Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, iniziò quel periodo storico passato alla storia come Guerra Fredda.
Durante questi anni le due super potenze mondiali, Unione Sovietica e Stati Uniti, si fronteggiarono in vari campi: dallo sport, alle armi di distruzione di massa, alla scoperta dello spazio. L’URSS, come d’altro canto gli Stati Uniti, investirono moltissime risorse per la fabbricazione di mezzi adatti all’esplorazione spaziale, con scopi sia bellici che pacifici. Iniziò così la corsa allo spazio.
Già prima dell’inizio del programma spaziale sovietico Konstantin Tsiolkovsky, ingegnere e scienziato ritenuto il padre dell’astronautica, studiò e teorizzò molti aspetti del volo spaziale. Furono però i tedeschi, durante la Seconda Guerra Mondiale, a realizzare il primo missile della storia, la V-2. Mentre lo scienziato Wernher von Braun, padre dei missili tedeschi, terminata la guerra si trasferì negli Stati Uniti, altri scienziati andarono in Unione Sovietica. Nel 1948 con i razzi sovietici R-1, copia della V-2, si effettuarono vari test balistici. Oltre che per scopi militari, il razzo venne impiegato per lo studio degli strati superiori dell’atmosfera. Essendo però nel bel mezzo della corsa agli armamenti atomici, le nuove invenzioni in campo spaziale vennero impiegate per la costruzione di armi più potenti e in grado di colpire a distanze sempre maggiori. Le varie modifiche apportate al missile R-1 diedero vita al missile balistico intercontinentale R-7. Quest’ultimo si rivelerà un ottimo lanciatore spaziale, cioè un mezzo in grado di portare nello spazio un certo carico.
Il Programma Sputnik
Il programma spaziale russo era organizzato in piani quinquennali. Il 4 ottobre 1957 venne lanciato nello spazio il primo satellite: lo Sputnik 1. Era costituito da una sfera in alluminio, del diametro di 58 centimetri, dalla quale uscivano quattro antenne lunghe dai 2,4 ai 2,5 metri. All’interno della sfera vi erano due radio trasmettitori, una ventola di raffreddamento e tre batterie zinco-argento. La sonda rilevò dati riguardanti la densità degli strati superiori dell’atmosfera e la propagazione dei segnali radio nella ionosfera. Oltre a questo il satellite avrebbe potuto individuare la presenza di meteoriti: essendo colmo di azoto sotto pressione, in caso di perforazione da parte di un meteorite, si sarebbe verificata una perdita di pressione e un aumento della temperatura. Queste variazioni sarebbero state indicate dai sensori.
Il lancio del primo satellite artificiale ebbe una risonanza mondiale e portò milioni di persone a fissare il cielo in cerca del piccolo oggetto o a cercare di captare il suono emesso dal satellite durante il suo passaggio. Il 3 novembre del 1957 i russi lanciarono lo Sputnik 2. La seconda navicella mandata nello spazio era composta da una capsula cilindrica alta 4 metri con un diametro di due. Al suo interno vi erano vari settori nei quali trovavano posto diverse strumentazioni, tra le quali un sistema telemetrico, trasmettitori radio, un impianto di rigenerazione dell’aria, altri apparecchi scientifici e una cabina chiusa, separata dalla strumentazione. Altre apparecchiature a bordo misuravano i raggi cosmici e la radiazione solare, mentre nell’abitacolo era installata una telecamera. I dati giungevano sulla Terra attraverso il sistema telematico Tral-D.
All’interno della cabina venne messa una cagnolina di nome Laika: fu il primo essere vivente ad andare nello spazio. La sua esperienza spaziale ebbe però breve durata, perché la cagnolina morì circa un giorno dopo il lancio del satellite. I russi mascherarono questo evento e per vari giorni comunicarono al mondo false notizie sulla buona salute dell’animale. Quando si seppe che Laika non sarebbe tornata sulla Terra sana e salva scoppiarono varie proteste. Dopo 162 giorni dal lancio, il satellite rientrò sulla Terra e venne incenerito, insieme alla cagnolina, durante il ritorno in atmosfera. A Laika vennero attribuiti tutti gli onori e divenne un eroe dell’Unione Sovietica.
Il 15 maggio del 1958 venne lanciato lo Sputnik 3, alto 3,57 metri e con un diametro di 1,73 metri, dotato di dodici strumenti aventi il compito di analizzare l’atmosfera superiore: un magnetometro, rilevatori di radiazione solare corpuscolare, manometri a pressione magnetica e ionizzazione, trappole ioniche, flussometro elettrostatico, spettrometro di massa a radiofrequenza, rilevatore di nuclei pesanti dei raggi cosmici, monitor dei raggi cosmici primari e rilevatori di micrometeoriti.
In particolare dell’atmosfera superiore si analizzarono la pressione e composizione, la concentrazione di particelle cariche, di fotoni e nuclei pesanti nei raggi cosmici, i campi magnetici ed elettrostatici e le particelle meteoriche. Tutti gli strumenti erano contenuti in una capsula pressurizzata che occupava la gran parte del satellite.
Il satellite orbitò attorno alla Terra per due anni ma, a causa di un problema del fissaggio del nastro di registrazione, non riuscì ad analizzare le radiazioni delle fasce di Van Allen, spazi in cui sono presenti particelle di alta energia trattenute dal campo magnetico terrestre.
Il 15 maggio 1960 venne lanciato in orbita lo Sputnik 4 con la funzione di studiare un possibile volo spaziale umano: il satellite era dotato di una capsula, chiama Vostok, in grado di ospitare un uomo. Per questo test venne utilizzato un manichino e furono impostate comunicazioni preregistrate in modo da verificare il sistema di telecomunicazione tra lo Sputnik e la Terra. La missione fu un parziale fallimento poiché, dopo qualche giorno dal lancio, un’esplosione mandò il satellite fuori orbita. Fece rientro nell’atmosfera terrestre dopo due anni.
Il 19 agosto 1960 partì dalla Terra lo Sputnik 5 con a bordo due cagnoline, Belka e Strelka, insieme ad alcuni altri animali e piante. Il satellite rimase in orbita per 25 ore e al suo rientro gli animali, anche se disorientati, si presentarono in buone condizioni di salute. La missione, nel quale venne testato il sistema di rientro della capsula, fu un successo.
Il 1° dicembre 1960 venne lanciato lo Sputnik 6 con a bordo altre due cagnoline: Pchelka e Mushka. Questa nuova missione mise in luce varie problematiche nelle fasi di ritorno della capsula sulla Terra. La navicella era dotata di retrorazzi che avevano la funzione di controllare, con una certa approssimazione, dove sarebbe atterrata, ma qualcosa non funzionò e della navicella non si ebbero più notizie certe.
Nel corso degli anni sono state avanzate due possibili teorie: la prima sostiene che la navicella si sia inabissata nell’Oceano Pacifico e sia stato così impossibile rintracciarla, mentre la seconda sostiene che sia stata distrutta attraverso cariche esplosive per non farla finire in mani straniere.
Dopo questo parziale insuccesso l’Unione Sovietica spostò la sua attenzione su un nuovo programma spaziale: Venera. Il 4 febbraio 1961 lo Sputnik 7, con a bordo una sonda, venne inviato verso il pianeta Venere. A causa di un malfunzionamento del sistema di propulsione che avrebbe dovuto lanciare la sonda verso Venere, il corpo non riuscì mai a uscire dall’orbita terrestre e cadde in Siberia. I russi però avevano preparato una sonda gemella che venne posta nello Sputnik 8, noto anche come Venera 1.
Dopo il periodo caratterizzato dai test iniziali del programma Venera, i russi ripresero le missioni per testare l’affidabilità e l’idoneità per il trasporto umano delle capsule Vostok. Per questo motivo nel marzo 1961 vennero lanciati lo Sputnik 9 (9 marzo) e lo Sputnik 10 (25 marzo).
Lo Sputnik 9 aveva a bordo una cagnolina, Chernushka, un porcellino d’india e qualche topo, mentre sullo Sputnik 10 vi era una cagnolina di nome Zvezdochka.
Oltre agli animali, in ambedue le missioni venne utilizzato un manichino, chiamato Ivan Ivanovich.
I russi brevettarono un sistema separato per il rientro a Terra dell’astronauta, con il sedile eiettabile, e della capsula con gli animali.
Tutte e due le missioni furono un successo e posero fine al programma Sputnik che rappresentò un punto chiave per l’esplorazione dello spazio.
Riccardo Bernocchi, 5 B Scientifico
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