Tante sono le pagine di storia contemporanea dimenticate ma non per questo meno importanti. Con queste è possibile, a volte, comprendere meglio la politica attuale e, in maniera analoga, le dinamiche e gli equilibri politici di Stato. Ciò che desidero riportare in questo articolo è un evento storico, epocale, che ha destato molto clamore per parecchi anni. È il processo al Fronte Nazionale.
“Cinque anni fa facemmo un’azione di preveggenza sulla questione dell’immigrazione rispetto a proposte che oggi vengono fatte da molte forze politiche democratiche”. Ha avuto facile gioco Franco “Giorgio” Freda a difendersi dalle accuse di istigazione all’odio razziale nel processo di Verona contro i 49 militanti del Fronte Nazionale accusati di ricostituzione del partito fascista. Al termine dell’iter processuale, il 7 maggio 1999, la prima sezione penale della Cassazione ha condannato a tre anni di reclusione Franco Freda per violazione della legge Mancino per la costituzione del Fronte Nazionale. E Freda, causa la sua precedente carcerazione per il presunto coinvolgimento nella strage di piazza Fontana (da cui è stato assolto), ha scontato sette mesi di carcere senza vedersi riconoscere i benefici generalmente concessi per i brevi residui di pena.
Le indagini sul FN avevano preso l’avvio nel 1992, a Verona, sotto la direzione del pubblico ministero Guido Papalia, dopo la distribuzione di alcuni volantini xenofobi. La suprema Corte, col patteggiamento, ha accolto la richiesta del legale di Freda, l’avvocato Carlo Taormina, e del procuratore generale della Cassazione che avevano chiesto la derubricazione del reato contestato all’imputato – condannato a poco meno di 6 anni di reclusione dalla Corte di Assise di Appello di Venezia per ricostituzione del partito fascista – nella violazione della legge Mancino. Aneddoto interessante è il fatto che Taormina esordì nella propria arringa, svolta in tono sprezzante verso la Corte con tanto di toga aperta e mani in tasca (oltretutto non necessaria in caso di patteggiamento), affermando “premetto che, per quanto mi riguarda, penso questo processo abbia un esito già scritto ancor prima che inizi”. Insieme a Freda sono stati condannati a pene minori 41 imputati, gravitanti attorno al FN: tra questi Cesare Ferri (20 mesi) e Aldo Gaiba (16 mesi).
Assolto definitivamente nel 1985 dalle accuse in relazione alla strage di Piazza Fontana e scarcerato, Freda si è affannato per anni a spiegare che non aveva intenzione di fare politica, anzi ha ripetutamente negato di averla mai fatta. “Il mio – si è schernito – è solo allevamento politico”. Poi, improvvisa, la folgorazione. Col montare di uno stato d’animo xenofobo che dalle viscere del Paese affiora nelle prime ondate leghiste, Freda riscende in campo e si erge a paladino della civiltà europea minacciata da quella che chiama “invasione allogena”.
La condanna dei militanti del Fronte nazionale (e per Cesare Ferri è la prima condanna dopo le assoluzioni in serie collezionate per Ordine nero, il MAR di Fumagalli, l’omicidio Buzzi e la strage di Brescia) serve solo a confermare lo scollamento tra l’esercizio della Giurisdizione e la realtà delle cose.
Il Fronte Nazionale era stato fondato al Solstizio d’Inverno 1990, e legalmente il 12 gennaio successivo davanti a un notaio di Ferrara, da Freda, Gaiba, Enzo Campagna, Antonio Sisti e Ferdinando Alberti. Il 2 dicembre 1992 il procuratore capo di Monza chiede l’archiviazione di una denuncia dei Verdi contro i dirigenti del FN per manifesti apologetici di fascismo, nazismo e discriminazione razziale.
Il blitz scatta invece a Verona. L’8 luglio 1993 il giudice per le indagini preliminari ordina la custodia cautelare per i dirigenti nazionali Freda, Ferri, Gaiba, e per i quadri veronesi Trotti, Stupilli, Wallner.
L’inchiesta veronese è partita proprio dalla celebrazione del Solstizio di Inverno del 1992 all’Holiday Inn di Bardolino, concluso con il rogo di una pira e il canto dei Carmina Burana. Alla cerimonia hanno partecipato 50 militanti, con alla presidenza Freda, Ferri e Trotta.
Per l’occasione, in vista dei maggiori rischi previsti nel futuro con il varo imminente della legge Mancino, Freda chiede una rinnovata adesione dei militanti e decide la rifondazione del Fronte Nazionale.
Il 24 luglio il Gip concede gli arresti domiciliari a Wallner. Il collegio che respinge invece l’istanza di Ferri sottolinea il mancato passaggio dalla teoria alla pratica e l’inidoneità dei mezzi necessari alla ricostruzione del partito nazionale fascista e conferma invece la custodia per la legge Mancino.
A settembre solo i tre leader nazionali sono ancora in carcere. Dei 64 imputati iniziali, 49 sono rinviati a giudizio e, nell’ottobre 1995, 45 sono condannati: Freda a 6 anni, Ferri e Gaiba a 4 anni, gli altri a pene minori. Dopo la condanna in appello, il Viminale dispone lo scioglimento del gruppo.
A livello penale è invece la sentenza, più mite, della Cassazione del 1999 a chiudere la vicenda.
Federico Martini, 5 A Scientifico