Saturday, November 1, 2025

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Covid-19 e insegnamento, manca contatto

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Covid-19 e insegnamento, manca contatto

Didattica ai tempi del Coronavirus: marzo 2020, la regione Lombardia – in accordo col Governo – emana l’ordinanza secondo la quale le scuole devono restare chiuse per contrastare la diffusione del contagio da Covid-19. Il giorno 4 marzo viene ufficializzato dal premier Conte che tutti gli istituti scolastici in Italia, di qualsiasi ordine e grado, resteranno chiusi fino al giorno 15 marzo (termine poi di volta in volta prorogato fino a coprire tutto l’anno, ndr). Le scuole prendono però le dovute misure: dal consegnare compiti agli studenti mediante i portali online, allo svolgimento di vere e proprie lezioni a distanza mediante l’utilizzo di microfoni e telecamere.

Fino a pochi decenni fa una soluzione del genere sarebbe stato impensabile, ora è realtà. L’Istituto Aeronautico Locatelli di Bergamo ha organizzato lezioni a distanza per gli studenti adottando le metodologie scolastiche più avanzate, partendo dagli orari prestabiliti dalle 8 alle 12,50 fino al cambio regolare dei professori nell’arco della giornata. Esattamente come se si stesse affrontando una comunissima giornata scolastica.

Questo sistema a distanza è in fase molto più che sperimentale da ambi i lati, studenti e professori, ma non è difficile immaginare che, in un futuro non molto lontano, le strutture scolastiche verranno sempre meno in virtù dell’impiego della tecnologia per la didattica da casa o a distanza (cosiddetta DAD).

Leggendo le impressioni a caldo degli studenti del settore tecnico della classe 4^ C è emersa una netta spaccatura di pensieri. Da un lato troviamo i più tradizionalisti, quelli che non riuscirebbero a sostituire la struttura scolastica; dall’altro troviamo una fetta di studenti che è entusiasta di questo nuovo metodo di istruzione.

I primi sono legati alla classica modalità scolastica, in quanto riscontrano problematiche nel meeting online, come la sovrapposizione delle voci o la scarsa qualità video data dalla connessione del singolo soggetto.

Gli altri invece fanno notare la comodità di essere in casa senza doversi spostare: basti pensare agli studenti pendolari che sono legati costantemente ai mezzi pubblici. Questo permette di eliminare tempi morti, per poter recuperare ore di studio e di attività extra-scolastiche, per quanto queste ultime siano state limitate a causa delle ordinanze emanate.

Una mancanza comune da entrambi i lati, però, è il contatto e il dialogo fisico con i propri compagni di classe, il che permette di capire come i ragazzi possano essere ancora uniti. Come ogni innovazione che viene introdotta, nei primi utilizzi compaiono i errori e le prime problematiche, che verranno poi risolte col passare del tempo. Ad esempio, per ovviare alla sovrapposizione delle voci basterebbe mettere in modalità “muto” il microfono per poi attivarlo se richiamati all’esercizio dal professore.

A detta del ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, attraverso questo metodo non verranno perse ore di lezione e il giorno di chiusura dell’anno scolastico non verrà posposto.

Il problema sussiste forse maggiormente per gli studenti universitari, i quali vedranno posticipati gli esami nell’arco del periodo estivo. Attendiamo aggiornamenti futuri per quanto riguarda la riapertura degli istituti scolastici.

Savio Perri, 4 C Tecnico

 

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“Poter vedere i miei compagni? Magnifico”

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su “Poter vedere i miei compagni? Magnifico”

“Il Governo chiude le scuole nelle zone colpite dal Coronavirus”. Quando ho sentito questa notizia ero in estasi: finalmente potevo staccare, finalmente potevo smettere di pensare alle verifiche o interrogazioni future, finalmente potevo evitare di stare ore sui libri scolastici, finalmente sono libero ho pensato. Al telegiornale continuavano a parlare di epidemia e di prolungare la chiusura delle scuole ma io ero felice. Ero..

Dopo l’euforia è venuta la noia, poi la solitudine, la mancanza delle voci dei docenti, del rumore della penna che scrive sulla carta, degli scherzi e delle battute dei miei compagni. Loro mi mancano e io voglio uscire.

Poi la notizia della ripresa tramite dirette streaming: mi ha confuso e sorpreso, inizialmente ho pensato che fosse inutile.

“È impossibile connettersi tutti insieme – ho pensato – e poi perché devo sprecare il mio tempo in lezioni che difficilmente capirò?”, ma sbagliavo.

Le videochiamate sono pessime, si vede e si sente male, ma la sola presenza dei miei compagni mi fa riaffiorare i bei momenti passati quando ancora ci incontravamo di persona.

Alla fine penso che queste dirette siano magnifiche: basta che il nostro gruppo classe rimanga connesso fino alla fine del nostro lungo viaggio.

Gabriele Berticelli, 5 B Tecnico

 

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A lezione ma lontani: piacevole scoperta

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su A lezione ma lontani: piacevole scoperta

La risposta all’emergenza. Se ciò che si sta delineando in questi giorni, queste settimane, questi mesi, può sembrare uno scenario per certi versi apocalittico e dai toni esasperati per quella che ci era stata presentata  inizialmente come una semplice influenza, senza alcun dubbio il Covid-19 ha paralizzato la nostra economia e la nostra vita sociale, costringendoci a casa sia dal lavoro che da scuola.

Di fronte a un’emergenza sempre meno locale, che ci coinvolge ormai tutti, ci è parso doveroso sottolineare la tempestività con cui la nostra scuola, l’Istituto Aeronautico “Antonio Locatelli”, ha reagito per cercare di garantire  continuità all’attività didattica.  La soluzione adottata dalla nostra scuola si sostanzia in lezioni online in videoconferenza tra studenti e docenti, tenute nel rispetto dell’orario scolastico e fatte partire già pochi giorni dopo Carnevale, sicuramente in netto anticipo rispetto alla maggioranza delle altre scuole. Naturalmente ci troviamo dinanzi a una modalità di fare scuola fuori dall’ordinario, che ha suscitato non poche perplessità, soprattutto da parte di chi nutre una certa avversità nei confronti della tecnologia.

Abbiamo così deciso – in questi primi giorni di novità e passato il primo periodo di rodaggio – di raccogliere le testimonianze di alcuni studenti della classe 5^ B Tecnico che stanno vivendo questa esperienza e ne sono rimasti positivamente colpiti, pur  facendo parte dell’ondata di scetticismo iniziale.

“Sinceramente, la lettura nella bacheca della scuola del fatto che le lezioni si sarebbero svolte in diretta mi ha un po’ scombussolato: credevo che non sarebbe stato possibile connettere simultaneamente così tanti alunni e professori”,  ha confessato Lorenzo Grassi. “La notizia della ripresa tramite dirette streaming  mi ha confuso e sorpreso. Inizialmente ho pensato che fosse impossibile connettersi tutti insieme e che avrei  sprecato il mio tempo in lezioni che difficilmente avrei capito”, ha concordato con lui Gabriele Berticelli. “All’inizio ero un po’ stranito perché, da quando ho iniziato ad andare a scuola, la casa è sempre stato il mio “paradiso” mentre la scuola il mio “inferno”: quindi poter conciliare i due mondi mi sembrava impossibile”, ha rincarato la dose Davide Ricci Gramitto.

Dalle testimonianze raccolte risulta evidente quanto la soluzione apportata dalla nostra scuola non abbia destato immediatamente la nostra fiducia. Tuttavia… Ecco fin da subito le prime svolte.

“Lunedì 2 marzo alle 9 ho avuto la prima lezione online e, a dire il vero, non è stata così tanto diversa rispetto a quelle svolte in aula”, ha ammesso Federico Girasa. “Devo essere sincero, mai avrei pensato al successo di tale sistema, ma dopo un giorno di “rodaggio”, servito per capire e risolvere piccole problematiche, si è rivelato utile e funzionale”, ha detto Jacopo Colombo. Così anche Giulio Krishan: “È un sistema adatto a tutti, nel senso che non crea difficoltà nel suo uso, dato che bastano due minuti per collegarsi con i compagni stando dietro uno schermo”.

Malgrado l’iniziale scetticismo, una cosa ha veramente sorpreso la gran parte di noi studenti: questo nuovo sistema ha incontrato un favore crescente,  disperdendo via via  le polemiche e incontrando l’approvazione perfino dei prof più “conservatori”, nostalgici della cara e comoda lavagna con cancellino e gessetto! A chi di noi il docente non è apparso  come un nemico in cattedra, col coltello dalla parte del manico, pronto a colpire?

Eppure, adesso, in modo inatteso,  tutto sembra cambiare sotto i nostri occhi, per fare spazio a una persona che ci appare nuova e fa apparire il conoscere un po’ meno obbligato e più  motivato, dando un senso a questa devastante emergenza, che diversamente avrebbe logorato menti e corpi rinchiusi nelle proprie case.

Matteo Minghetti ed Edoardo Pace, 5 B Tecnico

 

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Le ballerine: “Ora è (quasi) come prima”

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Le ballerine: “Ora è (quasi) come prima”

È difficile fare scuola da casa. E non riesco neanche a immaginare come possa essere studiare e pure ballare. La danza è un agglomerato di passione, costanza, dedizione e impegno. Ce lo dice Elisa Maglia, una ballerina del secondo anno del nostro Liceo Coreutico, costretta anche lei come tutti noi dal Coronavirus a fare “didattica a distanza”.

Ciao Elisa! Come stai? Da dove segui le lezioni?

Buongiornoooo. Qui a Valmadrera procede tutto bene, diciamo che la vita è cambiata, non si può più uscire, vedere gli amici, cambiare aria. Non posso più ballare. Però non mi lamento. Sarebbe peggio se fossi ammalata oppure in ospedale.

La danza?

Ballo da quando sono piccola. La danza per me è tutto: i primi successi, ma anche le prime sconfitte. Non riuscirei a stare senza ballare. Ormai è parte di me. Non me ne rendo neanche più conto: è come quando cerchi di respirare e ti viene a mancare il respiro. Se invece non ci pensi lo fai in automatico. Infatti all’inizio della quarantena è stato terribile. Poi però, per fortuna, le lezioni sono ricominciate ed ora tutto è tornato quasi come prima.

Quasi?

Proprio così. Ballare a Bergamo era molto più bello. Più entusiasmante. Più divertente. Per prima cosa perché eravamo in palestra. Ma più di tutto perché ero con i miei compagni. I miei compagni che mi mancano ogni giorno di più. A casa sono sempre davanti ad uno schermo grande poco più della mia mano. Certo, parliamo. Ma non è la stessa cosa. Non c’è la stessa complicità che si ha a quattr’occhi.

E come funzionano queste lezioni?

All’inizio non sapevamo come si sarebbero evolute le cose. Era tutto in sospeso. Non si capiva se la settimana dopo saremmo tornati alla normalità oppure il periodo di transizione sarebbe durato molto. Mai avrei immaginato che non avremmo più fatto ritorno a scuola. Non riesco ancora a rendermi conto del fatto che non tornerò in via Carducci fino a settembre. Tra quattro mesi. Ho una voglia pazza di tornare a scuola. E non è solo per i compagni. È per fare qualcosa. Adesso, oltre alle lezioni, le giornate sono oziose. Quando andavo a scuola invece c’era uno scopo, un motivo per fare tutto quello che facevo. Le lezioni, dicevi… La nostra scuola è stata la più veloce ad attivare le lezioni online. Abbiamo iniziato a collegarci l’ultima settimana di febbraio e da quel giorno non abbiamo più smesso. I primi giorni ci collegavamo solo la mattina: in una situazione normale noi ballerine rimaniamo a scuola fino alle quattro di pomeriggio. Poi sono stati aggiunti anche i pomeriggi.

Cosa avete fatto?

Abbiamo iniziato con la prof. Angelucci, l’insegnante di tecnica classica, quella con cui passiamo più tempo. In principio abbiamo svolto un lavoro di teoria sull’anatomia, sulle danze di carattere e sull’esecuzione dei vari passi. Leggevamo, quindi, testi scritti che spiegano come si eseguono diversi passi che solitamente eseguiamo a lezione. Dopo aver capito che non ci saremmo visti per molto tempo, sono iniziate le lezioni più pratiche, partendo dal rafforzamento muscolare fino ad arrivare agli esercizi di danza classica veri e propri: la sbarra. Dato che nessuno di noi ce l’ha a casa, abbiamo dovuto adattarci usando oggetti vari, come sedie, divani, scrivanie. Io, per esempio, ho usato l’appendiabiti di mia sorella. Negli ultimi tempi stiamo alternando questi lavori sulla sbarra con lo studio del balletto “La bella Addormentata”.

Capisco.. E poi? Cos’altro?

Con la prof Ottolenghi, di contemporaneo, ci siamo inizialmente concentrati sull’interpretazione della canzone “Buonanotte all’Italia” di Ligabue. Dopo aver ascoltato la canzone dovevamo attribuire un gesto a ogni parola che sentivamo e alla fine questi movimenti hanno costituito una nostra coreografia. Ora, invece, stiamo affrontando la teoria: studiamo i principi della tecnica classica e come si eseguono i vari passi o le varie pose. La prof. Lorusso, laboratorio coreutico, ci ha fatto studiare inizialmente la teoria, alternata ora a lezioni di sbarra a terra, quindi gli stessi esercizi che facciamo alla sbarra, però a terra. Certo, non è la stessa cosa di quattro mesi fa, perché a scuola facevamo sicuramente più pratica, però prima della pratica bisogna studiare la teoria. Ora non resta che sperare che tutto si rimetta a posto e che, pian pianino, la nostra vita possa tornare alla normalità.

Sono d’accordo. Grazie mille Elisa per aver accettato l’intervista, e a presto.

A presto.

Viola Ghitti, 2 A Scientifico

 

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Giovani e scienza: un altro premio vinto

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Giovani e scienza: un altro premio vinto

Kazan. Russia. Rassegna internazionale per i giovani inventori. Ecco dove la nostra scuola doveva rappresentare l’Italia tra il 5 e il 10 settembre prossimi. L’emergenza coronavirus, però, ha messo a dura prova il concorso fin dalla premiazione, che è avvenuta in diretta streaming lo scorso 9 marzo. Poi sono state annullate le principali esposizioni, come Regeneron ISEF in California. Alcuni, come il LIYSF a Londra, sono stati posticipati al prossimo anno. E, pochi giorni fa, la notizia tanto temuta: pure IEYI a Kazan, a cui Sonia Migliavacca, Elio Scholtz e Filippo Invernizzi non vedevano l’ora di partecipare, è stata annullata.

E ora? Cosa succederà? Se l’esposizione non sarà posticipata, i nostri ragazzi parteciperanno alla prossima edizione? Oppure non avranno l’occasione di farsi conoscere al mondo della scienza? Per ora, risposte non ce ne sono. Non ci resta che aspettare e vedere cosa succederà.

Sonia, Elio e Filippo, con l’aiuto del professor Ferdinando Catalano, hanno ideato il progetto: “Oscillazione di gocce di liquidi Newtoniani indotte da vibrazioni acustiche. Uno studio”. Di cosa si tratta?

Tutto è nato da un video della Clemson University dove una macro goccia veniva fatta oscillare attraverso ultrasuoni. Da questo studio i ragazzi hanno dimostrato che la formula di Rayleigh-Lamb ha un campo di applicazione che va dalle gocce centimetriche, come le gocce di sapone, a quelle micrometriche, come la nebbia.  La goccia che viene fatta oscillare, quando raggiunge l’ottava armonica, si distrugge completamente dando origine a goccioline dal diametro minore. Hanno quindi ricavato le frequenze a cui oscilla una gocciolina di nube e a una frequenza di 3.35 mhz la gocciolina invece di distruggersi passa direttamente allo stato di vapore.

Un progetto che non è passato inosservato, tanto da essere selezionato tra i finalisti del concorso “I giovani e le scienze” organizzato in Italia dalla FAST, Federazione delle associazioni scientifiche e tecniche. Un concorso europeo che premia gli studenti meritevoli nel campo delle scienze e dà loro la possibilità di partecipare non solo a EUCYS, la più importante competizione europea per gli studenti (che quest’anno si dovrebbe tenere a Salamanca), ma anche a prestigiosi eventi mondiali come GENIUS negli Usa, IMSEF in Turchia, TISF a Taipei e, appunto, IEYI a Kazan.

Sicuramente il professor Catalano sta già pensando a nuovi progetti per dimostrare l’eccellenza della nostra scuola e speriamo che questi ci portino sempre più in alto: solo poche settimane prima del lockdown un altro premio era stato ritirato durante una cerimonia al Teatro Alla Scala di Milano, per l’ennesimo progetto scientifico portato brillantemente a termine.

Viola Ghitti, 2 A Scientifico

 

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Addio a Ezio Bosso, sempre con la musica

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Addio a Ezio Bosso, sempre con la musica

«Sono un uomo con una disabilità evidente in mezzo a tanti uomini con disabilità che non si vedono». Fu con queste parole che Ezio Bosso, musicista, pianista e direttore d’orchestra, decise di esordire al festival di Sanremo dell’anno 2016. Nato a Torino il 13 settembre 1971 Ezio si innamorò della musica all’età di quattro anni, l’unica disciplina che riusciva a coinvolgerlo a pieno.

Per seguire la sua passione a 16 anni sceglie di andare via di casa e debutta come solista in Francia, ove incontra Ludwig Streicher, contrabbassista dei Wiener Philharmonic.

Il musicista austriaco, avendone notato l’innato talento, lo indirizza all’Accademia di Vienna dove Bosso studia contrabbasso, composizione e direzione d’orchestra. Appena uscito dall’Accademia, da contrabbassista, suona in importanti formazioni, tra cui la Chamber Orchestra of Europe di Claudio Abbado. È proprio con questo luminare della musica italiana ed internazionale che nasce una grande amicizia.

È dopo la sua morte che, nel 2017, Ezio diventerà testimonial dell’eredità della sua ultima creatura, l’Associazione Mozart14, nata a Bologna per portare la musica nelle carceri e negli ospedali.

La sua malattia inizia nel 2011, prima una grave neoplasia, poi la malattia neurodegenerativa che in breve lo porterà sulla sedia a rotelle. In questo periodo intensifica l’attività di direttore d’orchestra alla guida dell’organico della Fenice di Venezia e del Comunale di Bologna. Infine crea il suo gruppo di musicisti, la StradivariFestival Chamber Orchestra, poi ribattezzata Europe Philharmonic. Il momento più difficile da sopportare per Ezio arriva però solo di recente. È proprio lo scorso settembre che deve dire addio al pianoforte, le sue dita non rispondono più bene, i dolori a forzarle sui tasti si sono fatti insopportabili. Non voglio parlare della sua data di morte, accettatelo. Ezio Bosso non è mai morto e mai morirà.

Apparentemente inetto per via della malattia con cui era costretto a convivere, il Maestro non ne è mai stato succube. Quell’esile corpo umile, fragile e leggero lo accompagnava solo fino al momento in cui veniva fatto accomodare sul predellino del direttore. Su quello sgabello Bosso si trasformava, indomito dinanzi a tutto e inferiore solo alla musica stessa che dirigeva. La sua umiltà lo ha reso la persona che è stata e di cui tutti ci ricordiamo. Memorabile è la sua frase “alla musica non piace il potere”, che non mancava mai di dire anche davanti alle autorità, per ricordare che di fronte alla grandezza dello spartito tutti quanti noi altro non siamo che esserini minuscoli.

Il suo padre musicale è sempre stato Beethoven, un Esempio che Ezio ha seguito anche per far fronte alla malattia. È qui che si vede il genio. “Quel mezzo busto apparentemente sempre triste”, come lo chiamava sovente, nonostante il disagio della sordità e della solitudine, è riuscito a riportare su carta non solo della musica ma soprattutto delle emozioni da cui tutti devono trarne beneficio. E così anche il maestro.

La malattia è stata per lui sempre e solo un fattore limitante per il fisico, ma di certo non per la mente. La sua, ha detto lui stesso, è sempre voluta essere una musica al servizio del tempo, dimensione parecchio cara al Bosso, anche in certi sensi filosofo, che abbiamo conosciuto.

“La vita – disse il Maestro – è da intendere come una linea retta”. Una linea della quale non si conosce la fine e che è succube dello scorrere dei secondi. Tuttavia, nonostante questo tempo così crudele, ognuno di noi può scegliere come dilatarla a suo piacimento. La tristezza aiuta l’uomo a comprendere se stesso, nei suoi lati più intimi e nascosti e così anche la malattia.

Non mi vergogno a dire che quando ho appreso la notizia della sua scomparsa sono stato molto male, come fosse un famigliare, un amico. Non ho potuto non ricordare le sue parole dette durante una conferenza, cui ho avuto l’onore di assistere.

Un personaggio tanto felice quando fa musica quanto triste e sofferente nella vita di tutti i giorni. I suoi occhi non sono mai gli stessi. Quando dirige sono lucidi, fieri, compiaciuti e pieni di felicità; quando si ferma a riflettere nella vita quotidiana la sua espressione cambia. Le persone a cui lui vuole regalare la musica, fungendo da mezzo, diventano il suo più grande nemico: pur non avendolo detto mai direttamente, si notava guardandolo e sentendo cambiare la sua voce: Ezio soffriva del fatto che il suo amato pubblico lo apprezzasse soprattutto in quanto malato e non per le proprie capacità.

Diciamolo chiaramente, il Maestro non ha commosso tutta Italia per la musica che faceva ma per la sua malattia. Cosa che ha sempre detestato e cercato invano di dimenticare: “Io non so se sono felice o triste, so solo che mi tengo ben stretti i piccoli momenti di vera felicità, della mia infanzia”. Nonostante tutto il dolore che ha provato, la malattia non è mai stata il male più grande che Ezio ha dovuto sopportare.

Cosa c’è di peggio? “Rendermi conto di come alcuni, purtroppo anche cosiddetti colleghi, usino la mia condizione fisica per denigrarmi. La patologia vera è questa. Le disabilità più gravi non si vedono, i veri malati, o i “sani cronici”, come li chiama il mio amico Bergonzoni, sono loro”.

Più volte il musicista ha riflettuto sui miracoli che la musica riesce a compiere. Tutti quanti noi sappiamo sentire, ma solo in pochi sanno ascoltare. La musica ha questo ruolo, renderci consapevoli che dietro al semplice udire c’è una storia: di un’epoca, di una cultura, dell’unione fra individui, della società. Così il sentire si trasforma in ascoltare.

Ora quest’uomo non c’è più fisicamente ma, in quanto umani, sappiamo bene che l’anima non ha bisogno del corpo per vivere in eterno e di certo questa sua purezza non è mai passata inosservata e non verrà mai dimenticata.

Voglio ricordarti così Ezio. Con la bacchetta nella mano destra e con la mano sinistra sul cuore mentre contempli, nonostante le difficoltà, la cosa che ti ha sempre reso libero da tutto e da tutti, ma soprattutto mai solo: la musica. Ciao Ezio.

Federico Martini, 5 A Scientifico

 

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Vita quotidiana ai tempi di Nicea

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Vita quotidiana ai tempi di Nicea

Un vecchio vescovo cristiano del IV sec. spiega al suo giovane nipote le recenti trasformazioni della Chiesa, alle quali ha assistito nel corso della sua lunga vita: le persecuzioni di Diocleziano nel 303 d.C., la carriera sacerdotale ai tempi di Costantino e il Concilio di Nicea nel 325, come vescovo. Racconto in due tempi.

 Basilio (lo zio Vescovo): “Carissimo Paolo colgo l’occasione della tua graditissima visita perché vorrei parlarti della storia della nostra Chiesa, perché se adesso noi cristiani viviamo alla luce del sole il nostro credo, un tempo non era così.”

Paolo (il nipote): “Zio, mi incuriosisce quello che tu mi dici, ma mi tormenta tantissimo per quale motivo non ho mai conosciuto i nonni. Mia madre non me lo ha mai voluto raccontare. Tutte le volte che le ho fatto questa domanda i suoi occhi si rattristano e si riempiono di lacrime.”

“Capisco perfettamente, anche a me provoca grande dolore ripensare a ciò che ha distrutto la nostra famiglia. Ma tu hai già 15 anni e sei abbastanza grande. È giusto che tu conosca la verità che ti ha preceduto e la nostra storia. Paolo, tu sai perché noi siamo cristiani?”

“Sì zio, per dono di Dio”

“E sai perché porti il nome Paolo?”

“Sì zio, perché Paolo (Saulo) era il più colto degli apostoli ed aveva la cittadinanza romana e si prodigò moltissimo, con il suo carattere energico ed appassionato, per diffondere gli insegnamenti di Gesù fra i pagani fino a quando fu perseguitato e morì martire durante l’Impero di Nerone insieme all’apostolo Pietro.”

“Ecco Paolo, è proprio sulla parola ‘perseguitato’ e ‘martire’ che voglio farti riflettere. Vieni qui, sediamoci comodi ad ammirare questo tramonto e ti racconterò ciò che io e tua madre, quando avevamo all’incirca la tua età, abbiamo vissuto insieme a tutta la nostra comunità cristiana.”

“Perseguitato, martire? Cosa vuoi dirmi zio? Pensavo si trattasse di cose lontane da noi ed invece intuisco dal tono della tua voce che tu e mamma ne abbiate un vivo ricordo.”

“Proprio così Paolo… con i nonni vivevamo a Nicomedia una delle più importanti città dell’impero romano che fu scelta da Diocleziano come una delle sue capitali nel nuovo sistema tetrarchico.”

“Tetrarchico? Cosa vuol dire?”

“La tetrarchia fu la forma di governo scelta da Diocleziano e consisteva nella divisione dell’impero in quattro parti. C’erano due Augusti ed ognuno aveva un Cesare. Diocleziano rimaneva comunque Augustus Maximus ed ogni decisione finale spettava solo a lui.”

“Ma perché Diocleziano scelse Nicomedia?”

“Nicomedia era in una posizione strategica, era vicina allo stretto dei Dardanelli e a quello del Bosforo e lui la scelse come sua sede. Diocleziano arricchì molto la città, ricordo che furono costruiti molti templi pagani, c’era un teatro ed un imponente palazzo imperiale con mura e torri. C’erano anche alcune chiese cristiane e la nostra comunità professava la sua fede più o meno liberamente.”

“Cosa intendi con più o meno liberamente?”

“I pagani ci consideravano come dei gruppi isolati e non accettando il nostro credo non capivano le regole delle nostre comunità. Era ancora difficile potersi esprimere alla luce del sole. Noi che avevamo ricevuto il battesimo, simbolo di rinascita alla nuova vita in Cristo, eravamo guidati dai presbiteri, uomini anziani di grande moralità, che predicavano la dottrina. A fianco dei presbiteri c’erano i diaconi che amministravano i beni della comunità ed assistevano i poveri ed i bisognosi. A sorvegliare tutto il vescovo che riconosciuto come successore degli apostoli aveva il compito di vigilare sulle comunità che lo avevano eletto.”

“Mi sembra di capire che eravate ben organizzati, ma come vivevate?”

“Vivevamo come Cristo ci ha insegnato: ogni comunità cristiana svolgeva la sua vita all’insegna della fratellanza. Quando non si poteva andare in chiesa ci riunivamo nelle case per la preghiera in comune e per celebrare l’eucarestia. I nonni, che erano molto attivi all’interno della nostra comunità, tante volte hanno aperto le porte della nostra casa ai fratelli della comunità.”

“Ma se eravate così prodighi nell’aiutare gli altri cosa è successo? Perché prima mi hai chiesto di riflettere sulla parola perseguitato?”

“Caro Paolo, il rivoluzionario messaggio del cristianesimo, che parlava di eguaglianza e salvezza, faceva paura all’impero romano e Diocleziano si sentì minacciato da noi cristiani. Sai Diocleziano mise in atto tante riforme durante il suo impero oltre a quella della tetrarchia.”

“Che tipo di riforme zio?”

“In un primo momento Diocleziano non si preoccupò della presenza di noi cristiani e per prima cosa cercò di rendere più sicuri i confini dell’impero aumentando il numero delle legioni nell’esercito; divise l’esercito in due parti: i limitanei a permanente difesa dei limes e i comitatus, al diretto comando dell’imperatore, che formavano un esercito mobile, posto nelle retrovie e pronto ad intervenire in caso di bisogno. Successivamente, per far fronte alle aumentate spese dell’esercito, si occupò di mettere in atto una riforma economica introducendo: nuove imposte sul reddito di ogni individuo e sui terreni posseduti. Nel 301 d.C. promulgò l’Edictum de pretiis, un calmiere dei prezzi, che imponeva la vendita di ogni merce con un prezzo non più alto rispetto a quello fissato dallo Stato, ma questo provvedimento favorì il ricorso alla borsa nera. Infine per non modificare le entrate dello stato stabilì anche l’ereditarietà dei mestieri obbligando i figli a proseguire il lavoro dei padri. Concluso l’iter politico/amministrativo pensò anche di fare delle riforme in ambito religioso.”

“Ma perché Diocleziano che era Augusto Massimo volle occuparsi anche della nostra religione?”

“Paolo, il cristianesimo si era diffuso così largamente sia nelle province orientali che in quelle occidentali e soprattutto aveva abbracciato tutti gli strati della società. I nonni mi dicevano che anche la moglie di Diocleziano fosse cristiana! Alcuni cristiani in quel periodo scendevano a patti con lo stato romano, ma molti di noi si sono sempre rifiutati di entrare nell’esercito o di sottomettersi alla disciplina militare ma soprattutto di riconoscere la natura divina dell’imperatore e di fare sacrifici in suo onore. Diocleziano voleva sempre più rafforzare il suo potere.”

“In che modo Diocleziano cercò di rafforzare il suo potere?”

“Poiché molti seguaci della religione pagana, fra cui il Galerio, cesare di Diocleziano, affermavano che noi cristiani stavamo diventando un serio problema per la stabilità e la credibilità dello Stato, Diocleziano, dopo circa quarant’anni di relativa tolleranza, nel 303 iniziò, purtroppo, nuove persecuzioni contro di noi.” 

“Quindi tu e mamma con i nonni avete subito le persecuzioni?”

“Ebbene sì, gli editti di Diocleziano furono davvero pesanti e crudeli. A noi cristiani furono confiscati beni, furono distrutte le poche chiese che c’erano e ci fu vietato di riunirci e di celebrare i nostri riti. Alcuni presbiteri ed anche il nostro vescovo furono addirittura arrestati e molti cristiani furono esclusi dalle cariche pubbliche. La nostra famiglia da sempre aveva accolto in casa i fratelli per la preghiera e continuò a farlo in nome di Cristo e dei suoi insegnamenti. Fu un periodo davvero cruento, scoppiarono tante sommosse, cominciarono ovunque arresti, torture ed uccisioni. Abbiamo assistito a scene violente e abbiamo visto tanto sangue, ma continuavamo a pregare e la fede ci teneva uniti. Un giorno eravamo riuniti nella nostra casa con altri fratelli della comunità e ci fu un’incursione romana. Iniziarono a urlare e rovistare dappertutto ed infine bruciarono i nostri testi sacri, quelli su cui io e tua mamma avevamo imparato a leggere, quei testi a cui i nonni tenevano moltissimo. Davanti le repliche del nonno e la disperazione della nonna che inveiva sui soldati per l’ingiustizia subita, li catturarono entrambi e li portarono via. Io e tua madre rimanemmo da soli e da quel giorno non li abbiamo mai più visti.”  

“Ma non avete più avuto alcuna notizia?”

“Purtroppo no, non abbiamo più saputo nulla anche se abbiamo sempre immaginato cosa sia potuto succedere. Non abbiamo mai avuto la certezza del fatto che siano stati uccisi da quei soldati romani, ma lo abbiamo pensato più volte.”

E cosa avete fatto?”

“All’inizio è stata davvero dura! Si vedevano ogni giorno, per le vie di Nicomedia, scene tremende e tragiche, anche decapitazioni e facilmente ci siamo abbandonati a brutti pensieri.

Poi col tempo, dovevo fare coraggio a tua mamma e, per ad andare avanti, abbiamo scelto di immaginare che i nonni fossero andati in un paese lontano, ed ancora crescendo ci siamo rafforzati nella fede ed abbiamo sempre pensato che, con lo spirito, erano sempre vicini a noi. Gli insegnamenti che i nonni ci avevano dato sono stati fondamentali così come la vicinanza dei fratelli della nostra comunità. Siamo sempre rimasti fedeli ai principi religiosi che avevamo appreso sin da bambini e anche nei momenti più bui non abbiamo mai considerato Diocleziano come un dio. Paolo, fu in quel periodo di grande dolore e preghiera che fui illuminato da Dio. Tutto un giorno mi fu immediatamente chiaro e capii che dovevo adoperarmi per gli altri così come avevano fatto i nonni.”

“Come avete continuato a vivere?”

“Abbiamo sempre pensato che le persecuzioni fossero una prova per noi cristiani ed animati dalla fede in un Dio buono ci siamo trasferiti ad Heraclea da alcuni parenti lontani. Lì abbiamo continuato a vivere da buoni cristiani. La mamma aiutava in casa e ed io iniziai dopo poco la mia carriera sacerdotale.”

“Ma per quanto tempo Diocleziano continuò a perseguitare i cristiani?”

“Le persecuzioni contro i cristiani continuarono per circa 10 anni anche se non raggiunsero lo scopo atteso da Diocleziano che nel 304 d.C. si ritirò. Dopo il suo ritiro si scatenò uno scontro tra Costantino (figlio di Costanzo Cloro che era stato il Cesare di Massimiano) e Massenzio (figlio di Massimiano, l’Augusto d’Oriente) in quanto anche la riforma politica messa in atto da Diocleziano non assicurò il suo successore.

“Ma anche i successori di Diocleziano continuarono a perseguitarci?”

“Già nel 311 avviene un primo fatto di grande importanza: il 30 aprile, a Nicomedia, Galerio pubblica, pochi giorni prima di morire, anche a nome di Costantino e di Licinio, un editto con il quale ha concesso a noi Cristiani la libertà di culto e la riedificazione delle chiese. Molti uomini dell’impero avevano capito che bisognava riconciliarsi, ma molti rimasero ancora contrari al Cristianesimo e fra questi Massimino e Massenzio. Dopo la morte di Galerio si temeva scoppiasse anche una guerra anche tra Massimino e Licinio, ma per fortuna i due augusti trovarono un accordo per dividersi le terre: le province d’Asia e l’Egitto a Massimino e la penisola balcanica a Licinio.”

“E lo scontro tra Costantino e Massenzio?”

“Tra Costantino e Massenzio ci fu invece una vera e propria guerra civile che si concluse con la battaglia sul ponte Milvio nel 312, dalla quale Costantino uscì vittorioso. La battaglia tra Costantino e Massenzio ebbe sia un significato politico che religioso.”

“In che senso ebbe un significato religioso?”

“Costantino aveva ordinato di porre sulle proprie insegne non soltanto le immagini pagane, ma anche una croce, il nostro principale simbolo cristiano. Massenzio aveva combattuto protetto dai soli simboli pagani e aveva perso, mentre Costantino aveva combattuto usando anche i simboli cristiani ed era risultato vincitore.”

“Fu con Costantino che il cristianesimo non fu un problema per l’impero?”

“Proprio così, con Costantino lo stato romano prende atto della funzione sociale della nostra Chiesa e l’editto di Milano emanato nel 313 è un gran passo verso l’affermazione del Cristianesimo”.

“Zio, perché proprio l’editto di Milano fu un gran passo, cosa si decise?”

“Paolo perché l’editto di Milano ha stabilito per il Cristianesimo la stessa libertà di culto prevista per le altre religioni in ogni parte dell’impero, e con questo editto sono finite le persecuzioni contro cristiani. Inoltre l’editto ha previsto che ci fossero restituiti i beni confiscati durante le persecuzioni.”

“Ma perché Costantino sostenne il cristianesimo?”

“Costantino fu illuminato durate il sonno da Dio, che gli apparve suggerendogli di apporre il cristogramma sugli scudi dei soldati. Dopo la vittoria di Ponte Milvio, Costantino si convertì definitivamente al cristianesimo e con la sua politica ci sostenne e ci liberò dalle persecuzioni. Molti sostengono che la sua conversione sia stata guidata anche da motivazioni politiche, ma io lo escludo perché noi cristiani non rappresentavamo la maggioranza all’interno dell’impero e soprattutto perché anche al nostro interno c’erano delle dispute tra i vescovi delle diverse comunità.”

“In che modo Costantino sostenne il cristianesimo?”

“Costantino fu un imperatore prudente e cercò di mantenere un equilibrio fra i vecchi senatori pagani e i cristiani che volle introdurre nella struttura politico – amministrativa dello stato. Costantino è stato un uomo molto abile nel mantenere l’ordine ed ha favorito il Cristianesimo, ha sempre appoggiato la nostra Chiesa e la nostra organizzazione ecclesiastica sfavorendo gli eretici.

“Cosa fece per sfavorire gli eretici?”

“Costantino cercò in diverse occasioni di tutelare l’unità della Chiesa soprattutto quando al suo interno scoppiavano dissidi dovuti ad una diversa interpretazione della dottrina di Gesù. La più grave di queste controversie ebbe origine per opera di Ario, un prete di Alessandria d’Egitto, che rifiutava di credere alla divinità di Cristo. Questa sua teoria venne bollata dalla Chiesa come un’eresia e per discutere dell’argomento, Costantino convocò e presiedette personalmente il primo concilio ecumenico della storia della chiesa.

“Perché Costantino volle convocare addirittura un concilio?”

“Costantino era molto preoccupato che le eresie provocassero una frattura nella cristianità soprattutto in Egitto ma anche in Siria, che erano le aree più delicate del suo impero ed avrebbero potuto imboccare la via dell’indipendenza politica. Costantino aveva ottenuto da poco la riunificazione dell’impero con la sua vittoria contro Licinio del 324 e desiderava anche vedere unita la Chiesa. Certo di riuscire a mettere d’accordo coloro che affermavano la divinità di Cristo e coloro che la negavano convocò il concilio per porre fine ad ogni contrasto.”

“Dove si tenne il concilio?”

“Il concilio si tenne nel 325 a Nicea città non lontana da Nicomedia e da Costantinopoli. Ricordo ancora l’invito ricevuto. Ero incredulo davanti alla convocazione di un concilio universale. Ero da pochissimo stato nominato vescovo e mi toccava partecipare ad una riunione così importante. All’epoca Costantino non si era ancora battezzato ma era convinto nel suo intento di unità della chiesa e cercò di facilitare il più possibile la partecipazione di tutti noi vescovi. Mise a disposizione i servizi delle poste imperiali per il viaggio, e ci offrì anche ospitalità.”

“Zio, com’era l’imperatore?”

“Non lo avevo mai visto fino a quel giorno. Lo avevo più volte immaginato, pensandolo come un uomo buono soprattutto perché scelto da Dio come messaggero di unione. A Nicea si presentò con abiti regali e molto adorni che illuminavano la sua bellezza fisica, ma la cosa che mi colpì particolarmente fu il colore del suo volto e lo sguardo. Era decisamente un timido, o quanto meno in quella circostanza lo era, e le sue guance mostravano il colore di questa timidezza, ma dallo sguardo era facile intuire la bontà del suo animo. Eravamo tutti in piedi ad onorare il suo ingresso ma prima ancora di sedersi ci fece cenno che potevamo subito accomodarci anche noi.”

“Ma Costantino riuscì nel suo intento con il concilio niceno?”

“Si Paolo, al termine del concilio la dottrina ariana venne condannata e bandita e durante il concilio venne composto anche il simbolo niceno, il nostro credo, che è diventato la professione di fede per tutti noi Cristiani.”

“Anche se è stato molto triste venire a conoscenza delle persecuzioni, è stato molto interessante ascoltare le testimonianze di chi come te ha partecipato alla storia, tutto mi appare più chiaro e reale. Grazie zio.

Ruggero Dominici, 2 B Tecnico

 

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L’uomo che combatté in tre eserciti

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su L’uomo che combatté in tre eserciti

La storia di questo uomo è certamente una bizzarra vicenda, che colpisce quando ascoltata: il protagonista è infatti – a quanto pare – l’unico soldato che abbia combattuto in tre eserciti diversi, nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

Yang Kyoungjong nasce il 3 marzo 1920 a Sinuiju, nella allora Corea giapponese e da bambino trascorre una infanzia tipica dell’impero giapponese, che si era stabilito nella sua nazione dieci anni prima della sua nascita. A diciotto anni, nel 1938, viene reclutato nell’esercito imperiale nipponico, con cui combatte nella guerra di confine sovietico-giapponese. Nella decisiva battaglia di Khalkhin Gol, nell’estremo nord della Cina, lungo il confine con la Mongolia, il giovane soldato viene catturato dall’esercito sovietico, ormai già vittorioso nella battaglia e persino nell’intera guerra. Yang, dopo la cattura, viene subito mandato in prigione e portato poi ai campi di lavoro, dove rimane per circa 3 anni e mezzo.

È il 1942, la Seconda grande guerra è iniziata più o meno quando i giapponesi hanno perso con i sovietici e successivamente, nel 1939, la Germania ha invaso la Polonia. Dopo tre anni i nazisti verranno poi sconfitti in Russia a Stalingrado e in Egitto ad El Alamein.

Il prigioniero proveniente dalla lontanissima Corea  viene chiamato a difendere non più la sua terra, nonostante fosse all’epoca “giapponese”, ma adesso deve difendere nel fronte europeo la nazione contro la quale ha combattuto prima di essere prigioniero: la Russia. Verso il dicembre del 1942 Yang viene trasferito sul fronte ucraino dove partecipa all’avanzata sovietica post-Stalingrado fino ad arrivare sulle sponde del fiume Don.

Da lì inizia a combattere come soldato sovietico per la prima volta dopo l’ultima esperienza in Mongolia. Arriva fino alla città di Kharkiv, dove l’Unione Sovietica viene sconfitta dall’ultima offensiva tedesca con esito positivo del conflitto mondiale.

Come se fosse il destino, Yang Kyounjong viene catturato dai soldati della Wehrmacht. A differenza di quanto era avvenuto con l’URSS, l’esercito teutonico incorpora subito il prigioniero coreano, ma solo perché la situazione per i tedeschi è ormai critica sia sul fronte orientale che in Nord Africa.

La Wehrmacht forma alcuni battaglioni di soldati di origine orientale, nominati Ost Bataillon (cioè battaglioni dell’Est), di cui fanno parte soprattutto i prigionieri delle minoranze culturali e geografiche sovietiche, ad eccezione di Yang, che è un coreano influenzato dalla cultura giapponese.

Dopo qualche mese di lotta sul fronte orientale il battaglione viene trasferito in Francia, precisamente nella spiaggia di Utah Beach, in Normandia.

Il giovane soldato trascorre un anno su questa spiaggia fino a che giunge il 6 giugno 1944, l’ultimo giorno di combattimento di Yang nella sua carriera militare.

Nei giorni successivi al D-Day, dopo essere catturato dagli americani, viene trasferito in un campo di prigionia in Inghilterra. Prima di ciò i soldati alleati che si occupavano della registrazione e della spedizione dei prigionieri verso l’isola britannica rimangono sorpresi per la presenza di soldati orientali, scambiati all’inizio per giapponesi.

Una volta scontata la pena in Inghilterra, si trasferisce negli Stati Uniti, per l’esattezza a Evanston, in Illinois. Lì, dopo aver combattuto per ben tre eserciti e in teatri ben diversi, ha vissuto serenamente fino al 1992, quando il 7 aprile muore per cause naturali.

Alcuni storici considerano molto attendibile l’incredibile avventura del soldato coreano, ritenendola non veritiera in mancanza di fonti ufficiali.

D’altro canto c’è la testimonianza del tenente americano Robert Brewer (poi colonnello nella guerra del Vietnam) che lo ha registrato tra i prigionieri asiatici. In Corea del Sud (anche se Yang è nato in una città della attuale Corea del Nord) questa strana vicenda viene raccontata spesso: a tal punto da dedicarle nel 2010 un film intitolato “My way”.

Alberto Julio Grassi, 2 A Scientifico

 

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Il contatto manca, ma poi sarà più bello

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Il contatto manca, ma poi sarà più bello

Cara professoressa, in questo momento tutti noi stiamo vivendo un periodo difficile che nessuno si sarebbe mai aspettato di vivere. È partito tutto da capodanno del 2020 quando tutti dissero “che quest’anno sia migliore di quello appena finito”, e nessuno immaginava ciò che ci aspettava. Arrivarono le prime notizie su questo sconosciuto virus espandersi in Cina, poi i primi due contagiati in Italia, e tutto d’un tratto siamo stati catapultati in un mondo che a tratti pare parallelo. I bar affollati piano piano chiusero, i parchi in cui la gente si recava iniziarono a svuotarsi, così i supermercati, e anche le città diventarono deserte. “Bisogna stare a casa”, “Scuole chiuse fino al 15 marzo”, “Chiusura prolungata fino al 3 aprile”, “I ragazzi seguiranno le lezioni online e le uscite saranno solo per stretta necessità”, dissero. I contagi e i morti aumentavano ogni giorno.

Sono sempre stato abituato ad avere la mia sveglia la mattina, alzarmi, mettere la divisa e recarmi a scuola, con più o meno voglia: dipendeva un po’ da che materie mi aspettavano. Tornavo a casa, aprivo i libri e studiavo quanto bastava per una sufficienza, mi preparavo per allenamento, dove riuscivo a buttar fuori tutto quello che nella giornata era andato storto; tornavo a casa per le 21 stanco morto, mi buttavo a letto e crollavo, consapevole che il giorno dopo sarebbe stato esattamente come quello appena passato.

E ora mi ritrovo qui, davanti a uno schermo, nel letto, guardando fuori dalla finestra il sole che splende alto, e penso. Penso al perché di tutto questo… Penso che le persone ancora non abbiano capito che l’unico modo per riuscire a uscirne è stare a casa.

Penso che il periodo di questa pandemia verrà raccontato sui libri di storia come quello “in cui tutti furono obbligati a rimanere a casa”. Penso che alla fine la scuola non sia poi così male, che le risate più belle sono racchiuse tra quelle quattro mura che ogni giorno mi accolgono o, meglio, mi accoglievano.

Penso che mi manca la mia routine: mi manca alzarmi all’alba, mi manca poter vedere le persone con le quali passerò i migliori anni della mia vita, mi manca uscire il sabato sera, mi manca andare in discoteca e staccare tutto, mi manca potermi allenare e correre sul quel prato verde che forse mi conosce più di tutti, mi mancano i pianti dopo la perdita di una partita e i sorrisi vedendo la mia squadra salire in classifica. Mi manca entrare in classe, solitamente con qualche minuto di ritardo, sedermi al mio banco e iniziare le lezioni. Mi mancano gli sguardi complici tra compagni che attraverso un iPad non ci potranno mai essere, e soprattutto mi manca l’aspetto umano, che un apparato elettronico non rimpiazzerà mai.

E sa, profe, anche lei mi manca, esattamente come tutti i professori. Insomma, mi manca tutto ciò che sono sempre stato abituato a vivere, mettendo in secondo piano però le amicizie, la famiglia e l’amore, se a quest’età si può chiamare così. Stando a casa ed essendo distante dalle persone a me tanto care ho capito quanto sia importante il contatto fisico e quanto veramente non siano da sottovalutare certi legami. Ho anche capito l’importanza della famiglia, che è sempre un luogo sicuro quando tutto sembra crollare, e che l’amore che ci lega sarà sempre più forte delle litigate che avvengono ogni giorno.

Ho capito tante cose, che prima tutti davamo per scontato, e mi sento che, quando tutto questo finirà, sarà tutto più bello, e ognuno avrà una concezione di vita diversa. Saranno più affettuosi gli abbracci e i baci, sarà più buono il caffè preso al bar, sarà più bello toccare con mano le verifiche, qualsiasi sia il voto scritto sopra. Sarà più bello litigare con i profe, sarà più bello mettere la divisa e stringere la cravatta. Sarà tutto più bello, perché è proprio in questi momenti che si capisce il valore che ha la vita.

Mi sento triste, solo, perché lontano da tutti. Ma mi sento anche felice e più maturo, perché so che quando la routine ricomincerà la vivrò con il sorriso stampato in faccia e con la fortuna di non aver dovuto passare questa quarantena solo, su un letto dell’ospedale. Ma in realtà penso che ciò che ognuno di noi prova non si riesca a spiegare a parole: semplicemente provo tutto quello che un ragazzo di 15 anni riesce a provare.

Elvi Ymeraj, 1 C Tecnico

 

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Maturità? Troppi dubbi, ma voglio viverla

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Maturità? Troppi dubbi, ma voglio viverla

Ormai lo sappiamo, il virus colpisce tutto e tutti. A noi studenti costringe a casa da scuola, lontano dalle proprie amicizie, dai professori e senza dubbio ci priva anche delle quotidiane esperienze in cui avevamo la fortuna di incappare.

Nonostante le grosse difficoltà e la forte sofferenza del sistema scolastico italiano, grazie all’occhio avanguardista della nostra dirigenza, l’Istituto Aeronautico Locatelli conferma l’affidabilità che da anni gli è riconosciuta: se qualcuno fosse ancora incredulo sappia che non lo dico io; pur essendo il nostro gazzettino di rilevante notorietà, sento l’esigenza di citare un pesce ben più grosso, infatti l’elogio all’istituto lo manda il quotidiano Libero, che a inizio crisi esordì con un titolo a dir poco accattivante: “Il record di Bergamo: 600 studenti connessi da casa”. Faccio queste premesse per tutelare me e i miei compagni: non possiamo lamentarci di come sia stata affrontata la situazione dalla nostra scuola, ma potremmo di certo farlo nei confronti del MIUR.

Lucia Azzolina, ministro dell’Istruzione, ha messo in confusione docenti e milioni di studenti. A inizio marzo decise infatti di comunicare che tutti gli alunni sarebbero stati promossi: una scelta ritirata giusto poco fa! Condannando malcapitati nullafacenti, che si ritrovano a fine maggio con la possibilità di essere bocciati!

Anche il temutissimo rito della maturità rischiava di saltare: come abbiamo riscontrato dalle esperienze olandesi e inglesi, c’erano buone probabilità che i 463.133 studenti italiani delle classi quinte rimandassero l’esame di Stato a mai più. Fortunatamente, seppur con qualche grattacapo, la soluzione si è trovata: la maturità si farà ma giusto con qualche modifica…

Come tutti dovrebbero sapere dall’anno scolastico 2018/2019 le linee guida per l’esame finale di Stato sono leggermente cambiate: fino all’anno scorso l’esame avrebbe dovuto essere formato dalla prima prova scritta di italiano, dalla seconda prova scritta, concernente le materie di indirizzo, e da un colloquio orale comprensivo di nodi concettuali tra le varie materie e di PCTO (Percorsi formativi per le competenze trasversali).

Con l’emergenza “Covid” non si ha avuto alternativa: la prova di maturità doveva essere rimodulata. Sfortunatamente per i compagni del quinto anno e per tutti i professori direttamente interessati, le linee guida per l’esame hanno tardato ad arrivare. Il famosissimo “documento del 15 maggio”, per il quale i docenti hanno l’obbligo di consegnare i programmi scolastici, è stato rimandato. Il ministro Azzolina tarda a farsi sentire o per meglio dire tende a non concretizzare, temporeggiando il più possibile in attesa di qualcosa a noi ignota, bloccando e scaraventando nell’incertezza più totale l’intero sistema scolastico.

Il 16 maggio, dopo essere stati assoggettati per settimane da decine di rumors, i maturandi e i loro professori finalmente vengono a conoscenza di cosa bisogna preparare. Così noi ragazzi, con nientemeno che qualche settimana di anticipo, possiamo finalmente stare tranquilli sul da farsi. Gli studenti del quinto anno si presenteranno all’esame di Stato, che avrà inizio il 17 di giugno, con un massimo di 60 crediti, e dovranno affrontare un colloquio orale, con un limite di 60 minuti per persona, che avrà il valore di 40 crediti scolastici. I professori delle materie di indirizzo dovranno assegnare ai ragazzi un elaborato entro l’1 giugno, lavoro da svolgere a casa e da presentare e discutere con la commissione il giorno d’esame. I docenti di lingua italiana dovranno invece sottoporre gli studenti all’analisi di un testo letterario svolto precedentemente in classe; il resto della commissione avrà il compito di scegliere un argomento che verrà assegnato al candidato, che dovrà dimostrare di sapersi muovere adeguatamente tra le materie oggetto di studio. Il colloquio si concluderà con l’esposizione, tramite proiezione di diapositive, dei percorsi per le competenze trasversali portati a termine dall’alunno durante il triennio del secondo ciclo di istruzione. Verrà inoltre richiesta un’approfondita conoscenza di nozioni di “Cittadinanza e costituzione”, materia inesistente nei programmi scolastici di molti indirizzi.

Tra grande confusione e lancinante sconforto, ne usciamo più storditi di prima: pur se remota, la paura che queste scelte non sia definitive c’è, ormai un cambio all’ultimo non stupirebbe nessuno. Lucia Azzolina e le numerose “task force” istituite, scelgono però di non sollevare il velo pietoso che aleggia sulle direttive che sanciscono i comportamenti da rispettare per svolgere un esame sicuro e in presenza. Scelta tanto particolare quanto criticata del ministro: ancora c’è confusione, chi accenna a un massimo di 10 persone in aula, chi dice che sarà d’obbligo la mascherina anche durante l’orale e chi invece sostiene che non sarà richiesto… insomma, tante erano le incertezze e tante rimangono, noi aspettiamo e prendiamo quello che ci capita nella speranza di vivere, nonostante tutto, la bella esperienza della maturità.

Raffaele Parola, 5 A Scientifico

 

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Quarantena, rivoglio la mia vita!

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Quarantena, rivoglio la mia vita!

Oggi, ennesimo giorno di quarantena, è un altro giorno difficile, all’interno di un periodo altrettanto difficile. Difficile perché non eravamo preparati a questo, ma come si può?

Del resto come possiamo essere pronti a lasciarci tutto alle spalle, se le nostre spalle sono ancora impegnate a sostenere il peso dei ricordi e di quei momenti passati in libertà?

Le nostre spalle ci sono, le sentiamo e sentiamo che sono a contatto con altre cose, ma noi con la testa dove siamo…? Con i pensieri balliamo in punta di piedi con la speranza, tocchiamo con il palmo delle mani i ricordi, guardiamo la monotonia della quotidianità che prima tanto disprezzavamo.
Oggi ennesimo giorno di quarantena, mi sento vuota, ma so.
Torneremo ad essere liberi e ad abbracciarci, torneremo a sussurrarci tutte quelle parole non dette tenute in sospeso.
Oggi, ennesimo giorno di quarantena, ci vuole pazienza. Forse quella che manca un po’ a tutti, perché la stanchezza si fa sentire e, con lei, anche tutto ciò di cui abbiamo paura…
Oggi, ennesimo giorno di quarantena so che torneremo a fare gli aperitivi al tramonto e a ridere senza indossare delle mascherine, tornerà ad essere tutto più semplice..

Oggi, ennesimo giorno di quarantena dobbiamo affrontare ciò che ci spaventa, tutto ciò che ci distrugge e soltanto dopo, vedremo l’arcobaleno.
Oggi, ennesimo giorno di quarantena rivoglio la mia vita, rivoglio le emozioni addosso. Voglio tutto quello che non posso avere, o forse voglio stare solo per un attimo bene…

Saguaro

 

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“Ciao nonna, noi non ti dimenticheremo”

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su “Ciao nonna, noi non ti dimenticheremo”

Un brutto giorno, a molti di noi, il Covid-19 ha portato via dei cari: a volte in modo improvviso, a volte lento. A volte senza la possibilità di salutarli. È successo, tra gli altri, a Viola, che con questo articolo, pubblicato anche dai quotidiani “L’Eco di Bergamo” e “Giornale di Brescia”, ha ricordato la sua bisnonna.

Questo coronavirus ci sta portando via tutto. Si è insinuato nella nostra vita prima piano piano e poi, velocemente, ha avvolto le sue braccia intorno a noi. Letteralmente. Questa notte è toccato alla mia bisnonna. Se n’è andata velocemente come fanno i petali del soffione, come le foglie cadono dagli alberi in autunno.

Prima la febbre. Poi i polmoni. E dopo tutto il resto. O almeno credo, perché sinceramente non ho neanche idea di come la malattia l’abbia colpita. Non ho idea di come si sia sentita in quella casa di riposo che un tempo adoravo, mentre ora disprezzo più di ogni altro luogo. Vorrei far tornare indietro il tempo e convincere mia mamma a portarla a casa nostra prima che il virus si diffonda. O magari era destino che questo virus la colpisse e non ci sarebbe stato scampo in nessun modo.

Quello di cui sono certa è che non se n’è andata senza lottare. Lei non era una che si arrende facilmente. Lei non era una che si arrende. Punto.

Era una gran donna, la mia bisnonna. Lei sì che l’ha vissuta, la vita. Caterina Maisetti. Anno 1926. Aveva solo 17 anni (solo pochi più di me), quando è andata a recuperare le salme di alcuni partigiani uccisi dai tedeschi a Pratolungo,

vicino a Borno. Quante volte me la sono fatta raccontare questa storia! Ero troppo fiera che la mia nonnina avesse partecipato, anche se in minima parte, al più grande combattimento di tutti i tempi. Lo raccontavo (e lo racconto tuttora) a chiunque.

“Si erano rifugiati a Pratolungo passando per Mazzunno” iniziava lei. “Una spia di Gorzone aveva informato i tedeschi, che non avevano esitato a raggiungerli e ammazzarli tutti”. “Tutti tranne uno, giusto?” chiedevo io. “Era stato ferito, così aveva potuto fingere di essere morto. E noi l’avevamo portato in salvo”, raccontava in dialetto.

Era stato proprio per questo che il mio bisnonno, Apollonio Ferrari, era diventato un grande sostenitore del ricordo di quella tragedia. Era stato lui l’organizzatore della commemorazione di Pratolungo.

Si erano sposati nel 1946. Era stato un matrimonio con tanto di viaggio di nozze a Brescia. “Era un bel viaggio per quel tempo” diceva sempre. Aveva un vestito corto bianco. Non era un vestito comprato per l’occasione, ma uno dei migliori del suo armadio. Qualche anno più tardi sarebbero nati i primi figli. 10 in tutto. Seguiti da 39 tra nipoti e bis-nipoti. Siamo proprio una grande famiglia. Una grande famiglia che non dimenticherà mai la sua nonna.

Viola Ghitti, 2 A Scientifico

 

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Apprezzeremo di più le piccole cose

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Apprezzeremo di più le piccole cose

Nessuno avrebbe mai pensato di dover affrontare una situazione come questa: ci siamo ritrovati nel giro di pochissimo tempo a dover fronteggiare un virus che, apparentemente, era stato sottovalutato da tutti, ma che in realtà ci ha portati in una pandemia mondiale. Nessuno si stava rendendo conto di quello che stava succedendo, si pensava che fosse leggermente più forte rispetto al virus influenzale ma non era così. Quando inizialmente hanno sospeso la scuola per una settimana, sinceramente, eravamo un po’ tutti felici perché ancora non avevamo percepito la gravità della situazione.

L’8 marzo è stato l’ultimo giorno in cui ho visto i miei amici e parenti e sinceramente non me lo aspettavo. Il giorno dopo, quando mia mamma è tornata dal lavoro, mi ha spiegato tutto quello che stava succedendo e che la situazione era davvero grave e non si poteva più uscire di casa; infatti, col passare dei giorni, me ne resi conto molto di più, poiché al telegiornale si sentiva che i casi aumentavano e le vittime purtroppo erano sempre più.

Nell’evolversi questa situazione è diventata grave specialmente quando c’è stato il picco dei contagi che ha riguardato molto tutte le case di riposo: questa situazione mi ha riguardato ma non perché io in particolare abbia avuto il virus, ma perché mia madre lavora in una delle RSA della provincia di Milano.

Inizialmente era davvero una situazione stressante: i dispositivi sanitari erano scarsi e mia mamma tornava dal lavoro stremata per la situazione e la paura di ammalarsi e magari attaccarlo a noi a casa, soprattutto mia nonna che è un soggetto a rischio data l’età avanzata. In un secondo momento la situazione a casa è precipitata, poiché dove lavora mia madre hanno fatto i tamponi a tutti gli ospiti e più della metà era risultata positiva: mia mamma era stata a contatto con la maggior parte di loro. Si viveva in una condizione stressante per tutti, in casa eravamo costretti a mantenere le distanze; io che ero abituata a andare ogni giorno a chiacchierare con mia nonna non lo facevo più, se entravo in casa sua lo facevo solo per portarle delle cose e sempre con la mascherina e standole più lontana possibile.

Fortunatamente qualche settimana dopo si è sistemata un po’ la situazione: mia madre dopo aver fatto una cura di antibiotici ha fatto il tampone che è risultato negativo e quindi ha ricominciato a lavorare, fortunatamente con tutti i presidi. La settimana dopo, tra fine aprile e inizio maggio, la situazione è tornata più o meno alla normalità.
Durante questi due mesi non sono uscita e quindi non ho visto le mie amiche e i miei amici: ci siamo però sempre tenuti in contatto, in particolare con quelli più stretti con cui facevo e faccio tutt’ora videochiamate fino a tardi la sera, quando stacco la testa da quella che è stata la giornata e mi svago parlando, confrontandomi e facendo qualche gioco con loro. Questa cosa mi è servita davvero molto nel periodo più difficile di questa quarantena.

Anche per quanto riguarda la scuola devo dire che nel fare lezione da casa è molto più difficile mantenere una certa concentrazione, sia perché ci sono molte più distrazioni sia perché passare sei ore in camera a fare lezione senza mai poter scambiare qualche chiacchiera con i compagni nei momenti morti è davvero noioso.

Mi manca la scuola, mi manca dovermi alzare presto e tutta addormentata andare a prendere il pullman la mattina, mi mancano i miei compagni, mi manca tutto quello che facevo nella quotidianità.
Sono felice che sia iniziata la fase due, ovvero la ripartenza, anche se secondo me ci potrebbe essere una ricaduta fino a che non ci sarà un vero e proprio vaccino. Finalmente comunque si possono rivedere parenti e amici, sia pure tenendo rigorosamente le distanze e la mascherina, altrimenti tutto il lavoro fatto da medici, infermieri e operatori socio-sanitari andrebbe buttato.

Onestamente non capisco quando le persone dicono che adesso la gente, per timore di una possibile ricaduta o comunque del virus in generale, non uscirà di casa. Secondo me è solo giusto avere un po’ di timore e buon senso, non andare in giro in massa, proprio per evitare una ricaduta.

Quando sono uscita di casa dopo due mesi devo dire che ero parecchio stranita nel vedere tutti con le mascherine: a vederlo solo al telegiornale mi sembrava una cosa così lontana, ma invece adesso è diventata la normalità.

Finita la quarantena penso che impareremo ad apprezzare di più le piccole cose e a non dare più nulla per scontato.

Giorgia Soccio, 1 A Tecnico

 

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Caro diario, ti racconto la quarantena

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Caro diario, ti racconto la quarantena

Mantova, 25 maggio 2020, 13,29

Caro Diario,

oggi ti racconterò della mia vita in quarantena. Non avevo mai vissuto in isolamento ed è bruttissimo rimanere rinchiusi in casa ed essere limitati in ciò che si può fare durante la giornata. Ovviamente ci sono lati positivi e lati negativi, come in tutte le cose. I benefici della quarantena sono tanti. Ad esempio abbiamo avuto più tempo per la nostra famiglia, abbiamo avuto tempo per scoprire chi ci teneva veramente a noi e chi no, ma la cosa più importante è che abbiamo avuto la possibilità di conoscere meglio noi stessi. Soprattutto passioni per qualcosa che non credevamo di possedere.

Tutto è iniziato con la prima diffusione in Cina. Ancora non avevo preso seriamente la questione del virus e la mia vita, fino a quel momento, era normale e semplice. Facevo le mie cose durante la giornata: cui uscire il pomeriggio e sfogarmi col pallone, andare in bici oppure stare in compagnia dei miei amici. Cose normalissime.

Ogni cosa è cambiata quando sono arrivati i primi contagi in Italia. Pensavo fosse un virus normalissimo come l’influenza, fino a quando non ho visto il numero dei decessi aumentare sempre di più. Durante una settimana di febbraio, sono tornato a casa da scuola per il weekend: sembrava andare tutto per il verso giusto, ma la domenica ho scoperto che si stava a casa per una settimana a causa del virus. Ero sbalordito e ovviamente, da studente, felicissimo e gasatissimo perché significava svago totale per me. E così è stato. Quei 7 giorni li ho dedicati completamente al calcio. Dalla mattina alla sera. Era l’unica cosa che avevo in mente in quel momento. A fine settimana, ho scoperto che si stava a casa per un’altra settimana sempre a causa del COVID-19. Ero sempre al settimo cielo e anche quella settimana l’ho dedicata al calcio. Per quelle due settimane tutto il resto è scomparso: per me non esisteva nient’altro che il pallone. Mi sentivo come se fossi in paradiso.

Intanto la situazione del virus peggiorava e i blocchi continuavano. Ovviamente, io e i miei compagni di classe non potevamo rimanere senza scuola e infatti sono iniziate le videolezioni. A me, sinceramente, non faceva né caldo né freddo. Mi andava bene avere le videolezioni. Intanto, ormai non si poteva più uscire di casa per cercare di contenere il numero dei contagi perché aumentavano a dismisura, ma io continuavo a uscire perché comunque non ce la facevo a stare a casa 24 ore su 24. La situazione, a parte per gli infetti e i morti di COVID-19, è rimasta così per un po’ finché non hanno comunicato il lockdown. La vita ha cessato di esistere. Non c’era nessuno fuori da casa. Fino a quel momento, non sapevo cosa significasse concretamente il lockdown. Le aziende sono state chiuse, i campionati sospesi, i servizi secondari fermati. Le uniche cose che rimaste aperte erano i negozi alimentari. Ero scioccato perché non si poteva più uscire. Potevamo farlo solo nei casi più gravi e con le mascherine.

C’è stato il lockdown per più di due mesi e io, in quei due mesi, sono rimasto a casa. Non sapevo più cosa fare durante le giornate. Fare le stesse cose ogni giorno mi stufava ed ero stressato. Ero ansioso di uscire. La quotidianità era ormai monotona. Ho comunque scoperto nuove cose di me stesso. Ad esempio che mi piace scrivere. Ho inoltre dato maggior tempo alla lettura, ho riorganizzato la stanza e ho dedicato più tempo anche alla palestra senza trascurare lo studio.

Il lockdown è finito il 4 maggio e nello stesso giorno è iniziata la fase 2 con un po’ più di libertà d’uscita, anche se vigilata e controllata. A parer mio, non ci sono state grandi differenze tra la fase 1 e la fase 2. È cambiato solo che prima non si poteva uscire e ora, nella fase 2, si può uscire con più frequenza ma la gente comunque anche nella fase 1 usciva.

Fatto sta che il 4 maggio sono uscito dopo due mesi chiuso in casa. Appena uscito, il mondo mi sembrava diverso. L’aria era pulita e, dopo anni, ho visto per la prima volta gli uccelli in piazza. Sembrerà una cosa banale e/o strana, ma non lo è. Era da anni che non sentivamo più i cinguettii nel mio paese. Quel giorno, pensavo uscisse il mondo in strada, ma non è stato così. C’era pochissima gente. Sarà perché la maggior parte della gente è andata in città, a Mantova, oppure sul lago. Invece io sono andato a  fare  un giro sull’argine. Era bellissimo e la natura padroneggiava in tutto. C’era solo il verde. I campi avevano l’erba alta un metro, le mura della chiesa dietro al campino avevano i rampicanti, il parco era chiuso, negozietti chiusi. Il paese era deserto. Silenzio tombale. C’erano solo i suoni della natura. Tutto magnificamente splendido, il mondo. Non era più come prima. Sarà perché uscivo dopo due mesi probabilmente: si tornava alla normalità, ma con una concezione diversa del mondo.

Penso che le persone stiano uscendo più mature dalla quarantena e più responsabili in ciò che fanno. Ovviamente faccio parte anche io di queste persone e credo che comunque ci abbia fatto bene stare chiusi in casa a pensare come sfruttare meglio il tempo disponibile. La questione del virus la stiamo affrontando discretamente bene. Spero che si risolva tutto il più presto possibile e che la prossima pandemia – se proprio dovrà esserci –  possa accadere quando non ci sarò più.

Aaryan Raj Verma, 1 A Tecnico

 

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Dovere a ogni costo? Può valerne la pena

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Dovere a ogni costo? Può valerne la pena

Stavo pensando a una cosa… Non vi siete mai fermati un secondo a pensare, prima di fare una qualunque azione, se fosse davvero la scelta giusta magari rischiare la propria pelle o qualcosa di vostro per raggiungere un obbiettivo? Beh, secondo me questa è una bella domanda.

Vorrei partire però prendendo in considerazione un fatto piuttosto ovvio, ovvero che siamo tutti diversi l’uno dall’altro, ma non tanto dal punto di vista “fisico/esteriore”, quanto per il fatto che ognuno di noi possiede una propria individualità. Difatti la parola individuo definisce una persona umana considerata nella sua singolarità: di conseguenza qualcuno che pensa e agisce in modo diverso dagli altri. Io, giustamente, non posso entrare nella mente degli altri e forzarli a fare qualcosa di pericoloso perché penso sia giusto.

Fatta questa breve introduzione, torniamo a noi. Personalmente prima di avventurarmi a fare qualunque cosa, oltre a fermarmi e a pensare a tutte le possibilità e agli scenari che si potrebbero verificare, prendo in considerazione anche tre variabili molto importanti, e cioè il dispendio energetico che devo usare, la dedizione nel mettere le proprie qualità a disposizione di qualcosa, e per finire la più importante, il sacrificio di qualcosa di particolarmente rilevante per uno scopo nobile come un ideale.

All’inizio potrebbe sembrare che per compiere un processo del genere ci si impieghi molto tempo, ma invece è una questione di pochi secondi, o addirittura millisecondi. Dopotutto, ci ricorda anche Antonia Gravina che  “pensare prima di agire è saggezza, ma agire prima di pensare è rimpianto”, no?

Insomma, per concludere, riprendendo, con la frase riportata sopra dall’autrice ci viene spiegato quanto sia necessario pensare a tutto quello che potrebbe capitarci prima di compiere sciocchezze o semplicemente azioni di cui potremmo pentirci; difatti se una persona si sente in dovere di fare qualcosa di molto importante per sé, è ovvio e normale che compia un sacrificio del genere, e usi tutte le proprie energie a disposizione. Anche se potrebbe risultare pericoloso, lo fa comunque: perché ci tiene, costi quel che costi.

Sull’altra faccia della medaglia, invece, possiamo trovare delle persone che agiscono senza pensare alle conseguenze, e ciò potrebbe causar loro spiacevoli conseguenze, potremmo dire.

Addirittura ci sono delle persone che si rifiutano direttamente di agire a prescindere, perché non vogliono spendere le loro energie in qualcosa di pericoloso o che per loro potrebbe risultare inutile, perché in contrasto con i loro ideali, che dal mio punto di vista sono chiaramente sbagliati, ed è una cosa questa che detesto.

Però come ho detto prima, non ci posso fare nulla. Io, invece, cerco di mettere tutto me stesso nel fare qualunque cosa, anche se sono consapevole del fatto che potrebbe prosciugare completamente tutte le mie energie, con la conseguenza di ritrovarmi ogni volta esaurito completamente.

Non mi importa. Io rimango sempre saldo sui miei ideali, e nessuno può cambiare ciò che penso. Quindi, è giusto andare sempre avanti, anche rischiando, per arrivare in fondo a una qualcosa che ci interessa oppure che ci si presenta di fronte? Sì, lo è sempre per andare avanti ed essere delle persone sempre un po’ migliori.

Francesco La Ferla, 2 A Scientifico

 

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“Dobbiamo avere sogni e poi lottare”

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su “Dobbiamo avere sogni e poi lottare”

Stay hungry, stay foolish”: una frase che avrete di certo già sentito, una frase molto famosa pronunciata da un uomo ambizioso, determinato, intelligente. Steve Jobs. Un uomo formatosi nel proprio garage che è divenuto uno dei più importanti della storia moderna. Con questa frase ha fatto capire al mondo che, anche dopo peripezie, dolori, delusioni, è sempre andato avanti con più forza e determinazione di prima. La celeberrima frase offre uno spunto molto serio, che ci porta a riflettere sull’importanza di gesti e azioni che possono, a primo impatto, anche avere aspetti estremamente negativo.

In primis dobbiamo ovviamente porci degli obiettivi, senza guardare di che tipo (dando per scontato ch’essi siano morali). Ma ciò non basta: bisogna sempre avere fiducia in se stessi, non lasciare che qualcuno irrompa all’interno dei nostri obiettivi.

Voglio fare un excursus e spiegare la differenza tra un sogno e un obiettivo. Un sogno in quanto tale è irraggiungibile e rimane fisso nel pensiero, in un mondo iperuranico, senza trovare alcuna applicazione nella vita reale, quasi come un amore impossibile. Un obiettivo invece è qualcosa che sì, nasce nel mondo iperuranico, ma si realizza nella realtà. Il passaggio dal mondo delle idee e dell’immaginazione a quello reale risulta difficile e bisogna essere determinati e focalizzarsi sull’obiettivo per raggiungerlo.

Ci saranno molti ostacoli che cercheranno di fermare il vostro cammino verso la soddisfazione personale, ma bisogna saper trarre beneficio dalle sconfitte, perché solo così si può realmente imparare. Io personalmente non mi sono ancora posto degli obiettivi fissi nella vita: sono ancora un ragazzo e voglio godermi per questo periodo l’adolescenza che ho davanti.

Questo però non significa che sarò per sempre così, e riconosco di essere molto ambizioso, anche se a uno sguardo superficiale così non sembrerebbe essere.

Credo che si debba seguire il proprio istinto, il proprio cuore, per diventare ciò che si desidera. Non chiedere aiuto per qualcosa che si vuole ottenere, ma costruire e creare un vero e proprio “impero” con le proprie forze.

Michael Symon Jaafar, 2 A Scientifico

 

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Il caso Silvia Romano: un libero sfogo

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Il caso Silvia Romano: un libero sfogo

Sapete quanti sono 563 giorni? Io no. Non riesco neanche a immaginare 563 giorni tutti insieme. Tutti uguali. Diciotto mesi in cui ogni giorno corrisponde a quello precedente. Certo, forse Silvia Romano, la volontaria tornata in libertà pochi giorni fa, un giorno si spostava e l’altro no. Ma di prigioni ne ha viste sei: sapete quanto fa 563 diviso 6? Significa che lei ha avuto un giorno differente dagli altri ogni 93, circa 3 mesi. Cosa significano, per noi, 3 mesi? Vogliamo raccontarlo? Bene, allora facciamolo.

Cosa ho fatto io negli ultimi 3 mesi? Oggi è l’11 maggio, 3 mesi fa era l’11 febbraio: il 14 sono uscita a mangiare la pizza. Il 21 sono stata a un pigiama party. Il weekend di Carnevale sono stata a Trieste con un amico. Sono stata da una mia amica il giorno del suo compleanno. Ho visto le cugine che non vedevo dal 5 ottobre. Quanto tempo era? Esattamente 5 mesi e 2 giorni. Neanche un terzo di 18. Nei restanti giorni (passati a casa) non sono sicuramente stata con le mani in mano: uscivo in giardino, giocavo con la mia sorellina, aiutavo mio fratello a studiare, guardavo film, serie tv, leggevo, prendevo il sole (solo un poco), dormivo, studiavo.

E lei, invece, che ha fatto negli ultimi 3 mesi? Vogliamo provare ad immaginare? Ha letto, mangiato, dormito? Voglio sperare che non abbia subito violenze di nessun tipo. Che non sia stata maltrattata. Malnutrita.

E, invece, voi che state lì a criticarla per quello che ha fatto, come avete passato gli ultimi 90 giorni? Vi siete annoiati nella vostra casetta quasi sicuramente più grande del doppio della sua? Oh, cucciolotti, non siete potuti uscire? Mannaggia a questo governo, che tiene alla nostra salute! Mannaggia a questo virus che non ha permesso di uscire tutte le mattine a bere il caffè con le amiche per spettegolare sulla vita altrui. Mannaggia a questo virus che non ha permesso di uscire a mangiare la pizza. Come farete ora? Caspiterina, potrete risparmiare. Eh, oddio, come farete senza quello shopping frenetico in cui affondate ogni vostra tristezza? Accipicchia! Niente più vestiti da buttare perché quelli nuovi sono troppi e gli armadi sono troppo piccoli. Cari amici, vi è proprio andata male.

Voi che non fate che lamentarvi dello Stato che ha pagato il suo riscatto, quando se fosse accaduto ai vostri, di figli, avreste voluto che lo stato ne pagasse anche 10, di milioni. Ma certo, voi questi problemi non li avrete: i vostri figli non andranno mai in Africa ad aiutare chi non ha niente. Come possono i figli di persone come voi (che quando bisogna mostrare che vi stanno a cuore i bambini del Terzo Mondo sono i primi a parlare, ma che quando bisogna davvero agire se ne stanno muti) partire per un continente sconosciuto per salvare, letteralmente, il mondo?

Voi che dite “loro non hanno niente”, ma che non contribuite in nessun modo a rimediare. Lei, invece, voleva aiutarli. Dopo essersi laureata non ha pensato a come cercare un lavoro che la rendesse ricca. Lei è voluta partire. Andare. Dare, magari, un senso alla sua vita. Sapendo di fare qualcosa per l’umanità, per il prossimo. E voi la criticate?

“Meritava di essere lasciata giù”, ho sentito dire da qualcuno. Ma fatemi capire, per favore, perché qui mi sfugge qualcosa. Se voi andate in vacanze in Kenya e vi rapiscono, non meritate di essere salvati? Perché, se è così, va bene. Quando però toccherà a voi (e spero non sarà così, ma nella vita non si può mai sapere) non contate che qualcuno vi venga a salvare.

Non siete voi quelli che scrivono in ogni dove “verità per Giulio Regeni”? Voi che fate tanto i giustizieri per i morti, ma che quando si tratta di salvare i vivi ve ne lavate le mani? Cosa siamo a fare, allora, uno Stato, se quando un cittadino è in difficoltà lo si abbandona? Però ripeto, potrei mettere la mano sul fuoco che se toccasse a voi vorreste che fossero mobilitate tutte le agenzie di intelligence esistenti, pur di scamparla. Fatemi capire, voi o i vostri familiari avreste 4 milioni da dare ai sequestratori? Magari qualcuno sì, ma solo pochi.

Voi che vi lamentate tanto del mal di schiena. Ma pensate alla sua, di schiena. A quella povera ragazza costretta a dormire 563 notti sul cemento. È un lusso, il vostro materasso memory. Vi turba che si sia convertita all’Islam? Se è così siete proprio ignoranti. Irrispettosi. Maleducati. Ognuno ha il diritto di credere quello che vuole. Come io non vi giudico perché voi siete cristiani, atei, buddisti o che so, voi non dovete permettervi di apostrofare qualcuno che non la pensa come voi.

Potete non condividere le sue scelte, non saremmo esseri umani se non fosse così. Il rispetto, però, quello non va dimenticato. Si è convertita all’Islam? Pace e amen. Fine. Fatti suoi, mica vostri.

Vi turba che lo Stato abbia usato i vostri risparmi per il riscatto? Cosa succederà ora? Aumenterà il debito pubblico per questo? Ma se siete voi i primi che imbrogliate lo Stato, cercando tutti i modi possibili per versare meno tasse. Se siete voi quelli delle fatture false. Quelli che vivono nella bella villetta con un giardino di 8 ettari e la piscina di 2, pagata con soldi sporchi?

Sapete cosa vi dico? Ma statteve zitti!

Viola Ghitti, 2 A Scientifico

 

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La semplicità del non avere. Pensiamoci

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su La semplicità del non avere. Pensiamoci

La felicità si compra oggi giorno: una banconota in tasca renderebbe qualsiasi uomo lieto perché il denaro è divenuto con il passare del tempo sinonimo di felicità. Amore, famiglia, intelligenza e speranze non hanno più alcun valore e per questo sono considerati futili, inutili alla formazione dell’individuo.

Nel corso della storia si è passati da una rivoluzione antropocentrica copernicana (Rinascimento) fino a una fase in cui la scienza dominava il mondo (Positivismo). Ora la fase terminale pone al centro il denaro, capace di comprare tutto fuorché quegli oggetti e quei valori che non riesce a prendere sotto il proprio dominio. Le estremità si toccano, ma come raggiungere allora la felicità che non si compra? Liberandosi da tutto ciò che è inutile all’essenza umana per vivere in armonia con se stessi.

La felicità comprata è rimpiazzabile e corruttibile dal tempo, quella invece nata da relazioni interpersonali è incorruttibile e raramente si esaurisce nel tempo. Certo, i beni materiali possono renderci felici temporaneamente, ma è necessario non basare la propria gioia solamente su quella felicità effimera.

Questo periodo di quarantena mi ha permesso di leggere un libro particolare, intitolato “Un nuovo mondo” di Eckhart Tolle: è stato il primo libro di crescita personale che ho letto. I suoi capitoli mi hanno svegliato dall’irrealtà che sto vivendo. Meglio dire: che stiamo vivendo. Il volume spiega i nostri comportamenti, le nostre reazioni, e analizza il ruolo dell’ego in tutto ciò. La frase che più colpisce il lettore, secondo me, aprendo in lui un nuovo mondo, recita: “L’Ego tende ad equiparare l’avere con l’essere: io ho, dunque io sono. E più ho, più sono. L’Ego vive attraverso il paragone, il modo in cui vi vedono gli altri diventa il modo in cui vedete voi stessi. Se ognuno vivesse in un palazzo e fosse ricco, il vostro palazzo o la vostra ricchezza non vi servirebbero ad accrescere il vostro senso del sé. In quel caso vi potreste trasferire in una semplice capanna, dare via la vostra ricchezza e riconquistare un’identità considerandovi e venendo considerati più spirituali degli altri. Come siete visti dagli altri diventa lo specchio che vi dice come siete e chi siete”.

In questo periodo di sospensione credo che dovremmo tutti fermarci a riflettere, anche solo per un minuto, su ciò che la vita ci ha donato e che noi, abbagliati dal mito del soldo, non siamo stati in grado di percepire e interiorizzare. Saresti felice nell’avere solo quello di cui hai davvero bisogno nella vita? Pensiamoci.

Michael Symon Jaafar, 2 A Scientifico

 

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Tutelare la vita è valore universale

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su Tutelare la vita è valore universale

Quando una legge è ingiusta, è corretto metterla in discussione o violarla? Da questa domanda nasce una riflessione sul tema della responsabilità. Le leggi andrebbero sempre rispettate, non solo perché se non si rispettano si incorre in sanzioni, ma perché, se siamo cittadini corretti, dobbiamo capire che le leggi vengono scritte per il bene comune, per l’ordine e la giustizia del nostro Paese. Oggi siamo fortunati a vivere in un Paese civile, dove le leggi vengono scritte tenendo conto del valore della vita e della dignità della persona umana. E rispettare queste leggi non solo è giusto, ma anche moralmente corretto.

Purtroppo nella storia non sempre sono state scritte leggi che rispettavano questi valori: per esempio al tempo del Nazismo sono state emanate leggi tremende e chi le ha messe in pratica si è giustificato dicendo che stava solo “rispettando la legge”. In questo caso sarebbe stato giusto mettere al primo posto la loro coscienza e responsabilità verso la vita umana.

In altri casi le leggi non sono state rispettate perché le persone hanno sostenuto che, secondo il loro parere, non erano giuste. Ma questa non è una valida giustificazione, perché altrimenti ognuno farebbe ciò che vuole, in base al suo modo di vedere le cose.

In generale le leggi non possono accontentare tutti, specie quelle riferite a cose, beni, perché scritte in base all’epoca e alla cultura in cui vengono pensate. Tutte le altre, cioè quelle che tutelano, preservano e danno valore alla vita e alla dignità delle persone, dovrebbero essere non solo leggi universali, cioè adottate in tutti i Paesi del mondo, ma dovrebbero essere sempre rispettate. Le leggi morali vanno sempre rispettate e, dove non sono tutelate le persone e la loro dignità, secondo me è giusto disobbedire. In questo caso è giusto ribellarsi a quelle leggi perché è un gesto che si fa in buona fede per porre l’attenzione su un problema: la cosa importante è che la violazione della legge non crei danni alle persone o ai beni, altrimenti a sua volta diverrebbe ingiusta.

Lorenzo Cerretti, 1 A Tecnico

 

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La paura? Può creare problemi. O salvare

Posted by admin On Settembre - 7 - 2020 Commenti disabilitati su La paura? Può creare problemi. O salvare

La paura è un’emozione che può essere positiva o negativa e la provano sia gli esseri umani che animali. La paura positiva a volte può essere un bene, in quanto fa capire  quale sia il limite da non superare per non subire a volte gravi conseguenze: ad esempio se ci trovassimo in un luogo buio e deserto, dove regna la delinquenza, non staremmo molto tranquilli e inizieremmo a camminare a passo sostenuto per paura di incontrare pericoli e quindi rischiare la nostra vita; invece per gli animali potremmo immaginare una gazzella con un leone: quest’ultimo ovviamente vorrebbe cibarsi della gazzella, ma essa, avendo paura, inizierebbe a correre per tentare di fuggire dalle sue fauci. Ma se noi e lei non avessimo avuto paura, avremmo corso dei rischi, il leone l’avrebbe divorata senza la minima difficoltà. Altre volte invece le paure sono negative, nel senso che creano difficoltà, come la paura del buio, della morte, di soffrire, dei ragni, degli spazi piccoli, dei topi e tantissime altre. Alcune di queste paure sono irrazionali e vengono chiamate “fobie”.

Un’altra paura molto frequente al giorno d’oggi è quella sociale, che consiste nel non accettare come si è e voler somigliare sempre più a personaggi che vediamo sui social network (tv, giornali e altro). Questa paura è decisamente la più illogica e a volte pericolosa, in quanto non permette alle persone (soprattutto giovani, ma anche adulti) di dimostrare la propria personalità e carattere.

Davide Giovanzana, 1 A Tecnico

 

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