“Scusami neh, ma cos’è ’sta Consulta?”. Me l’hanno chiesto davvero in tanti, quando decisi di candidarmi per rappresentare la mia scuola, il Liceo Linguistico Falcone.
Rispondevo accademicamente: “La Consulta Provinciale degli Studenti è un organo rappresentativo studentesco istituito nel 1996 e composto da 2 rappresentanti eletti in ogni scuola superiore, statale o paritaria, e organizzato su base provinciale e blablablabla […] che si occupa di fare rete tra gli studenti rappresentandoli in maniera istituzionale, coordinando le azioni delle varie realtà del territorio in maniera che blablablabla”. Una quindicina di minuti dopo mi fermavo, tiravo il fiato con un sorriso soddisfatto stampato in faccia, conscia di aver dato una risposta esaustiva, rotonda e completa, con giusto un paio di citazioni di grandi politici italiani e con tanto di riferimenti puntigliosi a documenti ufficiali, carte dall’aria aristocratica e compagnia bella.
“Ah ok figo, ma quindi cos’è che fate voi della Consulta?”. Silenzio. E che potevo mai rispondere? Dopo aver passato un quarto d’ora a vomitare definizioni da Treccani (lette la sera prima su Wikipedia) non avevo la più pallida idea di cosa si facesse concretamente.
Ora che sono quasi alla fine del mio mandato forse posso azzardare una risposta: la Consulta è un mostro policefalo. Un organo istituzionale con attaccate una centoventina di teste, ognuna con proprie idee e proprie posizioni. E cosa ne facciamo con tutte queste belle teste?
La verità è che per la maggioranza del tempo discutiamo, ci impegniamo a far prevalere la nostra opinione, e ci accorgiamo che l’unico modo per riuscire a cavare un ragno dal buco è ascoltarsi, confrontarsi, rispettarci e tutte quelle cose buonistiche che i nostri genitori ci tirano dietro sin dall’asilo, quelle robette apparentemente semplici, ma che in realtà sono così difficili da applicare.
Per il resto del tempo, beh, mettiamo a frutto tutte le discussioni che facciamo e le caliamo in qualcosa di concreto. Avviamo progetti, incontriamo le realtà del territorio e partecipiamo, facciamo sentire l’opinione degli studenti, che non è mai solo la nostra, è una voce che rimane come ultimo lascito di tutto quel civil discutere di cui parlavo poco prima. Organizziamo convegni, dibattiti, Giornate dell’Arte (momento spottone: 30/05 @Polaresco, non mancate!), aiutiamo i ragazzi come noi a fare rete e confrontarsi, a scoprire le possibilità che il territorio offre e proviamo a crearne di nuove, nel nostro piccolo. Viaggiamo: alcuni miei “colleghi” consultini sono andati in Europarlamento a Strasburgo e ci hanno riportato la loro bellissima esperienza, il nostro Presidente è andato ad Auschwitz, altri compagni andranno a Roma a visitare il Vaticano e la Camera dei Deputati.
Sinceramente, la definizione migliore che ho trovato per descrivere ciò che vuol dire per me essere un membro attivo della Consulta è dire che “faccio cose, vedo gente”. Ovviamente non è tutto rose e fiori. La rappresentanza è un’attività che, se svolta con interesse e serietà, pretende tanto tempo.
Si esce da scuola, un panino al volo e si è già da qualche parte per una riunione, un convegno, qualcosa. Bisogna confrontarsi con individui dalle idee completamente divergenti alle nostre, passare ore a pianificare qualcosa, sommergersi di mail e di messaggi – specie da parte del Presidente che ti tormenta via WhatsApp chiedendoti di scrivere un articolo da consegnarsi il giorno dopo – alle quali rispondere sempre con buona creanza e prontezza, perché da quella mail può dipendere la buona riuscita di ciò a cui stai lavorando da mesi.
L’arricchimento personale, poi, è incalcolabile. “Consulta” è anche e soprattutto amicizia. Le CPS sono una formazione politica dove le lotte di partito passano in secondo piano, perché in fondo ci conosciamo tutti personalmente, e c’è chi sta più simpatico e chi meno, ma riconoscendoci tra noi come simili è difficile che si scatenino vere e proprie faide “politicide” come quelle a cui ci hanno abituato taluni figuri in quel di Roma.
“Consulta” è imparare, davvero tanto. Imparare che anche i politici sono persone, anche se spesso se lo dimenticano. Imparare che l’unico modo di farsi rispettare è rispettare, e che una birretta stappata in compagnia dopo una piccola conquista ha un sapore tutto particolare.
Al di là di ogni buon aspetto e soprattutto buonismo, la Consulta di Bergamo ha anche i suoi limiti. Per esempio, la presenza media alle riunioni è di 40 persone quando va bene, tagliando così un canale di comunicazione diretto con certe realtà studentesche. Un altro esempio è che non avendo potere decisionale ma solo, appunto, consultivo, non può certo migliorare le cose con uno sfavillante colpo di bacchetta magica, ma potrebbe sicuramente fare di più, per tutti. Come? Io questo non lo so.
Passerò il mio testimone – lo passeremo tutti – a qualcuno sicuramente migliore di noi, con la speranza che possa prendere le redini lì dove le lasceremo e continui questa bellissima esperienza che è la Consulta, mettendola sempre in discussione e rivedendola costantemente, affinché sia sempre di più – almeno quella – a misura di studente.
Martina Doneda, delegata ai rapporti con istituzioni e associazioni
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