Ci sono giorni nel corso della vita che non ti scordi facilmente: ti rimangono impressi come un tatuaggio nella mente e nell’anima. Per me è stato il primo volo solitario, dopo una serie di uscite con l’istruttore nelle Marche.
Quel giorno, appena finito di volare, come faccio quotidianamente, vado a fare colazione con Remo: un caffè, un paio di battute su quanto sia bella la barrista (termine marchigiano per definire questa santa donna )e torniamo al campo di volo. I paesaggi di Sant’Omero mi sorprendono ogni giorno: colline rivestite da erba bruciata dal sole circondano a sinistra e a destra l’aviosuperficie e, dopo alcuni chilometri, si congiungono con dei monti dell’entroterra. Non faccio a tempo a scendere dalla macchina che un mio compagno di corso corre verso di me con la radio in mano dicendomi che Manno, l’istruttore della parte volo, mi cercava già da una decina di minuti per tornare a bordo. Così cambio i pantaloncini con i pantaloni lunghi: questione di rispetto verso la disciplina del volo che, per sua natura, esige costumi ben definiti.
Il P92 atterra, scende un altro mio pari-corso, e mi appresto a salire: non una parola detta da Manno se non “metti in moto”. Il povero ultraleggero era da circa 4 giorni che faceva circuiti su circuiti, penso che se avessi mollato i comandi avrebbe potuto fare anche tutto da solo per la moltitudine di touch and go eseguiti.
Rulliamo, prove motore, ultimi controlli e decolliamo. Facciamo 2 circuiti: l’istruttore non mi rivolge nemmeno una parola; fra me e me penso che sia arrabbiato per il fatto che sono andato a farmi i “cavoli” miei al bar. Finiamo il terzo circuito e mi fa fermare: rullo fino al raccordo, abbozzo una svolta quando Manno frena il velivolo. Mi guarda, apre la portiera, scende e fa finire l’inquietante silenzio che aveva mantenuto fino a quel momento dicendomi: “Vai a farti un giro da solo”. Al momento non realizzo cosa mi ha appena detto ma, con la paura del pivellino di deludere l’istruttore, eseguo.
Rullo al punto attesa, rifaccio la prova motore, ultimi controlli e faccio la chiamata: “Val vibrata 2 I-9394 si allinea e decolla da O8R”. Mi allineo con l’asse pista e, con l’esperienza di pilotaggio di poco più di 9 ore e con l’inconsapevolezza di un sedicenne, inizio la corsa di decollo. Mi stacco da terra a neanche metà pista: con 80 kg in meno (scusa Manno se ne ho messi troppi) il leggerissimo P92 sale come un elicottero.
Mi diranno più tardi che mentre passavo sulla strada poco più in là della testata pista, sotto di me arrivava la sposa che si stava per maritare nella vicina Chiesa di Santa Maria a Vico; è un giorno speciale per tutti e due: lei si stava per sposare con l’uomo della sua vita, io mi stavo sposando con l’aria.
Eseguo il circuito e arrivo in finale: il punto più critico del volo è l’atterraggio, dato che l’aereo, essendo più leggero, reagisce in maniera diversa da quella a cui sono abituato. Passo la soglia pista e inizio la flare: dopo un po’ di effetto suolo il carrello principale tocca terra, sostengo ancora un po’ per far perdere velocità ed energia, per poi abbassare il muso e iniziare a frenare. Chiamo il back-track e mi reco al raccordo: Remo, giunto in macchina a prendere Manno, mi fa da “follow me” fino al parcheggio.
Spengo il motore e gli innumerevoli sistemi elettronici dell’ultraleggero (cioè la radio). Manno apre la portiera e, stringendomi la mano, mi fa i complimenti. Mi metto davanti all’aereo, Remo arriva con un secchiello pieno gridando: “Il pinguino ha messo le ali”.
Vengo battezzato e un pianto liberatorio mi coglie: è giunta la consapevolezza di aver concretizzato un sogno.
Fino a ora non ho ancora riprovato un’emozione simile e penso di non riprovarla mai più. Da quel sabato 11 agosto 2018 non cade giorno sulla terra che io non parli di un aereo, di aviazione o di qualcosa riguardante l’Aeronautica.
Angelo Cattaneo, 4 B Scientifico
