Paesi esotici? Ne sa qualcosa la professoressa Elena Radice, che può vantare una – anche se breve – permanenza ben oltre i confini italiani: a Singapore, sull’estrema punta meridionale della penisola malese. Si trasferì lì, racconta, a causa del padre che, dirigente di una società di elettronica, doveva sbrigare del lavoro a Singapore e non aveva altra scelta che portare con sé moglie e figlia, di soli 5 anni, vivendo lì per 6 mesi.
La notizia mi ha sconvolto: avevo preparato domande per una persona che avesse vissuto l’esperienza con qualche anno in più sulle spalle (colpa mia, non ero preparato, ndr); per portare a galla qualche altro ricordo le chiedo del suo primo impatto.
La cosa che la colpì all’istante, dice, fu il clima: la temperatura media si aggira sui 30ºC e l’umidità è sempre molto elevata. Tutta colpa dell’Equatore, a soli 152 chilometri di distanza. Il sole può scottare la pelle in pochissimo tempo sebbene le giornate limpide siano rare: è sempre presente qualche nuvoletta che può portare in 10 minuti un potente acquazzone. La pioggia, là, è un’amica ormai, mica come per la Liguria.
Può sembrare strano, ma per la nostra prof il cibo non fu un problema: anzi, afferma di averlo apprezzato più di quello italiano. Il segreto, confessa, “sta nella leggerezza, nei grassi ridotti e nel gusto fresco e deciso”. I suoi cibi preferiti erano i gamberi e la frutta, in particolare mango, cocco, mangosten e rambutan (capisco l’espressione che avete sul volto, ndr).
“La città era davvero pulita”, sottolinea. Esistono numerose leggi per preservare la pulizia: la gomma da masticare è fuorilegge, fumare in luoghi
pubblici è vietato; non gettare rifiuti per terra è un classico, non tirare lo sciacquone del water dopo l’utilizzo è un reato. Le multe a riguardo sono salatissime e, almeno nel 1990, la cappa di smog sopra la città era molto ridotta, più di quella milanese.
La giornata-tipo della prof era di tutto rispetto: potremmo dire, con un termine forse poco elegante, che se la godeva alla grande. Piscina tutti i giorni (tranne quando andava al mare), centri commerciali, parchi botanici e zoo, di cui ricorda in particolare il contatto diretto che poteva avere con gli animali e il rispetto che nutriva la gente nei loro confronti.
Sentita la storia sul rispetto degli animali, però, mi incuriosisco e chiedo della popolazione di quella città. Risponde sicura: “Estremamente educata”. Mi suggerisce che “la multietnicità di Singapore è una componente importante della cultura”: ha sempre attirato una vasta gamma di culture che hanno incrementato il senso civico e il valore della convivenza pacifica. “Purtroppo – dice – dovetti tornare in Italia”, e della spaziosa città rimpiange tutto. Io la rimpiangerei anche solo per i bagni quotidiani.
Della lingua parliamo poco: da bimba quale era non aveva le capacità di esprimersi in inglese, una delle 4 lingue ufficiali insieme al malese, al cinese mandarino e al tamil, lingua tipica dei territori che si affacciano sull’oceano indiano. D’altronde tra bambini ci si capisce, e se si pensa che la prof riuscì, a dir di suo padre, a insegnare la canzoncina “giro giro tondo” ai suoi amichetti stranieri, allora dovremmo preoccuparci. Forse s’è trascinata negli anni la dote innata di capire e farsi capire dai bambini, e tutti sanno che questa è un’arma contro certi studenti.
Davide Della Tratta, 5A Ls