Attualmente non è difficile trovare giovani coscienti di quella che è stata la Rivoluzione Francese, il Risorgimento italiano e lo sviluppo di altri fatti storici, ma è quasi praticamente impossibile incontrarne che conoscano le origini del pensiero politico odierno e di tante realtà contemporanee. Credo anzi che non molti non si siano mai neppure posti la questione, ed è proprio per questo motivo che, partendo da una realtà storica piuttosto recente, ho deciso di provare a raccontare un periodo particolare della storia italiana, in modo che ognuno possa farsi una propria idea su come il pensiero socio-politico possa essersi evoluto nel tempo: i cosiddetti “Anni di Piombo” milanesi.
La data che ritengo più importante per iniziare è il marzo del 1968 quando Gastone Nencioni, senatore del MSI (Movimento Sociale Italiano), affitta una casa a Milano, in corso Monforte 13, per farne la sede della “Giovane Italia”, un’associazione studentesca di destra che si prefigge di far riscoprire ai giovani i valori tradizionali della religione, della patria, della tradizione e della famiglia promuovendo attività ricreative e culturali.
A Milano la Giovane Italia è una realtà nuova negli anni Sessanta e, proprio per questo motivo, la Destra nelle università si ritrova in minoranza. C’è bisogno di nuove leve.
Molto vicina a corso Monforte si trova piazza San Babila, all’epoca frequentata da giovani con una cultura e uno stile d’abbigliamento molto lontani dai canoni standard. Non indossano l’eskimo, niente sciarpe rosse e capelli lunghi (il dress-code tipico della Sinistra del periodo).
Sono ragazzi interessati alla vita politica e indossano Ray-Ban da aviatore, stivaletti Barrows a punta e giacche di pelle nera o di renna. Rune, croci di ferro e ciondoli con simboli fascisti completano il tutto, mentre i capelli sono rigorosamente corti o rasati. Le loro idee sono particolarmente spinte a destra e la Giovane Italia vede in questi ragazzi un buon pozzo di militanti.
Quell’ambiente si rivelerà ben presto, però, molto più complesso e più difficile da tenere a bada del previsto. Il primo esempio di queste difficoltà si ha già nel 1969, quando piazza San Babila diventa terreno di scontri tra polizia e neo-fascisti che cercano di forzare lo schieramento della “Celere” (così era chiamata la polizia) durante un corteo non autorizzato. La situazione diventa di grande imbarazzo per l’MSI, un partito che fonda la propria propaganda invece sullo spauracchio della “violenza comunista”.
Ma non si tratta di un caso isolato: gli scontri diventano all’ordine del giorno, anche se nella maggior parte dei casi pare a causa delle provocazioni della sinistra. La stessa sede di corso Monforte viene più volte presa di mira dai “rossi” e i problemi si risolvono spesso in piazza San Babila, con molti militanti di destra che vengono arrestati per rissa o aggressione. Tutti grossi problemi per quello che è soprannominato da tutti i militanti “il partito dell’ordine”.
Nella primavera del 1970, dopo l’ennesimo episodio di violenza verificatosi a San Babila, questa volta per un assalto da parte dei “neo comunisti” alla sede di corso Monforte, la sede della Giovane Italia chiude i battenti per trasferirsi in un altro quartiere di Milano. Poco più tardi si fonderà con il nascente “Fronte della Gioventù”.
Questo trasferimento fu un punto cruciale per la storia dell’estrema destra milanese. Non avendo più una sede da frequentare, i militanti fanno della strada il proprio “campo di battaglia” e il loro mezzo per diffondere le idee politiche.
È così che nascono i cosiddetti “sanbabilini”, termine creato dai media del periodo e usato per indicare ragazzi accomunati più dal look che dall’ideologia (che rimane pur sempre schierata).
Siamo nel 1974, quando i sanbabilini raggiungono il loro periodo migliore. I ragazzi di piazza San Babila hanno alle spalle formazioni culturali e aderenze politiche molto diverse tra loro, seppure tutte riconducibili in un modo o nell’altro all’universo della Destra italiana.
Alcuni sono culturalmente ben inquadrati, gravitano attorno a “La Fenice”, periodico vicino all’organizzazione neofascista Ordine Nuovo, leggono di filosofia e studiano nelle università più prestigiose di Milano. Altri invece sono più propensi all’azione, come il pugliese Rodolfo Crovace detto “Mammarosa”, uno dei volti più conosciuti della Destra del periodo.
Ci sono poi ragazzi di famiglia benestante che simpatizzano per il MSI o per altre formazioni extraparlamentari nere. Anche chi è solo vagamente di destra si unisce a loro per “protezione” nella Milano degli anni di piombo, per sfuggire alle bandiere rosse e alle chiavi inglesi del Katanga, il servizio d’ordine del Movimento Studentesco (di stampo invece neo-comunista).
Insomma, nonostante il gruppo molto eterogeneo, il cameratismo che si va a formare tra i ragazzi sanbabilini è molto solido e fa di questo periodo il simbolo del motore di ribellione generazionale più importante per il mondo di Destra.
I quattro bar di piazza San Babila (il Pedrinis, il Motta, l’Arri’s Bar, il Quattro Mori) diventano presto le “basi” abituali dei sanbabilini, luoghi d’incontro fondamentali che col tempo si trasformano in veri e propri quartier generali da difendere quando vengono presi di mira dalle azioni della Sinistra con sassate, molotov e ordigni artigianali.
Per i rossi rappresentano invece vere e proprie roccaforti da espugnare per questioni di “rispettabilità”.
Nei bar ci si incontra, si beve e si chiacchiera, ma si pianificano anche azioni, spedizioni punitive e vendette per i giorni successivi.
In questo periodo a Milano i quartieri tendono a “spaccarsi” nettamente in zone “nere” (vicine quindi alla Destra) e zone “rosse” (ovviamente vicine invece alla Sinistra), con i primi in netta minoranza numerica ma con una solida roccaforte.
Sconfinare da un quartiere all’altro vuol dire provocare, soprattutto se lo si fa “in uniforme”, ossia indossando i simboli dell’una o dell’altra parte. I quotidiani del periodo sono pieni di trafiletti che raccontano risse per motivazioni banali, come un eskimo indossato nel posto sbagliato.
Il livello dello scontro fra schieramenti si alza soprattutto nel biennio 1972 – 1973. Sono gli anni in cui a Milano operano le cosiddette SAM (Squadre d’Azione Mussolini), un’organizzazione neofascista che ha tra le sue fila noti sanbabilini come Giancarlo Esposti, Gianni Nardi e Cesare Ferri (anche se non se ne conosce il fondatore).
Il gruppo, che cessa le proprie attività nel 1974, compie attentati dinamitardi a scopo dimostrativo contro luoghi e simboli della Sinistra: sedi di partito, redazioni di giornali politici, monumenti e simboli della resistenza (come quello in piazzale Loreto). Alle SAM risponde con le stesse modalità il Nucleo Armata Rossa.
Nel gennaio 1973, mentre altre due esplosioni distruggono una sede di Avanguardia Nazionale e una sezione del MSI, una bomba fa saltare in aria il bar Motta di piazza San Babila. Pochi giorni dopo, un corteo di protesta contro l’uccisione da parte della polizia dello studente di sinistra Roberto Franceschi “invade” piazza San Babila e un gruppo di sanbabilini risponde sparando.
Tra il 1973 e il 1974, quasi tutti gli appartenenti alla vecchia guardia (di entrambi gli schieramenti politici) finiscono in carcere o scappano all’estero minacciati e colpiti da provvedimenti giudiziari di vario tipo (dalle condanne definitive con ordine di carcerazioni agli ordini di arresto). Da questi anni in poi, pur prolungandosi per un altro po’ di tempo, la situazione politica milanese si è evoluta velocemente, fino ad arrivare a dare vita a movimenti molto più moderati di questi e da cui, nel lungo periodo, si è formata la politica attuale.
Federico Martini, 4 A Scientifico
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