Saturday, November 1, 2025

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Viaggiare? Un po’ come un libro

Posted by admin On Luglio - 31 - 2019 Commenti disabilitati su Viaggiare? Un po’ come un libro

I ragazzi italiani d’oggi sono molto propensi a viaggiare: infatti, secondo i dati di SGTour (il tour operator dedicato alle community), oltre 2,5 milioni su un totale di 6 milioni è interessato e ha le disponibilità economiche per farlo.

Il tour operator ha portato in viaggio circa 45.000 Millennials dalla prima vacanza nel 2009 a oggi, con una crescita dei partecipanti a un ritmo del 40 per cento annuo.

In particolare, a essere attratti dall’estero sono i maturandi italiani, al punto che circa il 4,32 per cento di questi 320.000 sceglie di festeggiare con un viaggio di gruppo o di unirsi a un Viaggio Evento, come quello di Scuola Zoo, la più grande community di Millennials italiana che ogni anno organizza trasferte in giro per il mondo. Mi auguro di essere uno tra loro: ho già in programma un viaggio a New York il prossimo agosto. Ed è per lo stesso motivo che ho deciso di frequentare la mia scuola: adoro viaggiare!

Credo che un viaggio, oltre a essere istruttivo, apra la mente, consenta di incontrare nuove culture e di conoscere nuove persone.

Viaggiare è anche ottimo per imparare nuove lingue o mettere in pratica gli insegnamenti già appresi, soprattutto con l’inglese che ormai, grazie alla globalizzazione, viene parlato in tutto il mondo.

Poiché oggigiorno trovare lavoro in Italia non è semplice, spostarsi è anche un modo per ampliare le proprie possibilità professionali. Effettivamente l’emigrazione può essere vantaggiosa, al punto che la fuga di cervelli è un fenomeno sempre più consistente. Insomma, sono convinto che “il mondo è come un libro, e quelli che non viaggiano ne leggono solo una pagina” (sant’Agostino). La scelta di questa frase non è casuale: riassume il mio pensiero e, penso, anche di molti giovani.

Lorenzo Ferrari 2 A Scientifico

 

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Tokyo, a global standard capital

Posted by admin On Luglio - 31 - 2019 Commenti disabilitati su Tokyo, a global standard capital

The capital of Japan, Tokyo,  is rapidly transforming into a global standard city for the 2020 Olympics. For example foreign-language signs are increasingly common along streets and cashless payment is becoming available at more restaurants and shops. 

Tokyo, Japan City Skyline

The city is changing by the introduction of  many technologies that make a big transformation. The use of digital signs that can show information in two or more languages are spreading at train stations and commercial facilities, for example a famous department store in the Ginza district has adopted two of them where visitors can find informations in four languages. We can see another new technology introduced by the East Japan Railway Co., that is experimenting a digital sign systems that is combined with artificial intelligence, AI. This system, installed at Tokyo Station, is called AI-Sakura fluent in Japanese, English, Chinese and Korean. 

Smartphone-based payment systems are progressing and many department and convenience store chains have been leading the way, and now public transportation companies and souvenirs shops are catching up. 

The International Olympic Committee is pushing to hold a smoke-free Olympics, in the meantime the government of Japan is working to curb indoor smoking under a health promotion law. To sustain this health promotion law one of the  biggest family restaurant chain Saizeriya Co. plans to impose a smoking ban to all outlets, and the convenience store chain Seven-Eleven Japan Co. asked some 1000 franchise stores to remove ashtrays from storefronts and about 70% have already complied or said they will do it. Smoking on the streets is prohibited by law and you can smoke only in the smoking areas otherwise you will pay fines. Not all restaurants agree with the smoking restrictions because they are concerned about ruining sales in a country long considered a smoking heaven, actually there are many who think that it’s uncertain whether a smoking ban would lead to higher sales or an increase in family visitors or simply cause a fall in the number of visitors who smoke.

Japan can be considered as a great country, however there are many aspects that must be changed. The government should ban smoking on school grounds, one of the simplest rule that they don’t have yet in many schools; many students say that some of their teachers smell like an ashtray. In addition if the Japanese government will turn their focus to offer a global standard education, rather than a narrow-minded education inclined towards crushing the rights and free-will of it’s citizens, Japan could truly become a great country. 

Anna Locatelli, 4 A Scientifico

 

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An island made of plastic

Posted by admin On Luglio - 31 - 2019 Commenti disabilitati su An island made of plastic

The World Pollution is one of the most important problems of these last decades, and this due to all the modern human activities started two hundred years ago. Our Earth is dying and that’s our fault.

The consequences are many and often connected between them: by the air pollution comes the global warming and the higher temperature makes the poles’ ices melt, this increases the sea level killing many animals. But why do we create air pollution? Because we produce products for our personal necessities, without thinking to all these consequences, and we keep buying these products and using them and throw them away.

The main problem is the last point: we never stop buying products because we’re always in need, there is not enough permanent stuff in our life, and who is going to pay? The Earth. Scientists have discovered, in 1988, a massive island entirely made of plastic. Tons and tons of trash were brought there, in the northern part of the Pacific Ocean, by the sea, and it keeps growing day after day. Billions of microscopic pieces of plastic are now haunting the sea.

Here’s the point: fish eat that plastic, which stores in their body, and guess who eats fish? You! That’s right! And even if you don’t care about either the sea or the animals, hopefully you’ll care about your health, and plastic fish is not healthy at all, but it’s your fault, it’s everybody’s fault. You can be the difference, you can make the difference: the 80% of the plastic produced in one year ends in a trashcan, try to reduce that! Scientists are divided, some say it’s too late to save the Earth, others say the change is possible if done quickly, but all of them agree on one thing: all this has gone too far, the problem is real and big and needs a solution.

There is no choice: if we don’t get together and fight against the climate changes our race will extinct soon. Let’s stay together, let’s fight together, because this is our planet, our home, and the slogan “There is no planet B” is sadly true. 

Riccardo De Biasi, 5 A Scientifico

 

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Inquinamento? Tante concause

Posted by admin On Luglio - 31 - 2019 Commenti disabilitati su Inquinamento? Tante concause

Parecchi scienziati dicono che il 2025 sarà l’ultimo anno in cui potremo fare ancora qualcosa per salvarci, altri smentiscono tutto. Entrambe le fazioni sembrano aver ragione, dopotutto hanno prove concrete come sostegno delle loro teorie, ma allo stesso tempo sono in netto contrasto. È per questo motivo che l’argomento in questione sembra non trovare soluzioni.

È certo il fatto che la temperatura terrestre stia aumentando vertiginosamente: basta vedere le previsioni dell’estate scorsa fornite dai meteorologi. Anche nelle varie mete sciistiche italiane si registravano temperature afose, mentre nel Meridione molte persone anziane morivano per il caldo. Basta pensare che in Sardegna e in alcune aree della Sicilia la temperatura registrata arrivava a toccare i 50° Celsius. Ogni estate, meteorologi di tutt’Italia annunciano, tristemente, che quello sarà il periodo più caldo mai registrato. Sappiamo che esiste il riscaldamento globale, ma siamo veramente a conoscenza delle sue cause? Secondo le teorie più accreditate, tutto ciò accade a causa delle emissioni di anidride carbonica prodotte dall’eccessivo utilizzo di combustibili fossili da parte dell’uomo.

Ma questa affermazione non è assolutamente vera. Secondo diverse analisi effettuate dal climatologo statunitense John R. Christy, l’uomo riesce a produrre solamente l’1% di tutta l’anidride carbonica già presente, in natura, nell’atmosfera.

Nonostante ciò, si è comunque registrato un forte aumento dell’anidride carbonica nell’aria. Questo perché vi sono fenomeni naturali, come le eruzioni vulcaniche, che portano al suo eccessivo rilascio. Secondo Carl Burch, studioso al MIT di Boston, ciò che produce ancora più anidride carbonica sono gli oceani: più la temperatura dell’acqua sale, più gas verranno rilasciati nell’atmosfera.

C’è da dire che, se il surriscaldamento globale fosse veramente causato dall’uomo, il fenomeno si sarebbe dovuto verificare solamente dopo il 1850, con la Seconda Rivoluzione Industriale, quando l’uomo ha iniziato a usare petrolio in grandi quantità. Ma non è così. Addirittura si sono avvertiti forti cali di temperatura: leggendo un giornale di quell’epoca, si potrebbe notare come la gente pensasse a un’imminente glaciazione piuttosto che a un aumento della temperatura. Al contrario, è stata molto più alta  in periodi in cui l’uomo doveva ancora scoprire perfino come accendere un fuoco.

Non sto dicendo che l’inquinamento non esista: vi sono città, come Londra, New York o Milano, in cui a volte non si può davvero respirare. In Cina, addirittura, le persone usano la mascherina per non far entrare nel proprio corpo, respirando, sostanze nocive. Vi sto solo ricordando che, a volte, vi sono persone che, per guadagnare il consenso degli altri e per diventare famose, dicono solamente pagliacciate, non capendo che l’inquinamento è un tema assai difficile da trattare e che non si può ridurre ad affermazioni lapidarie: a comporlo sono invece innumerevoli aspetti.

Filippo Mancuso, 2 A Scientifico

 

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Buco Nero, la prima immagine

Posted by admin On Luglio - 31 - 2019 Commenti disabilitati su Buco Nero, la prima immagine

È il 10 aprile 2019 e per la prima volta viene pubblicata la foto di un buco nero: si trova a 55 milioni di anni luce da noi, nella galassia ellittica Messier 87 e la sua massa è 6,6 miliardi di volte quella del Sole.

Ma cos’è in concreto un buco nero? È la regione di spazio-tempo con un campo gravitazionale talmente intenso da non lasciar sfuggire nemmeno la luce: questo perché la velocità di fuga dal buco nero è superiore a quella della luce (che è pari a 299.792.458 m/s).

La nascita di un buco nero avviene in seguito all’esplosione di una supernova: se la massa di questa è pari a tre volte quella solare, la stella subisce un violento collasso che comprime la materia, generando così  un buco nero.

Il motivo per cui è stato analizzato un buco nero nella galassia M87 e non il Sagittarius A*, presente nella nostra , è che i telescopi avrebbero dovuto superare le numerose stelle della Via Lattea e perché il centro della nostra galassia ha continue vibrazioni nelle sue emissioni.

L’Event Horizon Telescope (EHT), dopo anni di analisi, grazie l’ausilio di 60 istituti scientifici nel mondo e all’osservazione di 8 radiotelescopi in tutto il globo, finalmente ha visto l’immagine prendere forma. In realtà quella che abbiamo ottenuto non è una vera e propria fotografia, ma un’immagine realizzata con l’unione di migliaia di terabyte di dati.

Quello che si vede è l’insieme delle emissioni di onde radio di un disco di gas che sta precipitando all’interno del buco nero. Le parti rosse e gialle che si distinguono nella foto sono appunto le onde radio.

Dopo 100 anni, si dimostra che Einstein aveva ragione: i buchi neri esistono e sono come quelli descritti nella teoria della Relatività Generale.

Probabilmente anche le ipotesi di Stephen Hawking, che ha continuato le ricerche fino ai suoi ultimi giorni di vita, troveranno conferma; i suoi figli si sono espressi per lui: “Siamo sopraffatti dalla gioia nel vedere la realizzazione del lavoro di nostro padre nelle prime immagini di un buco nero, ma siamo anche tristissimi che papà non sia qui per poterle apprezzare. Ci piacerebbe tanto sapere cosa avrebbe detto nel vedere fotografato il fenomeno che lo ha ispirato e intrigato durante tutta la sua carriera scientifica”.

Camilla Shnitsar, 2 A Scientifico

On April the 10th 2019, one of the most important discoveries in our recent history has been made. A world-spanning network of telescope called Event Horizon telescope zoomed in on the supermassive monster in the galaxy M87 to create the first ever picture of a black hole.

“We have seen what we taught were unstable”, said Shepard Doleman, an astrophysicist in Cambridge university. This was, in fact, the first ever picture of a black hole in history. But why does it took us so long to do it? Black holes are notoriously hard to see because of their extreme gravity. Not even light can escape across the boundary at a black hole’s edge (known as the event horizon).

After this consideration you may ask how this beauty of space was discovered? Some black holes, especially supermassive ones in the centre of galaxies, stand out because they create bright disks of gas and other materials around them. When the telescope’s crew noted this gas cloud and zoomed in they noted the black hole at the centre of the system.

The image align with expectations of what a black hole should look like based on Einstein’s general theory of relativity (created almost 100 years ago). The image also gave us a new prospective on dimensions and movement of black holes.

The one discovered, for example, is 38 billion kilometres in diameter, spins clockwise and is 55 million light years from earth. This discovery will definitely change our vision of the universe and, above all, will widen our knowledge of spacetime and, in the future, this may be the base for interstellar travel. Who knows?

Matteo Bramati, 5 B Tecnico

 

 

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Milano invasa dai riders

Posted by admin On Luglio - 31 - 2019 Commenti disabilitati su Milano invasa dai riders

In questi ultimi mesi Milano (ma con lei molte altre città) ha subito un’invasione. Si vedono in giro infatti sempre più “riders”, fattorini che consegnano ogni sorta di cibo a domicilio per tutta la città. Quasi sempre queste persone hanno un vestito ad alta visibilità e portano con sé una scatola, con il marchio dell’azienda per cui lavorano, in cui mettono il cibo.

Si spostano solitamente in bici, anche se camminando per le strade durante la pausa pranzo o all’ora di cena si possono notare come alcuni di essi usino i mezzi più disparati, come motorini, monopattini o addirittura automobili. Il cibo si ordina attraverso una applicazione e in pochi minuti si vedrà arrivare sotto casa il fattorino.

Durante una giornata di vacanza stavo mangiando una pizza in un ristorante aderente a una delle tante aziende che controllano i “riders” e, dopo che in mezz’ora, ne erano arrivati più di una dozzina, mio padre mi chiese se fosse davvero necessario che in una città come Milano, dove c’è un ristorante ogni dieci metri, le persone dovessero ordinare il cibo con un’app invece di camminare cento metri per prenderselo da soli. Ho ragionato un po’ e mi sono reso conto che le svariate applicazioni  per ordinare il cibo hanno una caratteristica in comune: consigliano maggiormente i ristoranti più vicini per fare percorrere al fattorino una distanza minore e fare più consegne in meno tempo. Questo fa sì che, essendo la spedizione quasi sempre gratuita, le persone non si muovano più dal loro divano neanche per andare alla pizzeria sotto casa.  Non la ritengo una cosa giusta in una società dove più di un terzo della popolazione adulta è in sovrappeso e oltre una persona su dieci è obesa.

Questo fenomeno tuttavia ha anche un lato positivo: crea molti posti di lavoro che, anche se senza diritti e tutele, permettono a disoccupati o studenti di racimolare qualche soldo, a volte anche milleduecento euro al mese se si lavora sessanta ore a settimana.

Tuttavia i rischi ci sono e non sono nemmeno pochi. Queste persone, infatti, a causa dei limiti di tempo che sono costretti a rispettare, sfrecciano a tutta velocità (senza rispettare i semafori) negli orari di punta e, girando in auto di sera, è davvero facile vedere questi ciclisti che corrono per arrivare puntuali, rischiando molte volte di fare incidenti: all’ordine del giorno, dato che solo a Milano ci sono più di duemilacinquecento riders.

Purtroppo queste persone sono ancora poco tutelate e non si sa ancora se la situazione migliorerà. Per il momento si può solo sperare che nel futuro ottengano, almeno, uno stipendio più alto e maggiori tutele lavorative.

Francesco Magni, 2 A Scientifico

 

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Gli anni di piombo a Milano

Posted by admin On Luglio - 31 - 2019 Commenti disabilitati su Gli anni di piombo a Milano

Attualmente non è difficile trovare giovani coscienti di quella che è stata la Rivoluzione Francese, il Risorgimento italiano e lo sviluppo di altri fatti storici, ma è quasi praticamente impossibile incontrarne che conoscano le origini del pensiero politico odierno e di tante realtà contemporanee. Credo anzi che non molti non si siano mai neppure posti la questione, ed è proprio per questo motivo che, partendo da una realtà storica piuttosto recente, ho deciso di provare a raccontare un periodo particolare della storia italiana, in modo che ognuno possa farsi una propria idea su come il pensiero socio-politico possa essersi evoluto nel tempo: i cosiddetti “Anni di Piombo” milanesi.

La data che ritengo più importante per iniziare è il marzo del 1968 quando Gastone Nencioni, senatore del MSI (Movimento Sociale Italiano), affitta una casa a Milano, in corso Monforte 13, per farne la sede della “Giovane Italia”, un’associazione studentesca di destra che si prefigge di far riscoprire ai giovani i valori tradizionali della religione, della patria, della tradizione e della famiglia promuovendo attività ricreative e culturali.

A Milano la Giovane Italia è una realtà nuova negli anni Sessanta e, proprio per questo motivo, la Destra nelle università si ritrova in minoranza. C’è bisogno di nuove leve.

Molto vicina a corso Monforte si trova piazza San Babila, all’epoca frequentata da giovani con una cultura e uno stile d’abbigliamento molto lontani dai canoni standard. Non indossano l’eskimo, niente sciarpe rosse e capelli lunghi (il dress-code tipico della Sinistra del periodo).

Sono ragazzi interessati alla vita politica e indossano Ray-Ban da aviatore, stivaletti Barrows a punta e giacche di pelle nera o di renna. Rune, croci di ferro e ciondoli con simboli fascisti completano il tutto, mentre i capelli sono rigorosamente corti o rasati. Le loro idee sono particolarmente spinte a destra e la Giovane Italia vede in questi ragazzi un buon pozzo di militanti.

Quell’ambiente si rivelerà ben presto, però, molto più complesso e più difficile da tenere a bada del previsto. Il primo esempio di queste difficoltà si ha già nel 1969, quando piazza San Babila diventa terreno di scontri tra polizia e neo-fascisti che cercano di forzare lo schieramento della “Celere” (così era chiamata la polizia) durante un corteo non autorizzato. La situazione diventa di grande imbarazzo per l’MSI, un partito che fonda la propria propaganda invece sullo spauracchio della “violenza comunista”.

Ma non si tratta di un caso isolato: gli scontri diventano all’ordine del giorno, anche se nella maggior parte dei casi pare a causa delle provocazioni della sinistra. La stessa sede di corso Monforte viene più volte presa di mira dai “rossi” e i problemi si risolvono spesso in piazza San Babila, con molti militanti di destra che vengono arrestati per rissa o aggressione. Tutti grossi problemi per quello che è soprannominato da tutti i militanti “il partito dell’ordine”.

Nella primavera del 1970, dopo l’ennesimo episodio di violenza verificatosi a San Babila, questa volta per un assalto da parte dei “neo comunisti” alla sede di corso Monforte, la sede della Giovane Italia chiude i battenti per trasferirsi in un altro quartiere di Milano. Poco più tardi si fonderà con il nascente “Fronte della Gioventù”.

Questo trasferimento fu un punto cruciale per la storia dell’estrema destra milanese. Non avendo più una sede da frequentare, i militanti fanno della strada il proprio “campo di battaglia” e il loro mezzo per diffondere le idee politiche.

È così che nascono i cosiddetti “sanbabilini”, termine creato dai media del periodo e usato per indicare ragazzi accomunati più dal look che dall’ideologia (che rimane pur sempre schierata).

Siamo nel 1974, quando i sanbabilini raggiungono il loro periodo migliore. I ragazzi di piazza San Babila hanno alle spalle formazioni culturali e aderenze politiche molto diverse tra loro, seppure tutte riconducibili in un modo o nell’altro all’universo della Destra italiana.

Alcuni sono culturalmente ben inquadrati, gravitano attorno a “La Fenice”, periodico vicino all’organizzazione neofascista Ordine Nuovo, leggono di filosofia e studiano nelle università più prestigiose di Milano. Altri invece sono più propensi all’azione, come il pugliese Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”, uno dei volti più conosciuti della Destra del periodo.

Ci sono poi ragazzi di famiglia benestante che simpatizzano per il MSI o per altre formazioni extraparlamentari nere. Anche chi è solo vagamente di destra si unisce a loro per “protezione” nella Milano degli anni di piombo, per sfuggire alle bandiere rosse e alle chiavi inglesi del Katanga, il servizio d’ordine del Movimento Studentesco (di stampo invece neo-comunista).

Insomma, nonostante il gruppo molto eterogeneo, il cameratismo che si va a formare tra i ragazzi sanbabilini è molto solido e fa di questo periodo il simbolo del motore di ribellione generazionale più importante per il mondo di Destra.

I quattro bar di piazza San Babila (il Pedrinis, il Motta, l’Arri’s Bar, il Quattro Mori) diventano presto le “basi” abituali dei sanbabilini, luoghi d’incontro fondamentali che col tempo si trasformano in veri e propri quartier generali da difendere quando vengono presi di mira dalle azioni della Sinistra con sassate, molotov e ordigni artigianali.

Per i rossi rappresentano invece vere e proprie roccaforti da espugnare per questioni di “rispettabilità”.

Nei bar ci si incontra, si beve e si chiacchiera, ma si pianificano anche azioni, spedizioni punitive e vendette per i giorni successivi.

In questo periodo a Milano i quartieri tendono a “spaccarsi” nettamente in zone “nere” (vicine quindi alla Destra) e zone “rosse” (ovviamente vicine invece alla Sinistra), con i primi in netta minoranza numerica ma con una solida roccaforte.

Sconfinare da un quartiere all’altro vuol dire provocare, soprattutto se lo si fa “in uniforme”, ossia indossando i simboli dell’una o dell’altra parte. I quotidiani del periodo sono pieni di trafiletti che raccontano risse per motivazioni banali, come un eskimo indossato nel posto sbagliato.

Il livello dello scontro fra schieramenti si alza soprattutto nel biennio 1972 – 1973. Sono gli anni in cui a Milano operano le cosiddette SAM (Squadre d’Azione Mussolini), un’organizzazione neofascista che ha tra le sue fila noti sanbabilini come Giancarlo Esposti, Gianni Nardi e Cesare Ferri (anche se non se ne conosce il fondatore).

Il gruppo, che cessa le proprie attività nel 1974, compie attentati dinamitardi a scopo dimostrativo contro luoghi e simboli della Sinistra: sedi di partito, redazioni di giornali politici, monumenti e simboli della resistenza (come quello in piazzale Loreto). Alle SAM risponde con le stesse modalità il Nucleo Armata Rossa.

Nel gennaio 1973, mentre altre due esplosioni distruggono una sede di Avanguardia Nazionale e una sezione del MSI, una bomba fa saltare in aria il bar Motta di piazza San Babila. Pochi giorni dopo, un corteo di protesta contro l’uccisione da parte della polizia dello studente di sinistra Roberto Franceschi “invade” piazza San Babila e un gruppo di sanbabilini risponde sparando.

Tra il 1973 e il 1974, quasi tutti gli appartenenti alla vecchia guardia (di entrambi gli schieramenti politici) finiscono in carcere o scappano all’estero minacciati e colpiti da provvedimenti giudiziari di vario tipo (dalle condanne definitive con ordine di carcerazioni agli ordini di arresto). Da questi anni in poi, pur prolungandosi per un altro po’ di  tempo, la situazione politica milanese si è evoluta velocemente, fino ad arrivare a dare vita a movimenti molto più moderati di questi e da cui, nel lungo periodo, si è formata la politica attuale.

Federico Martini, 4 A Scientifico

 

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Omeopatia? Non sempre da escludere

Posted by admin On Luglio - 31 - 2019 Commenti disabilitati su Omeopatia? Non sempre da escludere

Nella società sta prendendo sempre più piede un tipo di cure alternative, basate sul principio stilato dal medico Samuel Hahnemann, che sostiene che il rimedio appropriato per una determinata malattia è dato da quella sostanza che, in un individuo sano, induce sintomi simili a quelli osservati nell’individuo malato.

Ovviamente questo concetto è privo di fondamenta scientifiche, e per questo i medici tendono, comprensibilmente, a prediligere i metodi cosiddetti tradizionali per le cure dei pazienti e tendono anche molto a combattere l’omeopatia.

Tuttavia questo tipo di cura non cerca di ostacolare la medicina, bensì prova a offrire alternative più naturali e quindi meno dannose per l’organismo, alternative che se però non vengono dosate correttamente potrebbero causare danni molto gravi. Anche perché le persone realmente competenti in questo campo sono poche, dal momento che le scuole di omeopatia non sono molto diffuse: ne consegue che le dosi giuste di una cura sono difficili da determinare.

Personalmente non condanno l’omeopatia perché, limitatamente ad alcuni disturbi, potrebbe essere una soluzione. Basti pensare a un banale raffreddore: anziché curarlo con pastiglie che rovinano gli equilibri del nostro corpo, si potrebbe farlo usando rimedi più “tranquilli”, come si faceva in passato. Ciò nonostante, però, quando le malattie sono più serie, preferisco affidarmi a un medico e alla medicina tradizionale, basata su studi, ricerche e test scientifici, quindi con cure adeguate al contesto e ben dosate. Certo, l’organismo si indebolirà e ci metterà più tempo per riprendersi, però ho la certezza che una volta ripresa, sarò guarita completamente e, soprattutto, in modo corretto.

Rachele Franzini, 2 A Scientifico

 

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