di Riccardo Bernocchi, 3 B Ls
“Infliggerò alla mafia un colpo mortale – aveva annunciato Benito Mussolini al suo addetto stampa Cesare Rossi – La polizia avrà libertà d’azione. Se occorreranno nuove leggi, noi le faremo”.
Inizia con queste parole l’avventura, tutta fascista, di Cesare Mori in Sicilia: l’uomo che sarà poi chiamato con l’appellativo di “Prefetto di Ferro”. La carriera di Mori come prefetto, dopo una serie di esperienze nell’esercito, nella pubblica sicurezza e poi nella polizia politica fino a raggiungere il grado di Questore, comincia nel 1920 e l’8 febbraio dell’anno successivo viene nominato prefetto di Bologna. Durante il duro periodo dello squadrismo fascista, Mori dimostra la sua fedeltà allo Stato, punendo però allo stesso modo socialisti e fascisti. Nel ’22 viene trasferito come prefetto a Bari, ma dopo poco viene dispensato dal servizio attivo. Nel 1924 Mussolini visita per la prima volta la Sicilia nelle vesti di Presidente del Consiglio: rimane disgustato – ci racconta la storia – dalla presenza mafiosa che inquinava tutta la classe dirigente isolana. La mafia aveva tessuto un fitta ragnatela difficilmente annientabile. Il 27 maggio dello stesso anno Mussolini convoca l’allora capo della polizia, Emilio De Bono, i questori Francesco Crispo Moncada e Arturo Bocchini (che tra l’altro assumeranno il ruolo di capo della polizia il primo tre settimane dopo e il secondo nel 1926), e l’onorevole Luigi Federzoni; espone il problema siciliano e, alla fine della seduta, viene scelto il nome di Cesare Mori per debellare quella situazione. Il 6 giugno Mori raggiunge la prefettura di Trapani, sua sede provvisoria, in attesa del decreto che farà di lui il “Prefettissimo” della Sicilia. Il 20 ottobre 1925 Mussolini nomina infatti Mori prefetto di Palermo con poteri straordinari e con competenza estesa a tutta l’isola. È l’nizio di un periodo di durissime repressioni contro la malavita e il fenomeno del brigantaggio.
La lotta di Mori non è solo una prova di forza tra Stato e malavita, ma anche una lotta di intelligenza: il prefetto riesce a comprendere la psicologia siciliana, facendo leva sulle masse e sul concetto dell’onore mafioso.
Nell’arco di questi anni Mori ottiene risultati significativi, colpendo anche personaggi di grande spicco del regime fascista isolano: risultati che lo rendono il personaggio politico che infligge il più duro colpo alla mafia siciliana nella storia d’Italia. Il prefetto lascia nel 1929 per anzianità di servizio, a cinquantotto anni e dopo 35 complessivi di servizio per lo Stato.
Per la propaganda fascista la mafia è sconfitta: nella realtà storica però già dopo qualche anno la mafia si rialza e ritorna più forte di prima, anche a seguito dello sbarco Alleato nel 1943.
“Da oltre trent’anni, sul pittoresco gruppo montuoso delle Madonie, bello come una piccola Svizzera
mediterranea, comandano i briganti”. Inizia con queste parole la “scheda” redatta da Cesare Mori, subito dopo essere stato richiamato in Sicilia. Risale al 1° gennaio 1926 la più famosa azione del “Prefetto di Ferro”, passata alla storia come l’assedio di Gangi.
L’esercito di Mori, le forze insomma a sua disposizione per combattere la malavita, è costituito da 800 uomini a cavallo fra carabinieri e polizia di Stato. Divisi in gruppi di cinquanta uomini autonomi, stringono d’assedio Gangi, un borgo diventato roccaforte di molti criminali.
Le truppe del prefetto occupano prima le basi mafiose e poi passano al rastrellamento del paese: ogni casa viene perquisita e, alla fine della retata, vengono arrestati più di 400 “briganti”, ma nessun personaggio di rilievo. Mori non si arrende e inizia una vera e propria guerra psicologica contro la mafia siciliana.
La sua prima trovata consiste nel far spargere la voce che gli ostaggi di Gangi, i 400 catturati, stanno subendo in carcere ogni tipo di maltrattamento e che in particolare che “gli sbirri” stanno addirittura abusando delle donne dei malavitosi. Il piano riesce e molti banditi escono dai loro nascondigli: non però i capi mafiosi che rimangono invece nascosti.
Il “Prefettissimo” decide allora di sequestrare tutti i beni appartenenti ai banditi. Questi sequestri avvengono in pieno giorno, con molta pubblicità, appositamente esagerata: al punto che i vitelli più grassi delle mandrie sequestrate vengono macellati nelle piazze e dati alla popolazione.
Mori, sentendosi ormai vicino alla vittoria, lancia delle sfide a duello ai capi banditi: il rifiuto dei capi fa leva sulla popolazione, che è abituata a rispettare solo coloro che assumono un atteggiamento mafioso, vale a dire d’onore.
A questo punto Mori arriva a dare un ultimatum ai mafiosi nascosti, minacciando “estreme conseguenze”. Il proclama viene letto alle otto del mattino del 6 gennaio. Sei ore dopo Gaetano Ferrarello, uno dei principali boss delle Madonie, si costituisce al sindaco di Gangi. Dopo Ferrarello escono dai loro nascondigli anche altri boss mafiosi.
Il successo del Regime e del suo “braccio”, Cesare Mori, diventa assoluto e riconosciuto anche dalla stampa internazionale.














