’Unione Europea – Italia compresa quindi – avrebbero due anni di tempo per recepire la nuova normativa e per farla entrare in vigore concretamente.

I colossi del Web potrebbero però avere delle serissime difficoltà a far applicare questa normativa per i loro numerosissimi servizi: infatti, dall’entrata in vigore della nuova legge in avanti, qualsiasi persona al di sotto dei 16 anni di età in Europa si troverebbe costretta a richiedere il consenso dei genitori per potersi iscrivere a un qualsiasi Social Network, e perfino prima di scaricare un’app, in particolare di messaggistica, o anche solo di utilizzare un banale motore di ricerca.

Ma abbiamo dei dubbi riguardo l’effettiva applicazione di una norma simile. Basta fare un giro su Facebook per rendersi conto di quanti ragazzini si aggirino sulle pagine del social di Mark Zuckerberg e del fatto che i genitori spesso non conoscano affatto le dinamiche del Web. Sicuramente, se questa norma dovesse divenire realtà, un aumento del limite di età così improvviso da 13 a 16 anni spingerà probabilmente molti ragazzini a mentire sulla loro vera età per continuare ad accedere, piuttosto che chiedere il consenso ai propri genitori. Per ora non ci sono aggiornamenti maggiori sulla approvazione o meno del provvedimento, ma ci (e vi) terremo informati.

Debora Filini, 2A Tecnico

 

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Comunicazione 2.0: arma a due tagli

Posted by admin On Marzo - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Comunicazione 2.0: arma a due tagli

I Social Network negli ultimi tempi hanno rivoluzionato il mondo, senza di essi ora non ci sarebbe modo di comunicare così direttamente, non ci sarebbe modo di effettuare ricerche, di farsi pubblicità, di conoscere persone in un modo così veloce.

Molti credono che l’utilizzatore medio di questi mezzi sia un adolescente o un giovane adulto, ma ciò non è vero: è utilizzato in ampia parte da aziende per poter fare pubblicità in modo veloce a costo contenuto e con un feedback positivo e, perché no, magari anche da persone di età avanzata che cercano partner su siti di incontri.

I Social sono molto utili ma basta un minimo errore o anche solo uno scherzo da parte di una amico per rovinarti la vita.

Molto spesso sentiamo ai telegiornali notizie di adolescenti che per scherzo pubblicano video o messaggi di amici o conoscenti ed essi poi ne subiscono le conseguenze: basta un video caricato che è come un missile da crociera e senza la possibilità di fermarlo.

Un effetto inarrestabile e dirompente proprio come un “cruise”; come anche i tecnici spesso dicono: “quando qualcosa viene caricato è di tutti così come non è di nessuno”.

Grazie a queste innovazioni ora possiamo mantenere i contatti con persone in tutto il mondo senza subire i vincoli della distanza e, con la stessa facilità, possiamo contattarne altre.

Un lato negativo di tutto cioè è invece la possibilità di circolazione di informazioni non ufficiali e di pensieri che potrebbero danneggiare emotivamente una persona o recare un danno materiale a una azienda.

I Social, come ogni altra cosa, sono utili ma senza le giuste basi, i giusti criteri e le giuste conoscenze, posso facilmente diventare armi, spesso anche a doppio taglio, ferendo sia chi le usa che chi le subisce.

Marcello Colombi, 2A Ls

 

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A short no sense English tail

Posted by admin On Marzo - 29 - 2016 Commenti disabilitati su A short no sense English tail

A legend says that 6000 years ago a famous scientist decided to spend a rest period in the mountain. He was quite tired so he decided to take a train and reach this wonderful place surrounded by nature. When he arrived there, he met a man that was riding a bike and they became good friends. They had different characters: one was perfect with a brilliant mind and the other one was scruffy and without interests.

They walked incessantly along the paths of that remote village and one night they decided to relax, but they got into a complicate conversation. The cyclist invited the scientist to climb a tree for explaining how it was important to have a direct contact with the nature but he wasn’t agile and he fell from the tree, on the other side the scientist wanted to speak about how was created the universe and they shared their contrasting viewpoints.

Finally they decided that it was better to sleep and accept both opinions as good friends.

Written by Priscilla Mauri, 2B Ls

 

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Aerei: ognuno mille storie

Posted by admin On Marzo - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Aerei: ognuno mille storie

Così veloci, ma per molti sempre troppo in ritardo. Così tecnologici, ma per qualcuno mai troppo sicuri. Così precisi, ma così criticati come imperfetti. Così moderni, e così orgogliosi del passato. Sono sagome biancastre a cui si attaccano le nostre speranze perdute.

Promesse che ci eravamo fatti tanto tempo prima e che non verranno mai mantenute, al massimo finiranno come graffiti lavati dal martellare incessante e costante della pioggia del tempo. Ogni goccia è la lancetta di un cronometro che corre all’indietro nonostante la nostra noncuranza, un subdolo fantoccio che ci oscura la vista finché non mancano una manca una manciata di secondi.

Gli aeroplani sono macchine complesse.

Dietro a ogni singolo loro componente c’è un nome: il nome, di uomo o di donna che esso sia, spesso è ignorato da tutti, compreso il più grande esperto di aviazione di tutti i tempi.

Dietro a ognuno di quella miriade di nomi e ancora nomi, c’è una storia. Ci sono storie lunghe e ci sono storie corte, ci sono storie belle e ci sono storie brutte, racconti di vittorie o di sconfitte.

Piogge che hanno lavato via scarabocchi figli della noia, altre che hanno cancellato interi affreschi di gigantesche cattedrali gotiche.

Dietro a ogni passeggero, che sia seduto su un fracassato sedile di economy o una comoda poltrona di prima classe o di business, c’è una storia. Piccola, grande, importante. Unica.

Troppi addii, troppi arrivederci non rispettati, pochi ritorni attesi, con un pizzico di rancore di cui nessuno sa mai spiegare il perché.

Matteo Bevilacqua, 2B Ls

 

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Arte e buon cibo: Barcellona

Posted by admin On Marzo - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Arte e buon cibo: Barcellona

Barcellona è una città che vale la pena visitare: pur non essendo così lontana dall’Italia è una città dove si respira un’aria diversa e si trova anche un modo di ragionare diverso. Ci siamo stati dal 19 al 21 dicembre, io e il mio amico Andrea Pes, ed è stata davvero un’esperienza incredibile.

Siamo atterrati all’aeroporto El Prat alle 10 circa e abbiamo raggiunto l’albergo con il “Renfe”: un hotel molto carino ed economico, il “Melon District Marina”, che è vicino al centro, alla fermata della metro e anche alla Sagrada Familia, che si vedeva addirittura dalla finestra della nostra camera. L’unica pecca era il bagno, decisamente ai minimi termini: potevano farlo un po’ più grande.

A pranzo, dopo aver salito otto piani a piedi in hotel con le valigie (non sapevamo usare l’ascensore: in Spagna sono troppo avanti…), siamo andati alla “Txapela”, in Passeig de Gràcia 58, un ristorante di tapas che non esito a definire fenomenale.

Nel pomeriggio siamo andati alla Cattedrale, dove ci siamo anche “persi” nelle viuzze del quartiere Gotico. Non ditelo a nessuno, ma nella Cattedrale ho anche suonato l’organo di nascosto: non potevo non suonare a Barcellona (e le guardie non mi hanno detto nulla per fortuna)!

Una cosa che mi ha sconvolto di questa città è stata la puntualità della metropolitana e degli autobus: alle fermate c’è il timer in minuti e secondi che annuncia il prossimo treno in arrivo e, che ci crediate o no, in tre giorni che siamo stati lì tutte le metro e gli autobus che abbiamo preso non hanno ritardato nemmeno di mezzo secondo. Per chi dovesse andare a Barcellona, consiglio vivamente di fare l’abbonamento di tre giorni per i mezzi illimitati, l’Hola BCN: con 19€ si possono prendere tutte le metro e gli autobus che si vuole, e basta obliterarlo ogni volta come un normalissimo biglietto.

Dopo aver passeggiato sulla Rambla, aver visto le opere di Gaudì, e essere passati per il monumento di Cristoforo Colombo vicino al porto, abbiamo cenato alla “Fonda”, un ristorante carino in Carrer dels Escudellers, dove abbiamo ordinato una pentola di risotto al nero di seppia: come perderselo?

Il secondo giorno abbiamo fatto colazione con “churros y chocolate” al “Granja La Pallaresa” in Carrer de Petritxol 11, e mi è davvero piaciuto un sacco iniziare la mia giornata con cioccolata calda con i churros in un bar nascosto in una vietta storica nel cuore di Barcellona. Che atmosfera!

Dopodichè siamo andati alla Sagrada Familia e lì, sotto di essa, mi sono venuti i brividi. La prima cosa che ho detto ad Andrea non appena l’abbiamo vista è stata:  “Andrè…ma cos’è sto mostro?”. Affascinante, come per certi versi inquietante: un capolavoro.

Ancora con i brividi addosso siamo giunti al ristorante Barceloneta, che si trova nell’omonimo quartiere. Molto elegante, forse un po’ caro, ma ne è valsa la pena: era davanti al mare. Abbiamo ordinato la famosissima “Paella de mariscos”, una delizia…ho dovuto anche mangiare i calamari e gli scampi di Andrea, perché a lui non piacciono: un sacrificio a cui mi sono volentieri sottoposto. Per dolce non poteva mancare la crema catalana: devo dire che mi è piaciuta.

Non abbiamo avuto difficoltà a parlare in spagnolo, ma alcune volte – a sorpresa – è capitato che noi chiedessimo informazioni in spagnolo e ci venisse invece risposto in italiano.

Pomeriggio trascorso sopra il Monjuic e poi un “sigaretto” passeggiando sul lungomare a Barceloneta. Dopo cena, verso le 23, siamo tornati in Plaça Catalunya all’Hard Rock Cafe a bere un Mojito e un Big KaBlue-na, anche se Andrea insisteva per prendere l’Electric Blues…e se l’avessimo preso saremmo poi arrivati strisciando alla fermata della metro.

Il terzo giorno avevamo l’aereo per tornare alle 19.40, e il “Renfe” per l’aeroporto alle 17: abbiamo fatto colazione da Starbucks, io una cioccolata e un muffin al cioccolato, Andrea insieme al muffin ha abbinato un caffè con panna e caramello.

Sono sempre stato un disastro con i souvenir, e infatti al Corte Inglès, quando siamo andati a comprarci due magneti per il frigo, prima di fare l’acquisto ne ho rotto uno, ma nessuno ha visto niente per fortuna! Ho inoltre preso una tazza di vetro molto carina che raffigurava Barcellona. Mi dicevo fra me stesso: “Quante colazioni che ci farò con questa tazza…”.

Giunto a casa, aprendo la valigia ho tirato fuori i souvenir, e il primo pensiero è stato la famosa tazza per le colazioni…che purtroppo ho trovato in mille pezzi! Addio colazioni: come dicevo, io sono sempre stato sfortunato con i souvenir.

Abbiamo fatto questo viaggio perché cercavamo un po’ di libertà, come due gabbiani. Lontani da tutto, in una città meravigliosa. Speriamo con tutto il cuore di tornarci ancora, anche perché dobbiamo scoprire ancora altre meraviglie che non abbiamo avuto tempo di vedere.

Matteo Francesco Bonanno, 3A Tecnico

 

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Emozioni di magia a Malta

Posted by admin On Marzo - 29 - 2016 Commenti disabilitati su Emozioni di magia a Malta

Cinquant’anni fa Robert Orben (prestigiatore e scrittore) affermò che siamo veramente in vacanza solo quando ci accorgiamo di non avere niente da fare, ma tutto il tempo a disposizione per farlo. Le fatiche del periodo lavorativo e la voglia di vacanza  per riposarsi possono trarre in inganno: a noi sembra di non fare niente, invece non è vero; la nostra mente continua a lavorare. Soprattutto se sei uno studente, perché tra i tuoi compiti di Natale c’è magari pure un tema sulle vacanze.

Solo alla fine Lisa si è ricordata di dover scrivere un articolo su questo tema, così ha preso carta e penna e si è seduta davanti alla finestra per trovare l’ispirazione nel paesaggio maltese di fronte a lei: guardandolo vedeva un luogo magico, quasi surreale, ma non quella magia che usano maghi e streghe, ma quella che ti prende e ti fa vivere un sogno. In quel momento le sarebbe piaciuto essere una poetessa, per riuscire a descrivere a parole le sensazioni che provava guardando fuori dalla finestra.

Vede un profondo celeste  come un oceano intangibile, che si protrae all’infinito, macchiato da un puro bianco sfumato con la leggerezza della panna montata e la freschezza della neve.

Abbassando lo sguardo lungo l’orizzonte tutto prende vita in questo mare di verde, il vento è fresco e alcune persone approfittano per fare una passeggiata e godere del silenzio della natura, mentre i ragazzi giocano a calcio nel parchetto accanto. La bellezza della natura va ben oltre i fiori colorati o un prato verde: è una bellezza che non si vede ma si percepisce, assomiglia tanto alla perfezione dei bambini che stanno giocando a calcio nel parchetto e che cadendo dopo aver preso una pallonata in faccia trovano il modo di riderci su, abbracciando l’avversario. Ognuno di quei ragazzi calcia il pallone convinto di essere il migliore. Noi tutti siamo convinti che diventeremo il massimo e poi ci sentiamo un pochino derubati quando le nostre aspettative vengono deluse, ma alcune volte la realtà supera addirittura le aspettative, a volte quello che ci aspettiamo al confronto con quello che non ci aspettiamo impallidisce; dovremmo chiederci perché ci aggrappiamo alle nostre aspettative: forse perché quello che ci aspettiamo ci fa restare fermi, in attesa, è solo l’inizio, mentre quello che non ci aspettiamo invece è ciò che cambia la nostra vita.

Pensandoci, scrivere questo articolo è stato un ottimo momento di riflessione, o forse uno stato d’animo.

A fine giornata quando tiriamo le somme, l’unica cosa che vogliamo davvero è stare vicino a qualcuno; se è così perché manteniamo le distanze e fingiamo di non avere cura dell’altra persona? Sono soltanto alibi e così scegliamo le persone a cui vogliamo stare vicino, e una volta fatta la nostra scelta quelle persone non le lasciamo più, anche se facciamo loro del male: le persone che sono ancora con te alla fine della giornata sono quelle che vale la pena tenersi strette. Certo, a volte la vicinanza può diventare eccessiva, ma a volte quell’invasione dello spazio privato può essere proprio quello di cui abbiamo bisogno.

Lisa Hasan, 2B Ls

 

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