di Ortensia Delia, 3A Ls –
Stare a scuola (facendo conferenze a noi studenti) e allo stesso tempo vestire la divisa di un Corpo importante e impegnativo come la Guardia di finanza? Si può, e un uomo in particolare ce lo dimostra ogni giorno: all’Istituto Aeronautico Antonio Locatelli ci parla di diritto informatico, ma nella vita di tutti i giorni lui, Mario Leone Piccinni, 45 anni, è tenente colonnello comandante del nucleo di Polizia Tributaria delle Fiamme Gialle di Lecco, specializzato in polizia economico finanziaria, nella lotta alla criminalità e ai computer crimes. Lo abbiamo intervistato.
Tenente colonnello Piccinni, sappiamo che fin da bambino ha sempre avuto la passione per il mondo delle forze di polizia, ma questa passione da cosa è nata?
Penso la passione derivi dal fatto di essere cresciuto vedendo mio padre in divisa: era un maresciallo dei carabinieri.
Gli anni dell’Accademia, presumibilmente, sono stati molto complessi. Quali sono stati i più difficili e cosa l’ha spinta a continuare questo percorso così tortuoso?
I primi due anni in Accademia sono stati i più difficili; una volta entrato in Accademia passi dalla sfera protettiva e dalla comodità della famiglia a un contesto in cui vieni seguito dagli istruttori in maniera costante durante tutte le fasi della tua giornata e della tua vita. È una situazione che si fa risentire a livello caratteriale e che ti segna; proprio per questo, molti soffrono e nel primo anno circa il dieci per cento dei ragazzi che sono riusciti a entrare in Accademia poi abbandona il corso. Ciò che mi ha spinto a continuare sono state la passione e la speranza di poter fare qualcosa di importante per gli altri. Inoltre diventa una sfida con te stesso, perché vuoi dimostrare che puoi farcela.
Qual è stata l’esperienza più difficile che ha incontrato nel suo lavoro?
L’esperienza più difficile dal punto di vista personale è sempre il distacco dalla mia famiglia, da mia moglie e dai miei figli: accade ogni volta che mi assegnano un nuovo comando lontano da casa o mi capita di dover andare fuori per indagini. Dal punto di vista lavorativo invece, ogni cosa ti segna profondamente, devi sempre aspettarti di tutto. Quando lavori su dei criminali ti aspetti il peggio e sai a cosa stai andando incontro, ma il peggio è quando ti rendi conto che la criminalità è ovunque: lavorando nel reparto sanità, ad esempio, ho visto molta corruzione, a discapito dei più deboli, dei bambini, degli anziani… È qui che ti rendi conto che la criminalità non ha colore, non ha nazionalità e non la riconosci da come è vestita. L’esperienza più difficile in assoluto è stato il periodo in cui ho comandato l’aliquota antimmigrazione clandestina in Puglia, nei primi anni 2000; è stata un’esperienza provante soprattutto dal punto di vista personale perché ho visto situazioni di vita che mi hanno sconvolto: madri che abbandonavano i loro stessi figli, genitori che pensavano prima a se stessi e solo dopo ai figli, dando precedenza al proprio istinto primitivo di sopravvivenza; ragazze straniere che venivano ingannate e portate in Italia da uomini con la speranza di trovare lavoro e che si ritrovavano invece sul nostro territorio sfruttate come prostitute.
E l’esperienza più bella?
L’esperienza più bella, invece, si ripete ogni volta che riesco a aiutare dei genitori di fronte a problematiche dei loro figli, quando riesco a intervenire prima che il minore finisca in situazioni sbagliate a opera di criminali quando vengono adescati ad esempio su internet.
Lei, nella sua carriera lavorativa, ha mai fatto finta di non vedere, di non sentire o di non sapere? In caso contrario, ritiene che a volte sia utile farlo?
No, rispetto a situazioni gravi assolutamente no. Bisogna però fare delle differenze: non intervengo di fronte a situazioni che possono essere tranquillamente risolte senza bisogno di azioni drastiche o comunque ricomposte tra le persone eventualmente coinvolte. Di fronte a situazioni gravi o che magari coinvolgono minori non ho invece alcuna remora a intervenire.
Una domanda più leggera: cosa pensa del famigerato “fascino della divisa”?
Penso che tale fascino sia dovuto principalmente a un discorso di sicurezza e di protezione che viene trasmesso dall’uniforme, non è quindi un approccio grafico ma un approccio idealizzato.
C’è qualcos’altro che vorrebbe condividere con noi, comandante Piccinni?
Spero di avervi trasmesso, oltre all’aspetto tecnico e giuridico, anche un obiettivo e la voglia di seguirlo in maniera determinata e seria. Spero di avervi indirizzato a coltivare le vostre passioni in maniera consapevole e cosciente, perché basta veramente poco per rovinarsi la vita. Spero di avervi spinti a credere in voi stessi e a vivere la vostra età con un pizzico di occhio al futuro, investendo su voi stessi.