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Paolo: una vita per la miniera

Posted by admin On Gennaio - 4 - 2018

“Il minatore conosce il rischio del lavoro in miniera. Sa che costante è il pericolo della caduta di massi o del crollo della volta, come sa che maneggiare esplosivi comporta il rischio che qualcosa non vada per il verso giusto”. A parlare è Paolo, ottantenne ed ex-minatore della Miniera del Siele di Piancastagnaio (Siena), che con la sua esperienza ha saputo incuriosire e appassionare noi giovani al suo mondo: la miniera.

Se pensate che sia solamente un complesso costituito da un giacimento minerario sotterraneo e dalle attrezzature necessarie per il suo sfruttamento, a quanto pare non avete conosciuto il signor Paolo, che la definisce come un luogo in cui provare gioia e dolore, come un mondo a sé stante in cui regnano il vuoto e un silenzio assordante. Paolo, sulla stessa linea dei suoi antenati, ha lavorato nella miniera del Siele per tutta la vita, ed è felice della sua esperienza, anche se è rincuorato del fatto che i suoi figli non abbiano percorso la sua strada ma si siano invece specializzati in altri campi. Perché sì, la miniera dona gioia, permette di instaurare grandi rapporti umani tra i minatori ma allo stesso tempo è un ambiente pericolosissimo in cui bisogna stare attenti a ascoltare e osservare ogni minimo particolare. ”Se dovessi tornare indietro, lo rifarei. Nonostante i dolori e le problematiche che comporta tornerei a lavorarci, perché la miniera riesce a incatenarti, ti entra nella testa per non abbandonarti più e con il passare del tempo diviene una esigenza, perché in fondo la mia vita senza la miniera non sarebbe la stessa”, dichiara Paolo emozionato.

L’ex-minatore sostiene di provare gioia ogni qual volta entra nella miniera, perché nella sua mente riaffiorano i ricordi di una vita. Con la voce incrinata quasi tendente al pianto racconta le sue disavventure legate alla cava. Non per mostrarsi un eroe, ripete spesso, ma per far comprendere a noi giovani la realtà della miniera, narra la sua lunga prigionia nella cava. Infatti il povero minatore, insieme ad altri 22 compagni nel luglio del 1968, è rimasto rinchiuso a 300 metri di profondità a causa di un’improvvisa frana che ha bloccato l’unica via di uscita esistente. Finalmente dopo 24 giorni di prigionia li hanno salvati.

Nonostante non fosse stata questa la sua prima volta, Paolo  confessa di aver avuto molta paura, perché giustamente afferma che in situazioni del genere la paura è il minimo che si possa provare. Alla fine l’ex-minatore ha chiesto di concludere l’incontro con un grande applauso in onore dei suoi numerosi compagni che, per portare a casa un pezzo di pane, sono morti nella miniera.

Elvira Bellicini, 3 A Scientifico

 

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