Saturday, November 1, 2025

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Diplomi 2019, premi e svago

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Diplomi 2019, premi e svago

La consegna dei diplomi al teatro Creberg è ormai diventata una consuetudine per noi studenti dell’Istituto Aeronautico Locatelli. Un appuntamento fisso a cui nessuno può e vuole mancare. Quest’anno, a differenza degli anni scorsi, la cerimonia si è tenuta il sabato sera, invece della domenica mattina: precisamente sabato 26 ottobre. Eravamo tutti agitati: dovevamo essere impeccabili, perché non si trattava di una serata come le altre: era l’evento scolastico  più importante a cui avremmo partecipato. Sì, perché è sempre molto atteso, soprattutto dai ragazzi che hanno finito la quinta l’anno prima. Si tratta di un modo per rivedere i professori, salutare i vecchi amici e premiare l’impegno dei cinque anni passati.

I presentatori sono stati quelli di sempre: Vanni Scacco, il professore di Circolazione e Logistica, e Maria Teresa Ruta, la famosa conduttrice televisiva che, lo scorso anno, ha partecipato al programma “Pechino Express” risultando vincitrice.

Il primo a salire sul palco è stato un cantante molto giovane, che ha intrattenuto il pubblico con due canzoni: “Nonno Hollywood”, che Enrico Nigiotti ha portato allo scorso festival di Sanremo, e “Piccola Anima”, che ha cantato Ermal Meta affiancato da Elisa. Dopodiché sono saliti sul palco i “primini”, a cui, come da tradizione, sono state consegnate le spalline o, come sono più comunemente chiamate, i gradi. Si tratta dell’unica distinzione che un ragazzo di quinta ha da uno di prima: con l’aumentare delle classi, aumentano anche i gradi fino ad avere, in quinta, due “binari” e tre stelle, mentre in prima si ha solo un “binario”. Quest’anno, a differenza degli anni passati, a consegnare i gradi sono stati i ragazzi che quest’estate hanno sostenuto l’esame di maturità e che quindi avrebbero, in seguito, ricevuto il diploma.

Qualche giorno prima era stato il compleanno del nostro preside, Giuseppe Di Giminiani, a cui avevamo fatto gli auguri tutti insieme in segreteria, e quella sera è stata l’occasione per i ragazzi della nuova scuola media, inaugurata quest’anno, di consegnargli un regalo fatto con le loro mani. Alla salita sul palco del preside si è tenuto il consueto applauso, che è durato qualche minuto. Vista la sua presenza sul palco, il professor Scacco ha approfittato dell’occasione per leggere una lettera scritta dalla mamma di uno studente diplomatosi l’anno scorso, nella quale ringraziava il preside per l’affetto, il sostegno e gli insegnamenti dati a suo figlio. Perché, come diceva la lettera, la nostra non è solo una scuola, “è una scuola di vita, nella quale si migliora e si cresce”.

La serata è stata anche l’occasione per riconoscere il merito del professore di fisica, il professor Ferdinando Catalano, e di alcuni suoi studenti per essersi qualificati secondi al concorso “Lombardia è ricerca”, promosso dalla Regione per di premiare gli studenti che si impegnano e soprattutto costruiscono oggetti che possono avere un uso abituale. Perciò è stato proiettato il video dell’esperimento, in modo che anche i genitori e chi non l’avesse visto in precedenza potesse vederlo.

Durante la serata si sono esibite le ballerine e i ballerini del nostro liceo coreutico  in un balletto di danza classica e, a metà serata, in uno di danza contemporanea. La loro bravura e la loro perfezione ha stupito i presenti che sono rimasti incantati. Poi è iniziata la tanto attesa consegna dei diplomi. Per prima cosa sono saliti sul palco i ragazzi della vecchia quinta A liceo e i loro compagni ballerini. Alla premiazione era assente Beatrice Limonta, una studentessa che quest’estate è stata presa nella compagnia di ballo del Friedrichstadt-Palast di Berlino e quindi è stata l’occasione per complimentarsi con i genitori e ricordare la sua bravura e determinazione. È poi salita sul palco la quinta B liceo e tra i professori che hanno consegnato il diploma ai ragazzi c’era anche Simone Manigrasso, un atleta paralimpico che detiene il record italiano sui 60 e i 200 metri. Ha parlato di come abbia perso una gamba, nonostante quando è salito sul palco nessuno avrebbe detto che portasse una protesi, e come oggi partecipi ai mondiali di corsa e faccia parte delle Fiamme Gialle. Lui deve essere un esempio di come non ci si deve mai arrendere, neanche di fronte alle difficoltà che sembrano, in qualche modo, invalicabili. È stata anche l’occasione per consegnare ad alcuni ragazzi di terza i brevetti di volo che hanno conseguito quest’estate a Grottammare.

Alla serata era presente anche Neri Meri, una cantante molto particolare che si è esibita in qualche canzone. Durante la serata ci sono stati numerosi ospiti, tra cui qualche comico di Zelig, che ha fatto ridere tutto il palazzetto. Dopodiché è salita sul palco la quinta A Tecnico, seguita dalla sezione B. In questa circostanza è stato premiato un ragazzo della B, Matteo Bramati, come miglior studente dell’anno e con cui tutti si sono complimentati per la dedizione, l’impegno e la determinazione. Dopo la premiazione dell’ultima classe, la quinta C, la serata si è conclusa, con l’invito al prossimo anno.

Viola Ghitti, 2 A Scientifico

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Bea: da Bergamo a Berlino

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Bea: da Bergamo a Berlino

Beatrice Limonta si è diplomata la scorsa estate al Liceo Coreutico Locatelli: nemmeno il tempo di assaporare il traguardo, che ne ha subito conquistato un altro, e di spessore europeo: un lavoro come ballerina professionista, a 19 anni appena compiuti, al Friedrichstadt-Palast di Berlino, uno dei più prestigiosi teatri europei, per il Vivid Show. Originaria di Treviolo, dove ancora abitano i suoi genitori, si racconta così.

Da Bergamo a Berlino in appena cinque anni: te lo aspettavi un salto così?

Sinceramente non me lo sarei mai aspettata, soprattutto in una compagnia, un teatro così grande e importante. Speravo di poter entrare magari in qualche compagnia piccola come tirocinante, ma sapevo già che poteva essere dura. Quindi è stata davvero un’enorme gioia per me e per tutte le persone che mi hanno sempre sostenuta essere chiamata per un’audizione prima e il contratto poi a Berlino.

Era il tuo sogno fin dall’inizio diventare una ballerina di professione oppure è nato strada facendo?

Fin da piccola ho avuto le idee chiare, ma  ovviamente tutto si è poi maturato e consolidato con gli anni: ho capito su cosa lavorare, in che ambito indirizzarmi. Ma una cosa è sempre stata chiara: io volevo ballare a ogni costo.

Quali sono state le maggiori difficoltà?

Durante il mio percorso ho dovuto superare vari ostacoli, ma non mi sono mai arresa. Mi sono sempre risollevata perché se mi prefiggo un obbiettivo io lo devo raggiungere. Ho sempre lavorato tanto per ottenere ciò che ho, non ho mai avuto doti naturali, nulla mi è stato regalato. Ci sono stati momenti difficili in cui non credevo in me e vedevo sempre gli altri migliori, senza riuscire a capire cosa succedeva e cosa dovevo fare. Ma anche questo è stato un momento assolutamente di crescita che mi ha fatto lavorare su molti aspetti di me, sia fisici che psicologici.

Ci racconti un po’ il tuo percorso?

Essenzialmente ho sempre lavorato tanto, mi sono sempre impegnata al massimo, ho studiato molto all’estero senza limitarmi a un solo stile, cioè solamente alla danza classica. Mi è sempre piaciuto sperimentare e imbattermi in cose nuove, e ciò mi ha aiutata molto. Nella danza fondamentale è, come dice anche la professoressa Elena De Laurentiis, “avere la testa”, essere sempre molto concentrati, rapidi, avere una mente  – se si può dire – forte e determinata.

La tua giornata tipo?

La mattina inizio alle 10 con la lezione di classico che solitamente dura un’ora: dipende anche se durante la settimana ci sono workshop; successivamente seguono due ore di prove sul palco o in sala delle varie coreografie. Alle 18,30 bisogna essere nuovamente in teatro per trucco e parrucco, e lo show inizia alle 19,30: dura all’incirca fino alle 22 ed è tutti i giorni con sabato doppio spettacolo, la domenica lo diventerà invece a dicembre. Lunedì abbiamo il giorno libero.

Ora vivi a Berlino: non ti mancano l’Italia e la tua casa? 

Le prime settimane sentivo un po’ la mancanza, soprattutto perché ero completamente sola, non conoscevo nessuno; era tutto nuovo per me. Ma mi sono abituata subito e ora mi trovo davvero bene: Berlino mi piace molto, anche se ovviamente ogni tanto sento la mancanza degli affetti di casa, degli amici.

Quanto è cambiata la tua vita? E come?

Sicuramente è cambiata molto in tutti gli aspetti perché dalla scuola sono passata subito a lavorare, a casa sono sola, non ho nessuno ad esempio che mi prepari da mangiare o sbrighi le faccende domestiche. È cambiata in vari aspetti quindi, ma tutto ciò non mi pesa o mi turba per niente perché sono felice e contenta del percorso che sto facendo

Hai qualche rimpianto?

No, nessuno, perché ho cercato di dare sempre tutta me stessa in qualsiasi cosa facessi, perciò non rimpiango niente del mio percorso.

Cosa o chi ha contribuito maggiormente a farti conquistare questo risultato? 

Sicuramente le insegnanti Elena de Laurentiis, Veronica Cionni e Marta Ottolenghi che hanno sempre creduto molto in me e mi hanno spronata  a migliorare sempre di più. Mi hanno aiutata a crescere anche le lezioni con Carla Fracci, perché mi ha sempre seguita personalmente e poi, non meno importanti, la mia famiglia e i miei amici che mi hanno sempre supportata, in qualsiasi momento.

Un messaggio per le ballerine del nostro Coreutico?

Un consiglio è quello di cercare di dare sempre il massimo, impegnarsi in più stili senza rimanere nella propria “comfort zone”, seguire i consigli delle insegnanti e cercare davvero di dare il meglio di sé ogni volta, poiché anche nel caso in cui qualcosa vada male si è comunque tranquilli con se stessi, felici, perché si è sicuri di aver dato tutto se stessi senza avere rimpianti.

 

 

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In Regione, premiati tra i “grandi”

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su In Regione, premiati tra i “grandi”

“I secondi classificati sono i ragazzi dell’Istituto Aeronautico Locatelli di Bergamo, con un dissipatore di nebbia”, annuncia Alessia Ventura dal Teatro alla Scala di Milano chiamando sul palco alcuni ragazzi della nostra scuola che, con l’aiuto del professor Ferdinando Catalano, hanno realizzato questo progetto che è arrivato secondo al progetto “Lombardia è ricerca”. Si tratta di un concorso che la regione Lombardia propone da ormai tre anni e che ha come obiettivo premiare i ragazzi e le loro innovazioni. Il premio erano 45 mila euro, da dividere tra i tre vincitori. La nostra scuola ne ha ricevuti 15 mila. A premiare i nostri giovani scienziati Giacomo Poretti, del trio comico Aldo, Giovanni e Giacomo.

Gerry Scotti, il famoso conduttore televisivo, che l’anno scorso è stato nominato Ambasciatore della Ricerca, ha donato 5 mila euro a tre persone che riteneva fossero fondamentali per la ricerca: si tratta dei genitori di un bambino affetto dalla sindrome di Down che hanno fondato un’associazione che lotta per migliorare la ricerca scientifica al fine di dare maggiore autonomia alle persone malate; un giovane liutaio perché continui a guardare al futuro pensando al passato, dato che si tratta di uno strumento molto antico; e infine a una classe che, dopo aver vinto i campionati nazionali di Robocup con i robot da loro costruiti, aveva la possibilità di partecipare alla sfida mondiale di robotica a Sydney. Il costo della gita, però, era troppo elevato, così Gerry ha voluto dare un contributo a questi ragazzi.

La premiazione, presenti il presidente Attilio Fontana, il suo vice Fabrizio Sala e l’assessore regionale Melania Rizzoli, si è svolta l’8 novembre, durante la giornata della ricerca dedicata a Umberto Veronesi, il ricercatore e oncologo venuto a mancare tre anni fa. A inizio mattinata è salito sul palco Raphael Gualazzi, cantante che ha esordito nel 2011 vincendo nella categoria giovani. Dopo aver incantato il pubblico con una sua canzone, ha suonato il piano a fianco di Edoardo Zosi, violinista che fa parte del celebre “Quartetto Adorno”. Tra gli altri, è salito sul palco anche Stefano Mancuso, professore di neurobiologia che ha studiato e analizza tuttora l’intelligenza delle piante.

Un altro personaggio famoso che abbiamo avuto la fortuna di vedere è Salvatore Aranzulla, l’informatico a cui si fa riferimento quando si ha un problema con il computer o dispositivo elettronico. Lui ha parlato di come un ragazzo proveniente da un paesino sperduto nel centro della Sicilia, sia diventato il proprietario di uno dei siti più visitati in Italia.

Nella stessa serata c’è stata la premiazione anche del concorso “Lombardia è ricerca internazionale”, che premia i ricercatori migliori con un premio di un milione di euro da usare per le loro ricerche: quest’anno il vincitore è stato Guido Kroemer, ricercatore francese che sostiene che la restrizione calorica è un fattore chiave per la longevità. In questa occasione, perciò, la nostra scuola è stata in qualche modo comparata a un grande scienziato e forse, chi lo sa, qualcuno di noi lo diventerà veramente.

Viola Ghitti, 2 A Scientifico

 

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Storia di una “storia”

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Storia di una “storia”

Pochi mesi fa il nostro Istituto è arrivato secondo a un prestigioso concorso nazionale organizzato dall’Accademia dell’Arcadia, dall’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea e dall’Istituto di storia dell’Europa mediterranea del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Prevedeva la realizzazione di un romanzo storico di piccole dimensioni, vi era un’ampia libertà di scelta a proposito dell’argomento, della trama, della struttura e dello stile. D’altro canto però, poneva vincoli di spazio, tempo, tipologia testuale e coerenza. Artefici di questo successo sono stati due alunni della allora 5B scientifico, Riccardo Bernocchi e Giulio Cavagna, seguiti dal prof. Alessandro Lanfranchi.

Il loro romanzo, intitolato “Nota del IX-X agosto 1573”, racconta in prima persona le vicende immaginarie (ma verosimili) di un mercante tedesco tra il 9 e il 10 agosto 1573 a Cremona. L’uomo è spettatore della scomunica di un frate accusato di eresia, Gio. Battista Gaudenzio Ferrarese, e della sua condanna al rogo. Con lo sfondo di questo fatto, realmente accaduto e documentato in un testo del 1588 di Ludovico Cavitelli, il mercante si trova  braccato dalle spie dell’Inquisizione per le sue origini tedesche, e che lo porteranno a fuggire dalla città per evitare la cattura.

Il 21 maggio 2019, nella suggestiva Biblioteca Angelica a Roma, sede dell’Accademia dell’Arcadia, si è tenuta la premiazione a cui i nostri ragazzi non potevano mancare. Il romanzo, di cui una parte è stata letta, con molta abilità, durante la cerimonia, è stato premiato per l’approfondita e accurata ricerca storica, per l’abilità nell’aver intrecciato le vicende di personaggi realmente esistiti a quelle di figure di invenzione, e per l’aver reso il tutto verosimile attraverso un attento uso del linguaggio dell’epoca, andando anche alla ricerca di termini contemporanei alle vicende.

Camilla Shnitsar, 3 A Scientifico

 

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Grottammare: insegnamenti e amicizie

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Grottammare: insegnamenti e amicizie

Cara mamma, ho appena concluso un viaggio a Grottammare alla scoperta della mia nuova scuola, l’Istituto Aeronautico Locatelli, e dei miei compagni: un viaggio di sette ore e ventidue ragazzi e ragazze, praticamente sconosciuti. Ho iniziato pian piano a fare amicizia, riuscendo a conoscere quasi tutti, ma sei tra loro sono stati davvero importanti.

Non posso lamentarmi di nulla: la compagnia, le amicizie, i giri in città e tutto il resto. Sono stati davvero bei momenti, quelli che ho trascorso in tutta la settimana di durata.

A ognuno di noi è stato assegnato un soprannome: Contadino, Gorgonzola, Minatore, Fenomeno… Il mio è stato Roger, per il semplice motivo che gioco a tennis.

Da questa settimana ho tratto diversi insegnamenti, ma soprattutto nuove amicizie. Non avrei mai pensato che in così pochi giorni sarei stata capace di affezionarmi tanto a persone prima sconosciute. Con le sei di cui ti dicevo prima, in particolare, ho condiviso appieno questi giorni: ridendo, scherzando e facendo battute.

I giorni al mare penso siano stati i migliori: appena arrivati ci si buttava in acqua. Dopo diverse punture di medusa ci si decideva a uscire a mangiare un gelato, per poi divertirsi, dialogando. Non mi pento di aver scelto questa scuola, nonostante sia seria e impegnativa. Durante le pause ci siamo divertiti anche con poco, e spesso abbiamo dormito.

Il mercoledì siamo andati a volare: uno alla volta siamo saliti su un aereo, per fare un breve giro di alcuni minuti. All’inizio non volevo andarci, per paura: un po’ perché stare negli spazi angusti non è il mio forte, ma anche perché soffro leggermente di vertigini. Una volta a bordo invece tutto era splendido.

Il primo bagno invece l’abbiamo fatto il lunedì. Io sono entrata in pantaloncini e la cosa non mi è dispiaciuta per niente. Il secondo giorno di mare è stato il migliore: le onde ci separavano e noi ci divertivamo a saltarle e, soprattutto, a prenderle in pieno. Quello stesso giorno abbiamo fatto la prima passeggiata tra di noi, in tranquillità.

Tutto bello, escludendo il piede che mi sono tagliata sugli scogli. L’esperienza che ho vissuto è stata una delle migliori della mia vita e spero di avere l’occasione di riviverla.

Questo pomeriggio si riparte verso Bergamo: altre sei ore da trascorrere un po’ dormendo e un po’ parlando. In valigia, oltre ai vestiti, adesso porto con me diversi insegnamenti e nuove amicizie: pesa un po’ di più, ma ne è valsa certo la pena.

Viviana Romina Lupascu, 1 A Tecnico

Cara Alice, questa settimana, come già saprai, sono stata a Grottammare con la mia nuova scuola, l’Istituto Aeronautico Locatelli. Prima di partire ero un po’ agitata, perché avevo timore che non ci fossero ragazze, e avevo anche paura soprattutto di non riuscire a fare conoscenza con i ragazzi presenti quella settimana.

Fortunatamente è andata diversamente: ho conosciuto nuove persone e ho iniziato a “legarci” molto. Naturalmente ci sono stati compagni con cui ho stretto amicizia più facilmente e altri con cui magari ho legato un po’ meno. Però è stata una bellissima settimana, durante la quale mi sono divertita moltissimo, anche se la mattina era un po’ difficile svegliarsi alle 8, perché la sera andavamo a letto tardi.

Durante la settimana abbiamo fatto vari test, tra cui quelli di matematica, di italiano e di inglese; siamo anche andati tutti i giorni al mare, una delle cose più belle, e siamo usciti tutte le sere.

È stato molto divertente andare al mare, perché era spesso molto mosso e come dei bambini ci divertivamo a farci trasportare dalle onde. La sera siamo andati varie volte in gruppo in un bar sulla spiaggia, dove abbiamo avuto occasione di conoscerci meglio.

L’esperienza senza dubbio migliore è stata però quella del primo volo. Durante una mattina, abbiamo raggiunto una località al confine tra le Marche e l’Abruzzo, dove c’è una piccola base di volo, dalla quale partivano due ultraleggeri sui quali, a turno, siamo saliti e abbiamo fatto ognuno un volo di circa 5 minuti. Prima di salire a bordo avevo un po’ di ansia, perché non ero mai salita su un aereo così piccolo. Mentre ero sul velivolo mi sono tranquillizzata, e il pilota mi ha perfino chiesto se volessi pilotare io. È stata un’esperienza davvero indimenticabile e speciale.

La vacanza è stata anche divertente grazie agli animatori presenti, perché hanno cercato di farci conoscere e divertire il più possibile. È stata una settimana magnifica, molto divertente e mi sarebbe piaciuto restare di più: devo ringraziare tutte le persone che hanno preso parte a questa vacanza e che l’hanno  resa meravigliosa e indimenticabile. Ti abbraccio.

Giorgia Soccio, 1 A Tecnico

 

 

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Erdogan, scacco all’Europa

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Erdogan, scacco all’Europa

Se non avete mai sentito parlare di curdi, allora, è il momento giusto per saperne qualcosa di più. Il Kurdistan, è una regione del Medio Oriente situata a cavallo tra Iran, Iraq, Siria e Turchia, per lo più montagnosa e che, da secoli ormai, funge da culla all’etnia curda, popolazione composta dai 35 ai 40 milioni di individui. Il popolo curdo è per lo più di religione mussulmana sunnita e forma una comunità unita da etnia, cultura e lingua: nonostante ciò ogni gruppo nazionale si distingue per priorità e alleanze. Ad esempio i curdi siriani, turchi e iracheni hanno combattuto insieme contro l’ISIS tra il 2016 e il 2017, mentre i curdi iraniani hanno solo da poco ottenuto il controllo sulla regione che abitano, il Rojava.

Insieme lottano però per il riconoscimento di un proprio stato, atteso sin dalla fine della prima guerra mondiale con il trattato di Sèveres, siglato nel 1920, che prevedeva la formazione appunto di uno stato curdo, il Kurdistan. A soli tre anni di distanza, però, con il trattato di Losanna, il tutto venne cancellato. Iniziarono così per questo popolo una serie di persecuzioni da parte di Iran, Iraq e Turchia.

Partendo da queste informazioni, fondamentali per capire ciò di cui stiamo parlando, posso iniziare a spiegare voi chi è Erdogan e il perché di certe sue decisioni.

Mercoledì 9 ottobre 2019 il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato l’inizio dell’operazione militare denominata “fonte di pace” contro i combattenti curdi nel nord-est della Siria. Lo scopo di Erdogan è quello di creare una “zona cuscinetto” proprio in quest’area; le forze armate turche, con l’ausilio dell’esercito siriano, agevolate dalla decisione di Donald Trump di ritirare le truppe americane presenti nella zona, stanno bombardando le milizie dell’YPG (unità combattenti di protezione popolare curde) considerate, tra l’altro, un gruppo terroristico dalla maggior parte delle nazioni occidentali, alla stregua del PKK, i paramilitari che da decenni si battono in territorio turco per il riconoscimento dei diritti del popolo curdo. L’avanzata militare di Erdogan punta quindi ad allontanare le milizie curde dal confine, e secondariamente a trasferire due milioni di rifugiati siriani, attualmente in Turchia. Questo trasferimento comporterebbe però un superamento di oltre 30 km della “safe zone” (zona cuscinetto) stipulata con gli americani, con tutto il peso dell’incognita che aleggia sulle intenzioni espansionistiche di Erdogan.

Gli Stati Uniti avevano  affiancato è finanziato le YPG curde nella lotta contro il popolo islamico (ISIS); avevano inoltre convinto i curdi ad abbandonare alcune zone a favore della Turchia in cambio di protezione, almeno sino alla decisione recente di ritirare le proprie truppe dal nord-est siriano. Ecco che così, i curdi, affranti dal tradimento e dalla fine del rapporto con gli USA, si ritrovano vulnerabili e sotto attacco.

Erdogan, sotto i riflettori, tiene ai ferri corti anche l’intera comunità europea ribadendo la minaccia del 2016 di far saltare i patti sulla gestione dei rifugiati e, quindi, di lasciar passare 3,6 milioni di migranti verso la UE se questa non dovesse permettergli di creare la “zona cuscinetto”. La mossa del presidente turco obbliga tutti a stare a guardare mentre le milizie curde vengono massacrate in Siria.

L’eliminazione delle forze YPG in Siria potrebbe provocare la rinascita  dell’ISIS nella zona.

Tutti, e dico veramente tutti noi, siamo nel bel mezzo di una partita a scacchi dove quello che sta per mangiare la regina è Erdogan: lui ha le giuste carte in mano, una buona dose di ambizione e, evidentemente, discreti vantaggi economico-politici. Abbandonati dallo stesso Occidente, che tanto li ha stimati e supportati negli ultimi anni, traditi e sotto attacco, i curdi sono inermi. A noi resta decidere da che parte schierarci: sono tante le dichiarazioni di condanna e sdegno (inclusa la mia) provenienti dal quadro europeo, ma di fatti concreti all’orizzonte non se ne vedono.

In salvataggio arriva la posizione italiana, dall’alto rappresentante per la politica estera dell’UE, Federica Mogherini: “La nostra posizione sull’intervento militare che la Turchia sta intraprendendo nel nord-est della Siria è chiara. Chiediamo alla Turchia di fermarlo. Riteniamo che le conseguenze sarebbero estremamente pericolose”. Lei ha però intuito che tagliare i fondi alla Turchia sarebbe doppiamente dannoso per i rifugiati siriani che diverrebbero  vittime  per ben due volte: capiamo così che non si agirà su questo fronte.

Erdogan tiene in pugno un’Europa succube delle troppe sfavorevoli mosse politiche, inerme e impossibilitata a rispondere.  Un solo uomo, al quale però è stata servita la posizioni vincente su un piatto d’argento: Erdogan tiene l’Occidente, il futuro del popolo curdo e la vita di milioni di rifugiati  nelle proprie mani. A noi, persone con un minimo di interesse per la situazione politica europea, resta solo domandarci di chi sia davvero la colpa di un quadro instabile come questo, se Erdogan possa essere il burattino di qualcuno e, soprattutto, quali risvolti questa situazione vacillante possa assumere, positivi o negativi che siano.

Raffaele Parola, 5 A Scientifico

 

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Lettera alle donne

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Lettera alle donne

Care donne del mondo, vi scrivo questa lettera perché voglio parlarvi. Anche io sono una donna. Non so se posso definirmi tale, dato che ho da poco compiuto i 15 anni, però mi sento una di voi. Sono italiana. Vivo in Lombardia, in un paesino di montagna dove ci si conosce tutti, proprio come si racconta nei film. Nonostante io viva in un posticino un po’ sperduto, vado a scuola a Bergamo, perché il mio sogno più grande è diventare un pilota delle frecce tricolori. Mi piacerebbe tantissimo sorvolare i cieli di tutto il mondo con la bandiera italiana e, soprattutto, essere l’orgoglio della mia nazione.

Mi definiscono una ragazza determinata e con le idee ben chiare in testa, e forse proprio per questo ho deciso di scrivere a tutte voi. Ho 15 anni, è vero, ma credo di aver vissuto più di alcune di voi. Quest’estate ho viaggiato in lungo e in largo da sola e mi sono resa conto che ho proprio una bella vita. La vita che dovrebbero poter avere tutte le donne. È così ingiusto che in certi posti del mondo il sesso femminile non possa comportarsi come gli pare e piace. È ingiusto che molte di voi in questo momento non possano leggere questa lettera solo perché, dove vivono, le donne non possono leggere i giornali o, ancora peggio, in quel paese non ci sia libertà di stampa.

Mi rivolgo soprattutto a voi, donne dell’Oriente. A voi che vivete molte volte violazioni dei diritti. A voi che siete obbligate a sposarvi giovanissime, quando a quell’età io pensavo solo a giocare e divertirmi con i miei amici. Mi rivolgo a voi che non potete lavorare, a voi che non avete la possibilità di votare e a tutte quelle di voi a cui non sono concesse le cose più semplici, come uscire di casa oppure vestirvi quando volete. La vita è una sola, dovete viverla come volete. Non fatevi ostacolare da nessuno e soprattutto fate sì che nessuno vi impedisca di vivere come vi pare. Vivere da sottomesse non è vita. La vita si può definire tale quando si ha la libertà di prendere le decisioni.

Fatevi sentire. Ribellatevi, se il modo in cui si rivolgono a voi non vi piace. Fate capire a quei vermi che vi trattano come oggetti che voi siete persone. Siete donne, fatevi trattare come tali: non lottate per essere trattate come uomini, lottate per essere trattate da donne. Perché noi non siamo come gli uomini, noi siamo diverse; come mai, sennò, saremmo due generi diversi? La donna è indispensabile alla sopravvivenza del genere umano, senza di noi l’essere umano si sarebbe estinto alla prima generazione. Siamo indispensabili, è vero, ma non dobbiamo sentirci superiori rispetto all’uomo: anche senza di lui non avremmo avuto futuro. Entrambi abbiamo compiti diversi, ma senza l’altro nessuno dei due sopravviverebbe.

Mi rivolgo anche voi che siete state abusate. Non abbiate paura di denunciare quello che è successo. Non vergognatevi. E se quel verme, o quei vermi, che hanno fatto su di voi qualcosa che non volevate, vi dicono che nessuno vi crederà, oppure che faranno del male alla vostra famiglia, non credetegli. Raccontate ciò che vi hanno fatto a qualcuno, non tenete il segreto dentro di voi. Ma più di tutto andate dalla polizia: denunciate ciò che vi è successo, per far sì che colui che ha abusato di voi la paghi. Non dico di vendicarsi, se lo faceste vi comportereste proprio come lui. Io dico di farlo mettere in prigione, per fargli capire la gravità di ciò che ha fatto. Se questo succede, però, non sentitevi vittime. Mai fare la parte della vittima, perché in questo modo lui ha raggiunto il suo scopo: ti ha fatta sentire inferiore e quindi debole e, di conseguenza, sottomettibile un’altra volta. Facciamo capire a questi uomini che abusano di noi che non ci abbassiamo. Facciamogli capire che noi siamo esseri umani, con sentimenti e emozioni. Quando qualcuno si avvicina, non abbiate paura a urlare. Fatelo con tutta la forza che potete. Gridate, per far sì che qualcun altro vi possa sentire e aiutare. Se neanche gridare funziona, allora iniziate a usare gli arti. Tirate calci, pugni, sberle. E se non funziona usate i denti: fate tutto ciò che è nelle vostre capacità per far sì che nessuno vi tocchi senza il vostro consenso.

Il corpo è sacro, è la cosa più intima che possiede una persona: non deve essere maneggiato a piacere. Io dico NO, a questa violenza. Io mi oppongo ai costanti sfruttamenti che le donne devono subire. Diciamo NO, a questi uomini che trattano le donne come oggetti di propria proprietà. Non è possibile che, nel ventunesimo secolo, le ragazze della mia età debbano avere paura a girare da sole perché non si sa mai che qualche uomo possa far loro del male.

Ma soprattutto mi rivolgo a tutte quelle donne che subiscono violenza in casa, a tutte voi che venite sfruttate o, ancora peggio, picchiate dai vostri mariti. Non è così che si deve comportare un uomo con la propria moglie. Un uomo deve rendere felice la propria donna, farla sentire importante: farle capire che lui, senza lei, non potrebbe essere la stessa persona; lui, senza lei, non riuscirebbe a vivere felice. Perché è questo che si prova quando si ama una persona e si è amati: non si può fare a meno di quella persona. Mi piacerebbe che tutte le donne avessero la forza di dire NO. Di rifiutarsi, di fronte a certe situazioni. Di avere la forza di stare da sole, piuttosto che stare con uomo che ti fa stare male. Di avere la forza di non sposare un uomo a cui non si vuole bene solo per far felice la famiglia.

Se le donne avessero un po’ di autostima in più le cose potrebbero cambiare, potrebbero non farsi più trattare come stracci da cucina. So che può non sembrare semplice, ma c’è sempre qualcuno pronto ad aiutare le persone, soprattutto le donne in difficoltà, e spero che, in futuro, aumentino sempre di più. Spero che da questa mia lettera tutte voi troviate il coraggio di ribellarvi e che queste mie poche parole possano farvi capire cosa è veramente importante.

Viola Ghitti, 2 A Scientifico

 

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Una donna: Rita Levi Montalcini

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Una donna: Rita Levi Montalcini

“Una piccola signora dalla volontà indomita e dal piglio di principessa”. È questa la frase con cui Primo Levi descrive Rita Levi Montalcini, neurologa, accademica e senatrice a vita italiana che ha vissuto in Italia durante il 1900 ed è mancata il 30 dicembre del 2012, a 103 anni.

Ha rinunciato a un marito e a dei figli per dedicare la sua intera vita alla scienza: infatti a lei si deve, tra le tante cose, anche la scoperta del fattore di accrescimento della fibra nervosa, o più comunemente noto come NFG, scoperta che le ha permesso di vincere il premio Nobel per la medicina nel 1986.

Fin da piccola ha sempre voluto intraprendere gli studi universitari, nonostante il padre fosse contrario e, durante il suo trasferimento in Belgio a causa delle leggi razziali emanate nel 1938, ha intrapreso gli studi presso la facoltà di Neurologia all’università di Bruxelles, studi che proseguirà nel laboratorio domestico che ha allestito nella sua camera da letto una volta tornata a Torino nel 1940.

Rita ha sempre affermato di sentirsi una donna libera e ha sempre sostenuto come le donne e gli uomini avessero le stesse potenzialità, sebbene le donne fossero ancora lontane dal raggiungimento della piena parità sociale.

A sostegno delle donne, infatti, durante gli anni Settanta l’Italia l’ha vista partecipe del Movimento di Liberazione Femminile per la regolamentazione dell’aborto, promuovendo quindi la libertà di pensiero, come le era stato insegnato dal padre. In memoria di quest’ultimo, Rita e la sorella Paola, nel 1992, hanno istituito la Fondazione Rita Levi Montalcini volta a promuovere la formazione tra i giovani, conferendo borse di studio a studentesse africane con l’obbiettivo di creare donne che potessero assumere un ruolo da leader nella vita sociale e scientifica del proprio Paese.

Inoltre, nel 1998 si è schierata a favore della fine del proibizionismo, aderendo all’appello finalizzato alla legalizzazione delle droghe leggere per sottrarre i giovani al mercato illegale, anche se successivamente ha affermato che l’utilizzo di droghe leggere può favorire l’utilizzo delle droghe pesanti.

All’età di 90 anni è diventata parzialmente cieca, e nel 2009, all’età di 100 anni, ha modo di pronunciare una frase che diventerà molto nota: “Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo: io sono la mente”.

Durante il primo decennio del 2000, inoltre, lo Stato ha deciso di intitolarle un concorso volto a promuovere la ricerca scientifica tra i giovani per portare avanti tutti gli ideali a cui Rita Levi Montalcini ha dedicato la sua intera vita, portandola a essere una fonte di ispirazione per le donne di oggi.

Rachele Franzini, 3 A Scientifico

 

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Un racconto dal futuro

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Un racconto dal futuro

“Mi chiamo Farah. Ho sedici anni e frequento il terzo anno di scuola specializzata. Corre il 2400, il primo anno del venticinquesimo secolo. Io sono nata nel 2384, l’anno dei cambiamenti. Ovviamente non sono vissuta negli anni prima, ma ho visto gli ologrammi dei miei genitori ed era una vita migliore, a parer mio. Prima di quell’anno si poteva uscire tranquillamente di casa. Le persone potevano passeggiare, con la mascherina per non respirare l’aria inquinata, ma si poteva uscire. Nel 2384, invece, le Nazioni Unite hanno capito che l’inquinamento era troppo alto e il tasso di mortalità stava superando il limite massimo. Se non avessero imposto leggi che vietavano di respirare l’aria inquinata, la popolazione non sarebbe sopravvissuta e l’uomo sarebbe solo un ricordo, come le galline, le mucche e i maiali. Gli altri animali sono sopravvissuti, ma in minima parte. Vivono in ambienti protetti, le galline si sono estinte definitivamente nel 2287. In quegli anni l’inquinamento era a livelli inimmaginabili, perché sono stati i famosi anni del progresso. Si è iniziato a viaggiare tra galassie grazie alla scoperta della velocità di curvatura e quindi si sono sviluppate molte fabbriche per la costruzione delle navicelle e dei razzi. Quando le galline si sono estinte c’è stata un grandissima crisi. La gente mangiava le uova di gallina e quando non ci sono più state non sapevano cosa fare. Gli scienziati del gusto le hanno prodotte artificialmente, ma costava troppo, così dopo pochi mesi è cessata. Si sono sostituite con le uova d’oca, che mangiamo anche oggi. A me non piacciono molto, ma mamma le usa per cucinare i dolci oppure per impannare la carne di cavallo.

Vent’anni dopo, cioè nel 2307, si sono estinte le mucche. La scomparsa dei bovini è stata meno grave, perché la carne di mucca era poco diffusa. Il problema più grande è stato il latte. Tutti lo bevevano e da un momento all’altro non c’era più. Si è iniziato a promuovere il latte di capra, che bevo anche io tutte le mattine. Qualche anno più tardi si sono estinti anche i maiali. Questa è stato l’estinzione che si è sentita di meno a livello mondiale. La sua carne si mangiava solo in Europa, dove è stata sostituita con quella di cavallo.

Nel 2384 sono stati costruite le strade sotterranee. Ogni abitazione ha l’ascensore che scende di circa duecento metri e raggiunge la metropolitana o le strade. È così che i miei genitori vanno al lavoro e io a scuola. Le leggi impongono anche che si può stare fuori dalla propria abitazione dalle 8 alle 21. Se qualcuno non è in casa prima o dopo quegli orari viene arrestato.                                                                                             La scuola inizia alle 8,30. Quando studiavano i miei genitori la scuola era diversa. Ma anche l’istruzione, come molte altre cose, è stata rivoluzionata nel 2384. In quell’anno il governo ha deciso che gli alunni non avrebbero più studiato tutte le materie scolastiche. Ovvero, lo avrebbero fatto in  minima parte fino a dodici anni, avrebbero sostenuto un test e da quel momento sarebbero stati istruiti e specializzati sono in alcune materie in un certo campo. Per questo la scuola per i ragazzi dai dodici ai vent’anni si chiama Scuola Specializzata. Per gli altri si chiama Generica: quando la si frequenta si sta in dormitori con i propri compagni e si torna a casa solo nel fine settimana. Così si ha più tempo per studiare, mentre quando si torna a casa si può stare tranquillamente con i genitori.

Quando si frequenta la Specializzata, invece, si torna a casa ogni giorno per passare tempo con i propri genitori, perché quando si termina ci viene assegnato un lavoro e non si sa se si rivedranno mai più i propri genitori: l’impiego potrebbe essere su un altro pianeta o in un’altra galassia.

La Scuola Specializzata ha quattro diverse specializzazioni. Magistrale è la scuola che prepara i futuri professori ed è a numero chiuso: ogni anno prendono quattro nuovi ragazzi. Scientifica prepara i futuri scienziati: per accedere bisogna superare un test difficilissimo, ma nonostante questo molti ragazzi ne fanno parte. Ingegneria prepara gli ingegneri: è la specializzazione più diffusa, perché chi non ha doti speciali diventa ingegnere, data l’ampia richiesta. L’ultima specializzazione è quella che faccio io, Aeronautica. È un lavoro molto richiesto al giorno d’oggi, ma non sono tanti gli iscritti perché chi fa questo lavoro si sposta in continuazione.

La mia scuola è molto accogliente. Si sviluppa su cinque piani: al primo ci sono i vari ascensori, la bacheca con gli avvisi e le macchinette che controllano se siamo presenti. Si tratta delle macchine Misura Impronta: bisogna inserirci il braccio fino a far visionare il tatuaggio personale, in modo da registrare la nostra presenza. Ogni bambino, quando nasce, viene marchiato con un segno, diverso tra tutti, per essere riconosciuto. Mia mamma mi ha spiegato che il mio tatuaggio simula le onde del mare, che io non ho mai visto. Al secondo piano della scuola ci sono i simulatori dei razzi: qui ci esercitiamo per quando toccherà a noi pilotarne uno. È molto complicato, soprattutto quando si aziona il motore di curvatura perché la velocità supera quella della luce. Al terzo piano ci sono le aule dove studiamo con gli ologrammi dei professori: ognuno di noi ha il proprio banco, di colore blu, sul quale prende appunti ed esegue gli esercizi che i professori dettano. Prendiamo appunti su schermi di colore nero, che poi possiamo portare a casa per studiare la lezione. I banchi sono piccoli, dato che siamo tanti ragazzi.

Le aule sono cinque, come le materie: ogni materia ha una sua aula per essere attrezzata al meglio. La materia che mi piace di più è Astrofisica: studiamo le distanze nello spazio e calcoli e algoritmi che fanno sì che possiamo esplorarlo. La classe è verde, con schermi alle pareti che illustrano le principali formule della materia.  Quella che odio, invece, è Chimica: studiare la composizione degli altri pianeti è noiosissimo. Anche l’aula non è molto accogliente: è rossa, il colore che mi piace di meno, e dipinta con i pianeti del sistema solare.

Studiamo anche Matematica, che mi piace abbastanza, dato che ultimamente stiamo facendo le funzioni e non mi piacciono molto. Ai muri della classe ci sono schermi sui quali appaiono gli esercizi che dobbiamo svolgere. Un’altra materia importante che studiamo sono le Lingue Antiche: ora sulla Terra parliamo tutti la stessa lingua, ma una volta non era così. Mi chiedo spesso come facessero a comunicare tra di loro gli antichi. Studiamo questa materia perché a bordo dei razzi le scritte sono nelle lingue antiche, dato che gli scienziati non hanno mai smesso di usarle. Per stare in tema l’aula è attrezzata di piccoli dizionari di ogni lingua antica e dipinta con scritte in diverse lingue. Dell’ultima materia non ho mai capito l’importanza: si tratta di Meccanica e Progettazione. Se ci sono gli Ingegneri che progettano i razzi, perché dovremmo studiare anche noi questa materia? Nonostante non capisca l’importanza, la materia mi piace, come anche l’aula: ci sono molti motori in miniatura, che mi piacciono da impazzire.

Al quarto piano c’è la palestra dove facciamo gli allenamenti. Dato che noi saremo i futuri astronauti dobbiamo essere pronti fisicamente per gli sforzi che dovremo sopportare, perciò ogni giorno ci alleniamo duramente tre ore. Il professore prepara un piano giornaliero per ognuno di noi, che dobbiamo seguire alla lettera. All’ultimo piano c’è il planetario: ci andiamo per studiare le stelle e i pianeti. È un’attività che mi fa impazzire, soprattutto perché il planetario è dotato di poltrone su cui sdraiarsi e in questo modo abbiamo piccoli attimi in cui rilassarci. A scuola non ci sono i veri professori, abbiamo i loro ologrammi, perché in questo modo possono trasmettere in tante scuole, in modo che una minima parte della popolazione venga impiegata in questo lavoro. Ogni Scuola Specializzata, ovviamente, ha professori diversi. I nostri sono otto, uno per ogni attività che svolgiamo.

Ogni Scuola Specializzata deve organizzare delle uscite d’istruzione, per mostrare ai ragazzi quello che imparano a scuola. Il primo anno siamo andati a vedere una base di lancio dei razzi spaziali. L’anno scorso siamo andati a bordo di un razzo e gli istruttori ci hanno fatto vedere come si aziona e come va pilotato. Noi pensavamo di saperlo fare, dato che a scuola ci esercitiamo con i simulatori, ma non è la stessa cosa. Quando sei lì, a bordo, devi avere la mente lucida e ragionare intelligentemente, sennò potrebbe finire male. Tra il terzo, il quarto e il quinto anno c’è un’unica gita: andare in missione a bordo di un razzo, con gli astronauti. Le classi vengono divise in gruppi di quattro persone e, un mese alla volta, vengono mandati nello spazio. Il mio gruppo è stato scelto per primo.

Ed è proprio dal razzo che vi sto parlando. Oggi è il ventesimo giorno che siamo nello spazio, tra cinque giorni faremo ritorno sulla Terra. Prima della partenza abbiamo passato due settimane nel centro di addestramento. La prima è stata la più intensa: ogni mattina ci svegliavano alle cinque, ci vestivamo, facevamo colazione e andavamo in palestra. Qui rimanevamo fino all’una, quando avevamo mezz’ora per pranzare. All’una e mezza dovevamo essere di nuovo in palestra, dove ci allenavamo fino alle sette di sera, quando andavamo a cena e poi in camera a dormire. La settimana successiva abbiamo fatto gli esami psicologici: volevano testare se eravamo pronti per stare venticinque giorni nello spazio, sapendo di essere fuori da tutto e lontano da tutti. I test sono stati divertentissimi, questo ha mostrato che io sono veramente portata per diventare un’astronauta. Il test più divertente è stato il primo: hanno rinchiuso ognuno di noi quattro in una stanza diversa, dove ci hanno lasciato da soli. Avevamo una brocca di acqua da mezzo litro e due barrette proteiche: dovevamo resistere dodici ore cercando di usare al meglio le provviste che avevamo. Il secondo giorno ci hanno fatto fare la stessa cosa, ma eravamo tutti insieme, con la stessa quantità di cibo. Volevano capire chi dei quattro aveva lo spirito da leader e chi invece sarebbe stato controllato. Come pensavo, sono stata io il leader e Jonathan, Luca e Aisha, i miei compagni, hanno seguito i miei ordini alla lettera. Al termine delle dodici ore avevamo ancora un po’ di acqua, questo sta a significare che ho fatto bene il mio lavoro.

Finalmente il giorno tanto atteso è arrivato: il giorno della partenza. Ero emozionatissima, non stavo più nella pelle. Quella notte non sono riuscita a dormire, così sono stata sveglia ad ammirare le stelle e i pianeti, immaginando quali avremmo visto da vicino o visitato.

Quando siamo saliti a bordo del razzo ci siamo seduti, abbiamo allacciato le cinture e poi è partito il conto alla rovescia. In quel momento dentro di me è scattato qualcosa: tutto il mio corpo è diventato inaspettatamente calmo. C’è stata una scossa gigantesca e ho sentito caldo. Fino ai confini dall’atmosfera abbiamo viaggiato lentamente, poi il capo spedizione ha attivato la velocità di curvatura e tutto è cambiato. Il mio corpo si è ancorato al sedile, come se ci fosse una colla super potente che mi teneva attaccata. Fuori dai finestrini tutto è diventato blu e dopo un po’ verde. Ero felice, soddisfatta e soprattutto piena di energie. Sentivo la pancia vuota, come quando si va sulle montagne russe, ma mi piaceva. Dopo poco abbiamo spento la velocità di curvatura, perché stavamo per atterrare su un satellite. Non siamo scesi dal razzo, siamo rimasti a bordo e abbiamo osservato la superficie. Era grigia, piena di crateri. Il giorno che mi è piaciuto di più è stato il terzo: siamo usciti dalla nostra galassia e abbiamo visto la Via Lattea: è bellissima. Abbiamo capito qual era il braccio di Orione, ma è stato impossibile individuare la Terra.

Il viaggio nello spazio è una cosa che, secondo me, tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita, perché noi sulla Terra ci crediamo importanti, ma non è vero. Quando si è nel nulla e si vede la vastità di quello che ci circonda si capisce che è impossibile essere gli unici esseri viventi. Anche se non sono ancora stati scoperti altri segni di vita si scopriranno, perché è ovvio che ci siano. Sono contentissima del lavoro che farò da grande e soprattutto di essermi avventurata in quest’esperienza che ricorderò per sempre, perché tornerò ancora nello spazio, ma la prima volta non si dimentica mai.”

Viola Ghitti, 2 A Scientifico

 

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Ezio Bosso, incontro con la musica

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Ezio Bosso, incontro con la musica

Una vita dedicata alla musica e poi puff… l’inizio di una malattia neuro degenerativa che rende sofferenza la tua più grande passione, il tuo grande amore.

È questa la storia di Ezio Bosso, quarantottenne Torinese, noto pianista e direttore d’orchestra. Nella sua vita ha collaborato con le più grandi orchestre a livello internazionale. Sul suo curriculum compaiono voci come primo direttore d’orchestra sinfonica RAI, svariati dischi incisi da solista e migliaia di concerti in tutto il mondo alle spalle.

Si presenta alla conferenza, nella sede di Cremona Fiere durante la “Festa della Musica”, sulla sedia a rotelle che lo contraddistingue, accompagnato da sua madre e dal suo cagnolino, con un abbigliamento che lo fa sembrare un metallaro anni ’70: jeans rotti, giacca di pelle e guanti da biker con centinaia di borchie sono solo alcuni degli elementi particolari della personalità di questo direttore d’orchestra dall’immenso carisma.

Una persona molto difficile e dura con se stessa, determinata a non arrendersi alla sua malattia, ma consapevole che prima o poi ne sarà totalmente succube. Apre la conferenza con una frase piuttosto particolare e al tempo stesso struggente, accompagnata da un filo di rabbia e da parecchie lacrime: “Io non suono più, ma non è che non suono perché non voglio, non suono perché non posso. Aldilà del dolore fisico che provo quando trasformo le note in suoni, quel che mi fa più male è che io sia considerato solo per la malattia che ho e non per la mia bravura. La gente viene ai miei concerti e si commuove per come suono solo perché ci sono io che sto male, questa è la verità, e non mi va di essere uno spettacolo commovente in quanto triste. Ho altro da dare alla musica, è troppo il mio rispetto verso di lei. Ed è proprio in questa occasione, per il motivo appena spiegato, che voglio implorare tutte le trasmissioni televisive a non invitarmi più a suonare. Se davvero mi volete bene non fatelo”.

L’applauso in sala dopo la sua affermazione sarebbe stato degno di una prima della Scala ed Ezio, in breve tempo, rientra in se stesso e ha portato avanti la conferenza, che trattava della musica per pianoforte di Beethoven e dei suoi impegni da direttore. “Chiedermi quale sia il mio compositore preferito sarebbe come chiedere a un bambino piccolo quale dei due genitori preferisce. È una risposta impossibile per me da dare. Posso solo dire che l’autore che più mi ha dato in termini di ispirazione musicale e al quale mi aggrappo nei momenti di difficoltà è Ludwig van. Beethoven, senza alcun dubbio”.

Dopo un’ora e mezza di monologo, piena di passione ed eseguito con non poca difficoltà a causa della malattia che non gli permette di parlare correttamente, arriva il momento della premiazione. Ricevutolo dal direttore di Rai Tre, Ezio solleva il premio televisivo, a testimonianza che anche in televisione il mondo della musica classica riesce ad attirare l’attenzione dei più facendo record di share.

L’umore di Ezio però rimane alto per poco tempo. Appena svanita l’effimera felicità dovuta al momento della premiazione ritorna a parlare di quanto detesti parlare in pubblico. È seduto su una sedia di plastica ed è molto nervoso. Essendo neuro diverso, sul suo volto i segni del nervosismo si percepiscono a prima vista. Smorfie continue che sembrano quasi tic rovinano il suo volto. Arriva poi il momento delle domande: Ezio è teso, dice che non sopporta questo tipo di cose.

Non riesco a fare a meno però di porgli un quesito. Quando alzo la mano per fare la domanda lui mi guarda, con uno sguardo che era un misto fra ansia e nervoso. Decide comunque di ascoltarmi, è una persona molto disponibile. Soltanto quando capisce che la mia è semplicemente una curiosità puramente teorica riguardante il minuetto 21 in C maggiore del grande Beethoven un sorriso compare sul suo volto. Si aspettava che gli chiedessi della sua malattia e di com’è cambiato il suo modo di suonare nel corso del tempo. Mi risponde felicissimo e con l’entusiasmo tipico di chi ama ciò che fa.

Terminata la conferenza mi fermo nella sala assieme ad Ezio e  Mario Caroli, noto flautista a livello mondiale, con il quale condivido un legame di parentela, e aiuto il pianista a rimettersi sulla sedia a rotelle. Sono le 13, la fame è tanta. Assieme a Caroli e Bosso mi reco al ristorante ed è proprio in questo luogo che conosco la parte più umana del pianista. Una vita guidata da un fantastico pensiero filosofico che lo rende la persona che è.

Nonostante la grande sfortuna, dice di essere felicissimo della sua vita, estremamente ricca di soddisfazioni e di emozioni. Ricorda i tempi in cui la malattia non era altro che un brutto pensiero che non lo riguardava, quando portava i capelli lunghi e poteva permettersi di fare ore e ore di concerti da solista o da direttore. “Qualsiasi cosa possa accadere al mio corpo non potrà mai fermare la mia sete di musica. Non smetterò mai di vivere della sua essenza, cambierà solo il modo in cui la faccio. Questa è una promessa.”

Federico Martini, 5 A Scientifico

 

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Povera Italia, dove ti stiamo portando?

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Povera Italia, dove ti stiamo portando?

“S’è fatta l’Italia, ma non si fanno gli italiani”. Era questo ciò che diceva sul Bel Paese Massimo d’Azeglio, grande patriota, pittore e politico italiano. Non posso dargli torto. Siamo sempre stati divisi su tutto, sulle nostre origini, sui nostri ideali e sulle nostre verità. Da anni, anzi, decenni, non facciamo altro che litigare su tutto.

Vedo allo stadio tifoserie puntarsi pugnali e pistole, vedo nei bar giovani e anziani urlarsi contro, vedo persone parlar male degli altri alle loro spalle. E questo è triste, molto triste. È un peccato, per un paese così bello, essere depredato da un popolo barbaro come il nostro. Oramai non facciamo altro che vivere in una società controversa, in cui la massa di nullafacenti e disonesti la fa sempre franca, mentre quella piccola, minuscola parte di gente per bene a malapena riesce a sopravvivere e ad arrivare a fine mese. Non è una favola, il bene non vince più contro il male. Siamo in un Paese in cui si devono usare vie illegali per potersi permettere cose legali.

Tuttavia viviamo in un Paese bellissimo. La nostra nazione ricopre solamente lo 0,002% delle terre emerse, siamo insignificanti a confronto di nazioni come la Russia o gli USA, ma deteniamo all’incirca il 50% del patrimonio artistico mondiale, e con 53 siti UNESCO siamo primi al mondo. Siamo anche conosciuti sul globo per le famose 3 F, le tre grandi eccellenze italiane: food (cibo), fashion (moda) e furniture (mobilia).

Come non citare il fatto che l’Italia sia stata centrale durante lo sviluppo economico e culturale dell’umanità? Da lì affiorarono numerosissimi generi letterari, come la lauda e la poesia siciliana. Rinascimento e Umanesimo nacquero in Italia, non in Cina o in Messico.

E noi come trattiamo questa nostra ricchezza culturale? Oddio, che scempio! Povera Milano, piena di cultura, smog, e viadotti pericolanti. Povera Roma, città di cultura e arte, antico glorioso impero, ora sporca, inquinata, e che, per la mancata manutenzione, tra qualche decennio farà la fine di Pompei. Famoso il detto “Vedi Napoli e poi muori”, che in questi anni, grazie alla camorra, è diventato pura realtà. Povera Venezia, città bellissima e conosciuta in tutto il mondo, che tra qualche anno, grazie al cambiamento climatico, diventerà la nuova Atlantide. E la lista continua.

Per non parlare del fatto che noi giovani non potremo goderci la bellezza del nostro Paese: in Italia, l’unico futuro che possiamo realizzare è fare i mantenuti e vivere sulle spalle dei nostri genitori. In Italia la disoccupazione sotto i 24 anni è salita al 31,8%, mentre in Germania si aggira sul 6,2%. È imbarazzante vedere come l’Italia, da “faro d’Europa”, sia passata, in pochi decenni, a “fanalino di coda d’Europa”. E noi cosa facciamo? Niente. Assolutamente niente. Sbraitiamo “viva l’Italia!”, ma da decenni non facciamo niente per rendere questo posto migliore. Noi, disperati, siamo ancorati al nostro glorioso passato per non pensare al nostro futuro di decadenza economica, politica e, soprattutto, sociale.

Filippo Mancuso, 3 A Scientifico

 

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Il flop economico

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Il flop economico

La crisi attuale non è una crisi di passaggio: riguarda non solo il mercato dei titoli di borsa, ma il mercato globale. Tanti la paragonano alla crisi del ’29, detta la grande depressione: non hanno tutti i torti, perché come detto questa crisi non riguarda solo la borsa ma tutto il mercato di produzione; e gli effetti della crisi del ’29 durarono fino al decennio successivo, tanto che all’inizio della seconda guerra mondiale l’America era appena uscita quasi totalmente da questa grande crisi.

Come la grande depressione, anche questa crisi di oggi è scoppiata a New York, più precisamente a Wall Street subito dopo il fallimento della banca americana multimilionaria Lehman & Brothers. Il suo fallimento fece crollare il mercato azionario, le borse di tutto il mondo caddero in poco tempo grazie alla globalizzazione e a causa della connessione tra i mercati finanziari internazionali, quindi le sue ripercussioni si avvertirono molto velocemente in tutto il globo. Quanto basta per temere un lungo periodo di crisi e quindi di recessione economica, il che significa sacrifici e difficoltà economiche per miliardi di persone e milioni di famiglie.

Anche l’Italia è stata colpita da questa crisi? Ebbene la risposta è sì, anche se siamo riuscita ad “attutire il colpo” paradossalmente proprio grazie alla nostra arretratezza economica: ma questo solo nel settore degli investimenti in borsa, dove in Italia le banche sono i “sovrani”, altrettanto non si può dire nel settore delle piccole, medie imprese, dove il lavoro è sceso notevolmente e in certi casi anche sparito totalmente.

Le crisi nel mondo non sono una cosa nuova, ma si ripetono continuamente; sono in qualsiasi forma, sia finanziare che non, ma torniamo sulla retta via: ogni crisi ha una soluzione, e grazie al progetto New Deal, emanato dal presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt si è riuscito a “ridurre i danni” della grande depressione.

Per la crisi del 2008 non è mai stato attivato un vero piano di recupero su scala globale dei paesi colpiti da codesta crisi, ma ogni paese ha dovuto adottare alcune proprie “misure” per cercare di ristabilire l’economia interna.

Gli effetti di questa devastante crisi segneranno una cicatrice incancellabile dall’economia moderna.

Xavier Salvini, 2 C Tecnico

 

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Formule E, guida sporca ma green

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su Formule E, guida sporca ma green

Da anni lo sviluppo di automobili stradali deriva dall’esperienza nelle corse automobilistiche delle case produttrici: pensiamo come un’utilitaria del giorno d’oggi sia molto più veloce di un’auto da Formula 1 degli anni Cinquanta.

Oggi nel mondo delle auto da corsa si tentano di sviluppare soprattutto l’aerodinamica e la tecnologia ibrida: le massime categorie, come le LMP 1 (Le Mans Prototype, le auto da corsa endurance) e le Formula 1, utilizzano motori classici a combustibile solitamente turbo alimentati abbinati a motori elettrici. Lo scopo non è solo lo sviluppo di una tecnologia che permetta di sfruttare energia elettrica ed energia generata dalla combustione, ma trovare un modo di diminuire al minimo la dispersione di energia e aumentarne il recupero.

Per quanto riguarda lo sfruttamento dei motori elettrici nelle automobili, un campionato in particolare sta studiando profondamente l’implemento della sola energia elettrica: la Formula E.

Questo campionato rientra nei campionati Formula, ovvero monoposto a guida centrale dalle ruote scoperte. L’idea nasce nel 2011, quando il presidente della FIA Jean Todt propone di creare una categoria dedicate solo alle automobili elettriche che dovevano correre in circuiti cittadini. Nel 2012 l’ex pilota di Formula 1 Luca di Grassi diventa primo pilota collaudatore. Qualche mese dopo vengono ordinate ben 42 autovetture. Dopo numerosi test viene finalmente dato il via al primo campionato, nella stagione 2014-2015. Nella prima stagione le vetture erano tutte identiche tra loro, ma a partire dalla seconda stagione cambio, motore e inverter vengono fabbricati dai team stessi, differenziando così le varie monoposto.

Il “weekend” di gara si svolge in linea di massima in realtà in una sola giornata, per ridurre al minimo l’impatto sulla città, ma alcune volte sono necessari fino a due giorni. Le gare hanno una durata di 45 minuti, a cui va sommato un giro allo scadere del tempo.

Le autovetture hanno una potenza di 200 kW, tranne per alcuni piloti privilegiati dal FanBoost o che utilizzano l’Attack Mode. Il FanBoost è un aumento di kW che viene dato ai cinque piloti più votati online dai fans mentre l’Attack Mode è una modalità che permette ai piloti di incrementare la potenza della loro vettura di 25 kW, attraversando una zona della pista fuori traiettoria.

Molti spettatori di motorsport screditano questa categoria per la sua natura elettrica. Personalmente penso che la categoria sia coinvolgente come la “classe regina”, la Formula 1: nel campionato di Formula E i piloti hanno uno stile di guida molto particolare, oserei dire “sporco”, che porta a numerosi scontri tra le autovetture che rendono imprevedibile e eccitante ogni corsa; quei 45 minuti di corsa sono più esaltanti ed emozionanti di molte corse di Formula 1, anche se non si tifa un team o un pilota in particolare. Inoltre, in questo periodo nel quale tutti sono attenti alla salvaguardia dell’ambiente, guardare una di queste gare può essere un piacere anche per un’attivista come Greta Thunberg, no?

Alessandro Donina, 4 A Scientifico

 

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L’eccidio di Kindu

Posted by admin On Aprile - 10 - 2020 Commenti disabilitati su L’eccidio di Kindu

L’11 e il 12 novembre ricorreva il cinquantottesimo anniversario di una delle pagine più buie e tristi della storia dell’Aeronautica Italiana, specialmente quella militare. Si tratta dell’eccidio di Kindu del 1961, ben poco ricordato dai media.

Il luogo della tragedia è, appunto, la città congolese di Kindu, nella provincia del Maniema, non lontano dal Katanga. All’epoca nel Congo Belga c’era la guerra civile tra le fazioni  a favore del governo centrale, sostenute dagli USA e l’ONU, e quelle per il governo indipendentista, sostenute dall’URSS.

Dall’Italia partirono per una missione di pace (rifornimento in particolare), due aerei C-119 della 46° Brigata di Pisa. L’equipaggio italiano, composto da 13 membri, era stanziato da circa un anno in Congo. Il primo aereo (C-119 Lyra 5) era comandato dal comandante della missione, il maggiore pilota Amedeo Parmeggiani, accompagnato dagli aviatori sottotenente pilota Onorio De Luca, tenente medico Paolo Remotti, maresciallo motorista Nazzareno Quadrumani, sergente maggiore Silvestro Possenti, sergente maggiore Martano Marcacci e sergente marconista Francesco Paga. Nell’altro aerotrasporto (C-119 Lyra 33) erano a bordo il capitano pilota Giorgio Gonelli, con gli aviatori sottotenente pilota Giulio Garbati, maresciallo motorista Filippo Di Giovanni, sergente maggiore Nicola Stigliani, sergente maggiore Armando Fabi e sergente marconista Antonio Mamone.

Tutti questi militari partirono con i C-119 da Leopoldville (attuale Kinshasa), in direzione Kindu, confinante con la regione nemica del Katanga: non potevano sapere che non sarebbero mai più tornati. Ad aspettarli erano gli alleati malesi che facevano da guardia dell’aeroporto locale, ma qualcosa andò storto. I soldati congolesi del governo centrale, confusero i C-119 con aerei nemici pieni di soldati paracadutisti, e diedero così il via all’irruzione nell’aeroporto di Kindu per catturarli.

Il comandante malese provò a convincere il corrispettivo congolese che si trattava di alleati, però non ci fu nulla da fare: uno di loro, il tenente medico Remotti, venne ucciso sul posto e gli altri costretti a portare il suo corpo con loro nella piccola prigione cittadina. Lì un gruppo di soldati congolesi li raggiunse e li uccise a colpi di mitra: una prima ricostruzione affermava che i loro corpi sarebbero poi stati mutilati e addirittura cucinati, ma i successivi accertamenti dell’Onu, anche grazie a due italiani residenti in zona, permisero di scoprire che erano stati portati in una fossa comune a poca distanza da un fiume della zona. Nel 1994 è stata loro conferita la medaglia d’oro al valor militare.

Alberto Julio Grassi, 2 A Scientifico

 

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