Saturday, November 1, 2025

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Scuola media “Locatelli”, è innovazione

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Scuola media “Locatelli”, è innovazione

L’Istituto Aeronautico, il liceo Scientifico aeronautico, poi pochi anni fa il liceo Coreutico, senza trascurare Grottammare e il Quadriennale. E ora il professor Giuseppe Di Giminiani ha messo in atto un nuovo grande e ambizioso progetto: la realizzazione della scuola secondaria di primo grado “Antonio Locatelli”.

Com’è nata l’idea di realizzare una nuova scuola media a Bergamo?

Ormai operativa da dieci anni nella sede di Grottammare, la scuola media ha riscontrato un notevole successo. Essendoci, a mio modesto giudizio, alcune carenze nel sistema scolastico delle scuole secondarie di primo grado, ho pensato di realizzare un piano di studi che potesse coprire vari ambiti della conoscenza, non sempre trattati. Ho deciso ad esempio di inserire un’ora di latino a settimana che, sull’arco dei tre anni, equivale a un anno di scuola superiore di secondo grado. Il mio obiettivo è quello di creare continuità tra la scuola media e la scuola superiore di secondo grado, così da consentire agli alunni di affrontare, in modo meno difficoltoso, questo passaggio che per alcuni può rappresentare un vero e proprio ostacolo.

Oltre all’introduzione dell’ora di latino quali sono le altre novità della nuova scuola media?

I più grandi aspetti innovativi riguardano il piano formativo. Ho deciso d’inserire un’ora a settimana di informatica giuridica insegnata dal tenente colonnello della Guardia di Finanza Mario Leone Piccinni, da diversi anni collaboratore dell’Istituto Locatelli e autore di diversi libri sui rischi del web, per introdurre i ragazzi nell’affascinante, ma altrettanto pericoloso, mondo di Internet. Grande importanza viene attribuita all’inglese, allo spagnolo e all’attività sportiva, proponendo per quest’ultima un’ampia gamma di discipline tra le quali il nuoto, la scherma e la danza. Altra materia inserita è teatro e dizione con la quale, oltre all’approfondimento linguistico e all’acquisizione di un nuovo lessico, i ragazzi possono sviluppare la propria creatività. Per quanto riguarda invece la musica il tradizionale flauto è sostituito dal pianoforte. Una novità assoluta è la divisione della cattedra di matematica e  di scienze, dato che credo che sia meglio che il ragazzo apprenda queste materie da professionisti del settore. Dal punto di vista logistico verrà attivato un servizio di scuolabus che condurrà gli alunni al mattino a scuola e, al termine delle lezioni, a casa. A pranzo sarà poi disponibile il servizio mensa. I ragazzi indosseranno una divisa, composta da pantaloni, polo e pullover. Essendo il primo anno, i genitori sceglieranno tra i vari abbinamenti da noi proposti la divisa ufficiale.

Che metodo di studio verrà adottato? 

Punto chiave del nuovo programma didattico è la classe capovolta. Questo approccio metodologico prevede che la ricerca e l’apprendimento delle conoscenze siano individuali: il ragazzo si documenta a casa, sulla base dei materiali proposti dagli insegnanti, e le nozioni acquisite vengono poi rielaborate in classe così da condividere e approfondire il lavoro con i compagni. Questo metodo permette agli alunni d’imparare, sin dalla giovane età, a documentarsi, confrontarsi e a dibattere sui molteplici aspetti che la realtà pone davanti ai loro occhi.

Abbiamo detto che grande importanza sarà data all’inglese. Quale ruolo e quali materie saranno insegnate in questa lingua?

Come nel Liceo e nell’Istituto Tecnico, anche nella scuola media l’inglese rivestirà un ruolo fondamentale nel piano di studi. Le materie insegnate in inglese saranno storia, geografia, scienze, arte, educazione musicale, educazione civica, teatro e dizione.

Anche nella scuola media la tecnologia avrà un importante ruolo nell’attività formativa? 

Certamente. Anche nella media l’iPad verrà utilizzato come mezzo di apprendimento sul quale i ragazzi avranno a disposizione i libri digitali e vari contenuti multimediali. Tutte le aule saranno dotate di lavagne touch screen e di banchi modulari che possono assumere varie configurazioni, dalla postazione singola alla disposizione circolare o a ferro di cavallo.

Riccardo Bernocchi, 5 B Scientifico 

 

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Nuovo anno, bilanci: grande 2018

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Nuovo anno, bilanci: grande 2018

Il 2019 è ormai iniziato da appena un paio di mesi, con un conto alla rovescia, qualche fuoco d’artificio, un po’ di spumante e tanti auguri: ha chiuso il capitolo 2018 del Libro della storia, iniziando a riempire pagine bianche con un inchiostro indelebile.

Il 2018 è stato però un anno ricco di eventi per ognuno di noi, ricco di cambiamenti e novità in Italia e anche, in particolare, nella nostra scuola. Per il nostro Istituto lo scorso anno è iniziato con i fiocchi: il Ministero dell’Istruzione ha approvato la proposta del nostro preside di far rientrare il nostro Istituto tra le 192 scuole comprese nel progetto sperimentale del Liceo Quadriennale. Questo avvenimento è motivo d’orgoglio per il preside che, per l’ennesima volta, ha portato il “Locatelli” ad affrontare l’ignoto: il progetto è dunque iniziato il 1° settembre e a oggi continua serenamente.

Durante i primi mesi del 2018 la nostra scuola, dopo i relativi corsi di formazione in primo soccorso, ha anche installato il DAE, il defibrillatore semi-automatico, attualmente posto nel cortile della nostra scuola, pronto all’eventuale utilizzo in caso di necessità.

All’inizio dell’anno scolastico 2018-2019, il preside ci poi ha fieramente annunciato la nascita di una nuova realtà dell’Istituto: da settembre 2019 sarà presente nel complesso scolastico una scuola secondaria di primo grado, che con molte probabilità troverà sede nella nuova palazzina, attualmente in fase di ultimazione.

Inoltre, nuovi progetti hanno coinvolto la scuola: per primo il Corso di Galateo, che ha sostituito le ore di Educazione Fisica, e poi il progetto United Network, riproposto anche quest’anno, che permette agli alunni di partecipare a una simulazione di una conferenza ONU a Milano o a New York.

Ma i veri protagonisti del 2018 sono stati i ragazzi e le ragazze della scuola, che hanno alzato ancora una volta l’asticella. Come avete già letto negli scorsi numeri, due ragazzi hanno realizzato il loro sogno di frequentare una Scuola Militare, dopo numerosi sacrifici e giorni passati a seguire la fase concorsuale: Giacomo Trezzi alla scuola navale Morosini e Marianna Ruggeri alla scuola militare Dohuet. Inoltre l’ex-alunna Celine Polepole ha iniziato un percorso di studi per l’ultimo biennio liceale presso la prestigiosa United World Colleges (UWC) di Trieste, con tanto di borsa di studio.

Il Liceo Coreutico ha portato la nostra scuola ai vertici con la vittoria di numerosi premi: Milano EURODANZA 2018, Como Lake Dance, Olivia Contemporary Dance Project di Verona, International Dance Competition Talent Garden 4.0 di Milano, Monza Danza 2018 e il Concorso Nazionale di Danza al Teatro Comunale di Ferrara.

Bergamo Scienza” ha fatto conoscere la fisica “divertente” a numerose scuole in visita nel nostro laboratorio, presentando numerosi esperimenti, come la bilancia di Cavendish, per il peso della Terra, e lo Schiascopio Laser, utile per verificare difetti visivi nelle persone. Quest’ultimo ha portato la nostra scuola a ricoprire un buon piazzamento nel concorso regionale “Lombardia è Ricerca”.

Il Corriere dell’Aeronautico ha vissuto un 2018 movimentato, tra le numerose notizie e i numerosi riconoscimenti ottenuti, come il prestigioso premio “Giornalista per 1 giorno”, assegnato dall’Associazione Nazionale del Giornalismo Scolastico (ANAGIS); “Fare il Giornale nelle Scuole”, organizzato dall’Ordine Nazionale dei Giornalisti; e il premio al concorso “Il miglior giornalino scolastico Carmine Scianguetta”, XVIII edizione, indetto dall’istituto “Don Milani” di Manocalzati (Avellino). La nostra più recente vittoria risale a ottobre, alla XX edizione del premio “Penne Sconosciute”, consegnatoci a Piancastagnaio, in provincia di Siena.

Un anno di opportunità, cambiamenti e premi: occasioni per crescere e migliorarsi, sentirsi più uniti e divertirsi. Il 2018 è di sicuro stato un capitolo felice della Storia del Locatelli, ma ora l’inchiostro sta scrivendo il 2019 e deve scrivere storie all’altezza dell’ultimo anno, ricche di gioia e gratificazioni.

Alessandro Donina, 3 A Scientifico

 

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Esami e grandi personalità al Coreutico

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Esami e grandi personalità al Coreutico

Non si ferma mai l’attività delle allieve e delle insegnanti del Liceo Coreutico “Antonio Locatelli”, con la direzione artistica dell’étoile Carla Fracci: dopo le tante vittorie conseguite lo scorso anno scolastico e negli anni precedenti, anche quest’anno il lavoro prosegue ininterrotto, scandito solo da “intervalli” per così dire istituzionali, come gli esami di ammissione e lo spettacolo di Natale.

A rallegrare il lavoro delle ballerine e dei ballerini in sede, anche le notizie che arrivato dall’estero e dalle accademie, con gli alunni in giro per il mondo grazie agli stage vinti con i concorsi di ballo e a quelli che, ormai diplomati, si sono lanciati nel mondo magico del ballo.  Tra questi ultimi da ricordare l’ex allieva Giulia Magri,  che ora, al primo anno del triennio per la formazione di danzatori a indirizzo Danza Classica, si allena nelle aule dell’Accademia Nazionale di Danza di Roma.

Sono invece a Londra le allieve Selene Cadeo e Martina Dossi della classe 2A Coreutico, grazie alla borsa di studio vinta al Como Lake Dance Award: all’English National Ballet School  di Londra ballano con Taina Morales.

Anche in sede però le novità non sono mancate:  il maestro Dino Verga ha tenuto uno stage di Tecnica Cunningham con tutti i nostri allievi. Tanti i complimenti che ha fatto ai nostri ragazzi ma soprattutto alle nostre docenti Veronica Cionni e Marta Ottolenghi per la solida e approfondita preparazione su tale tecnica contemporanea, sottolineando più volte che è stato un vero piacere fare lezione con ragazzi così bravi e desiderosi di imparare! A fine stage è arrivato anche il grande Natale Tulipani che con entusiasmo ha condiviso le sue esperienze a New York con Merce Cunningham. Che dire? Dietro ogni passo c’è una meraviglia.

 

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A guide to Contemporary Dance

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su A guide to Contemporary Dance

Watching dance performances was once a predictable affair characterized by narrative plots, ornate costumes, theatrical set design, a classical score, and movement that either was or followed the traditions of ballet.

But these days, seeing dance can, at times, feel as though you need a personal translator to make sense of what’s going on. Let’s start with a “simple” question. What is contemporary dance? This word is mainly used in major dance hubs in the entire world.

It can be used to refer to all kind of dances between hip-hop to tribal dance ritual but usually it refers to a dance that was born in the middle of the 20th century when important pioneers catalysed and redefine dance, this time not anymore through hard and complex schemes and canons,  but through their own vision of movement. They approached their mind to a new way of dancing, to a new way of expressing our souls.

Isadora Duncan was one of the most important modern dancers of 20th century, thanks to her bizarre vision of movement.  Isadora belonged to the dance movement named “free dance” that was the really first revolutionary act against Ballet dance.

I need now to mention Martha Graham, she is still now one of the most important icons of contemporary dance.  She was the mother of the Marta Graham method, the first technique that took the revolutionaries ideas of the 20th  century of modern dance pioneers and involved them in an articulated code of gestures, where prioritizing expressive movement over narrative elements was the important thing. Thanks to her contemporary dancers dance without any kind of shoes, she thought that ballet slippers don’t let us feel the ground energy.

The innovations of Duncan and Graham created space for other experimentations.

Sidestepping the teachings of Graham, her student Merce Cunningham created his own technique, that is the one that we study in our school.

He and John Cage were lifelong collaborators, and in the same way that the composer redefined music as sound, Cunningham redefined dance as movement. He integrated seemingly ordinary movements into his works and played with elements of chance, while stripping away the necessity of a musical backdrop. These explorations suggested that dance could be anything.

In the meanwhile with this largely white experimental dance community in the U.S., choreographer and dancers like Alvin Ailey gave a voice to African Americans. His innovative choreography condensed different styles like modern dance, ballet, and black cultural currents in the United States, such as jazz, blues, and gospel music.

By the end of the 1900 Anne Teresa De Keersmaeker, imposed everyday movements into her works, employing pattern, repetition and speed, giving a provocative perception to the public.

How can we approach contemporary dance?

I think it is really fun to find different approaches to viewing dance, a lot of them may initially seem illegible to untrained eyes, and I need to underline that also if you are the most important and best dancer in the world your eyes will be never trained enough, and you will always find something impossible to understand.

Recognize ourselves in dance in very challenging but it can help us to bring down this barrier between what we are expecting to see and what we actually see.  To build this we need to approach dance in a different way; we need to understand that contemporary dance is a two-way conversation that should, if we let our souls to it, engage all our senses,

We tend to search for a meaning in what we see and feel, because our education says “everything has a reason” and “nothing happens by chance”.
But this doesn’t work, because dance is like our first love, we don’t know exactly what is going on but, we know exactly that something in us is going on.

“We are moving bodies, and dance makes that more evident than ever”.

Oscar Tempesti, 5 A Coreutico

 

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In my future: and now “I have a dream”

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su In my future: and now “I have a dream”

I have a dreamare the famous words that Martin Luther King pronounced, a person that fought for colour people rights during a speech in which he evoked the dream of a best society. However, what is a dream? The dream is a desire, something in which we believe and we hope to realize in the future. Dreams are the basis of a person’s future. All people have some dreams in the drawer and they imagine their own future, especially young people. 

Locatelli’s institute aims to bring us closer to our passion more and more and to cultivate our dreams. So many times we, young students, stop thinking about what our future work and personal life will be. In our dreams there is a family, the idea of growing up children, teaching them the beauty of life, people’s respect, honesty, equality and the tolerance towards who is different from us or those who think differently.

 I hope to be a free woman, able to fight for my ideals. I would like to find a job that gives me satisfactions, I would like to help people. For this I would like to work in psychology and education, all of this combined with what it has always countersigned my life and that it makes it better: dance. I will study in the sphere of dance therapy and my dream of helping others will become true. I want to work with children with different difficulties: autistic, disabled, motor difficulties, ill, with problems of integration into society and other pathologies.

In this great project there is also the dream of bringing this job overseas: after the experience in Tanzania and after becoming aware of how much I can help, I desire to continue this wonderful mission. 

To make all of this come true, we must believe it until the end and this is what I will do.  I believe that the only thing for which is worth living and dying  is the privilege to make someone happier.

Surely my school has taught me so much, first of all to believe that “there is not objective more ambitious than to realize a dream” and I think that if I desire it, I want it and if I want it, I will get it! 

Romina Benvenuti , 5 A Coreutico

 

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Sputnik, 10 lanci tra storia e leggenda

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Sputnik, 10 lanci tra storia e leggenda

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, iniziò quel periodo storico passato alla storia come Guerra Fredda.

Durante questi anni le due super potenze mondiali, Unione Sovietica e Stati Uniti, si fronteggiarono in vari campi: dallo sport, alle armi di distruzione di massa, alla scoperta dello spazio. L’URSS, come d’altro canto gli Stati Uniti, investirono moltissime risorse per la fabbricazione di mezzi adatti all’esplorazione spaziale, con scopi sia bellici che pacifici. Iniziò così la corsa allo spazio.

Già prima dell’inizio del programma spaziale sovietico Konstantin Tsiolkovsky, ingegnere e scienziato ritenuto il padre dell’astronautica, studiò e teorizzò molti aspetti del volo spaziale. Furono però i tedeschi, durante la Seconda Guerra Mondiale, a realizzare il primo missile della storia, la V-2. Mentre lo scienziato Wernher von Braun, padre dei missili tedeschi, terminata la guerra si trasferì negli Stati Uniti, altri scienziati andarono in Unione Sovietica. Nel 1948 con i razzi sovietici  R-1, copia della V-2, si effettuarono vari test balistici. Oltre che per scopi militari, il razzo venne impiegato per lo studio degli strati superiori dell’atmosfera. Essendo però nel bel mezzo della corsa agli armamenti atomici, le nuove invenzioni in campo spaziale vennero impiegate per la costruzione di armi più potenti e in grado di colpire a distanze sempre maggiori. Le varie modifiche apportate al missile R-1 diedero vita al missile balistico intercontinentale R-7. Quest’ultimo si rivelerà un ottimo lanciatore spaziale, cioè un mezzo in grado di portare nello spazio un certo carico.

Il Programma Sputnik

Il programma spaziale russo era organizzato in piani quinquennali. Il 4 ottobre 1957 venne lanciato nello spazio il primo satellite: lo Sputnik 1. Era costituito da una sfera in alluminio, del diametro di 58 centimetri, dalla quale uscivano quattro antenne lunghe dai 2,4 ai 2,5 metri. All’interno della sfera vi erano due radio trasmettitori, una ventola di raffreddamento e tre batterie zinco-argento. La sonda rilevò dati riguardanti la densità degli strati superiori dell’atmosfera e la propagazione dei segnali radio nella ionosfera. Oltre a questo il satellite avrebbe potuto individuare la presenza di meteoriti: essendo colmo di azoto sotto pressione, in caso di perforazione da parte di un meteorite, si sarebbe verificata una perdita di pressione e un aumento della temperatura. Queste variazioni sarebbero state indicate dai sensori.

Il lancio del primo satellite artificiale ebbe una risonanza mondiale e portò milioni di persone a fissare il cielo in cerca del piccolo oggetto o a cercare di captare il suono emesso dal satellite durante il suo passaggio. Il 3 novembre del 1957 i russi lanciarono lo Sputnik 2. La seconda navicella mandata nello spazio era composta da una capsula cilindrica alta 4 metri con un diametro di due. Al suo interno vi erano vari settori nei quali trovavano posto diverse strumentazioni, tra le quali un sistema telemetrico, trasmettitori radio, un impianto di rigenerazione dell’aria, altri apparecchi scientifici e una cabina chiusa, separata dalla strumentazione. Altre apparecchiature a bordo misuravano i raggi cosmici e la radiazione solare, mentre nell’abitacolo era installata una telecamera. I dati giungevano sulla Terra attraverso il sistema telematico Tral-D.

All’interno della cabina venne messa una cagnolina di nome Laika: fu il primo essere vivente ad andare nello spazio. La sua esperienza spaziale ebbe però breve durata, perché la cagnolina morì circa un giorno dopo il lancio del satellite. I russi mascherarono questo evento e per vari giorni comunicarono al mondo false notizie sulla buona salute dell’animale. Quando si seppe che Laika non sarebbe tornata sulla Terra sana e salva scoppiarono varie proteste. Dopo 162 giorni dal lancio, il satellite rientrò sulla Terra e venne incenerito, insieme alla cagnolina, durante il ritorno in atmosfera. A Laika vennero attribuiti tutti gli onori e divenne un eroe dell’Unione Sovietica.

Il 15 maggio del 1958 venne lanciato lo Sputnik 3, alto 3,57 metri e con un diametro di 1,73 metri, dotato di dodici strumenti aventi il compito di analizzare l’atmosfera superiore: un magnetometro, rilevatori di radiazione solare corpuscolare, manometri a pressione magnetica e ionizzazione, trappole ioniche, flussometro elettrostatico, spettrometro di massa a radiofrequenza, rilevatore di nuclei pesanti dei raggi cosmici, monitor dei raggi cosmici primari e rilevatori di micrometeoriti.

In particolare dell’atmosfera superiore si analizzarono la pressione e composizione, la concentrazione di particelle cariche, di fotoni e nuclei pesanti nei raggi cosmici, i campi magnetici ed elettrostatici e le particelle meteoriche. Tutti gli strumenti erano contenuti in una capsula pressurizzata che occupava la gran parte del satellite.

Il satellite orbitò attorno alla Terra per due anni ma, a causa di un problema del fissaggio del nastro di registrazione, non riuscì ad analizzare le radiazioni delle fasce di Van Allen, spazi in cui sono presenti particelle di alta energia trattenute dal campo magnetico terrestre.

Il 15 maggio 1960 venne lanciato in orbita lo Sputnik 4 con la funzione di studiare un possibile volo spaziale umano: il satellite era dotato di una capsula, chiama Vostok, in grado di ospitare un uomo. Per questo test venne utilizzato un manichino e furono impostate comunicazioni preregistrate in modo da verificare il sistema di telecomunicazione tra lo Sputnik e la Terra. La missione fu un parziale fallimento poiché, dopo qualche giorno dal lancio, un’esplosione mandò il satellite fuori orbita. Fece rientro nell’atmosfera terrestre dopo due anni.

Il 19 agosto 1960 partì dalla Terra lo Sputnik 5 con a bordo due cagnoline, Belka e Strelka, insieme ad alcuni altri animali e piante. Il satellite rimase in orbita per 25 ore e al suo rientro gli animali, anche se disorientati, si presentarono in buone condizioni di salute. La missione, nel quale venne testato il sistema di rientro della capsula, fu un successo.

Il 1° dicembre 1960 venne lanciato lo Sputnik 6 con a bordo altre due cagnoline: Pchelka e Mushka. Questa nuova missione mise in luce varie problematiche nelle fasi di ritorno della capsula sulla Terra. La navicella era dotata di retrorazzi che avevano la funzione di controllare, con una certa approssimazione, dove sarebbe atterrata, ma qualcosa non funzionò e della navicella non si ebbero più notizie certe.

Nel corso degli anni sono state avanzate due possibili teorie: la prima sostiene che la navicella si sia inabissata nell’Oceano Pacifico e sia stato così impossibile rintracciarla, mentre la seconda sostiene che sia stata distrutta attraverso cariche esplosive per non farla finire in mani straniere.

Dopo questo parziale insuccesso l’Unione Sovietica spostò la sua attenzione su un nuovo programma spaziale: Venera. Il 4 febbraio 1961 lo Sputnik 7, con a bordo una sonda, venne inviato verso il pianeta Venere. A causa di un malfunzionamento del sistema di propulsione che avrebbe dovuto lanciare la sonda verso Venere, il corpo non riuscì mai a uscire dall’orbita terrestre e cadde in Siberia. I russi però avevano preparato una sonda gemella che venne posta nello Sputnik 8, noto anche come Venera 1.

Dopo il periodo caratterizzato dai test iniziali del programma Venera, i russi ripresero le missioni per testare l’affidabilità e l’idoneità per il trasporto umano delle capsule Vostok. Per questo motivo nel marzo 1961 vennero lanciati lo Sputnik 9 (9 marzo) e lo Sputnik 10 (25 marzo).

Lo Sputnik 9 aveva a bordo una cagnolina, Chernushka, un porcellino d’india e qualche topo, mentre sullo Sputnik 10 vi era una cagnolina di nome Zvezdochka.

Oltre agli animali, in ambedue le missioni venne utilizzato un manichino, chiamato Ivan Ivanovich.

I russi brevettarono un sistema separato per il rientro a Terra dell’astronauta, con il sedile eiettabile, e della capsula con gli animali.

Tutte e due le missioni furono un successo e posero fine al programma Sputnik che rappresentò un punto chiave per l’esplorazione dello spazio.

Riccardo Bernocchi, 5 B Scientifico

 

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Crollo della diga di Malpasset, 1959

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Crollo della diga di Malpasset, 1959

Dopo aver parlato della tragedia della diga del Gleno, voglio presentarvi un altro disastro, molto simile. Si tratta del crollo della diga di Malpasset, in Francia, e più precisamente in Costa Azzurra. Il paese di Malpasset dista pochi chilometri dalla cittadina di Fréjus che si trova in riva al Mediterraneo. Nel 1951 un prestigioso studio di ingegneria progettò la diga che, proprio come la diga del Gleno, si trovava a monte rispetto ai paesi. La ditta, il cui ingegnere era Andrè Coyne, progettò una diga “ad arco-cupola” cioè curva sia in pianta che in sezione verticale. Con la stessa struttura sarebbe, nel 1957, stata costruita un’altra diga rimasta tragicamente nella storia, quella del Vajont.

La caratteristica principale di queste dighe è di essere molto sottili e costruite in modo da scaricare il peso dell’acqua sulle pareti rocciose a cui si appoggiano.

La diga di cui vi parlo era larga 6,82 metri alla base e 1,5 metri sul coronamento, alta 66 e lunga 223 metri: all’epoca era la diga più sottile al mondo. La costruzione venne avviata nel 1952 e si concluse nel 1954, quando era in grado di contenere 48 milioni di metri cubi d’acqua.

Regolarmente, conclusa la costruzione della diga, si iniziarono i collaudi che avrebbero dovuto essere effettuati lentamente e con grande cura. Ma, si sa, quando ci sono di mezzo i soldi si fa tutto in fretta e senza pensare troppo alle conseguenze. Quindi i test vennero effettuati frettolosamente e la diga fu riempita per la prima volta proprio quello stesso anno, nel 1954.

Cinque anni più tardi, all’inizio del 1959, partirono anche i lavori per la costruzione di un’autostrada nelle vicinanze del bacino.

Tra l’1 e il 2 dicembre di quell’anno piovve ininterrottamente: i serbatoi della diga erano però chiusi per facilitare la costruzione della strada e quindi si riempirono velocemente, e la grande pressione interna non tardò ad avere gravi conseguenze.

La sera del 2, infatti, alle 21,13, la diga si fratturò proprio al centro e il crollo fu inevitabile. L’ondata di milioni di metri cubi d’acqua scese verso valle con una velocità di circa 70 km/h. L’acqua raggiunse velocemente i paesini di Malpasset, Bozon e l’autostrada, poi arrivò a Frèjus, dove non risparmiò neppure i resti romani.

L’inferno ebbe fine solo quando l’acqua raggiunse il Mediterraneo, dopo aver ucciso circa 420 persone.

Le cause del crollo non sono tuttora del tutto chiare e nessuno venne chiamato a rispondere per quelle morti.

È probabile che, a causa delle elevate pressioni a cui furono sottoposte le rocce, queste si siano frantumate.

Nella roccia sotto la costruzione della diga c’era anche una faglia che fu riempita con argilla: se fosse stata vuota avrebbe avuto sicuramente una maggiore resistenza.

A questi problemi va aggiunta la costruzione dell’autostrada che aveva ulteriormente scosso l’equilibrio del terreno.

Una sola di queste cause non avrebbe, probabilmente, avuto come conseguenza la caduta della diga. Messe tutte insieme, però, hanno avuto un risultato angosciante e devastante.

Viola Ghitti, 1 A Scientifico

 

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Doss, vincere la guerra senza le armi

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Doss, vincere la guerra senza le armi

La battaglia di Okinawa fu uno degli scontri più sanguinosi dell’intera Guerra del Pacifico: cominciò alla fine di marzo e terminò a metà giugno del 1945. qui entrarono in gioco sia le forze navali che quelle terrestri, con il supporto dell’aviazione.

L’isola di Okinawa aveva un importante ruolo strategico perché, oltre a essere molto vicina alle isole principali, fiancheggiava le linee di comunicazione giapponesi: lì erano quindi stanziati circa 80.000 soldati, a cui se ne aggiunsero 40.000 arruolati fra la popolazione. A difesa erano stati poi posizionati, nella parte meridionale, sbarramenti, mitragliatici e artiglieria pesante; la parte settentrionale dell’isola era invece praticamente inaccessibile, perché montuosa e accidentata.

Il 18 marzo 1945 ebbero inizio le prime operazioni sull’isola da parte degli alleati: i bombardamenti navali e aerei proseguirono fino al 24 marzo. La mattina del 1° aprile del 1945 incominciò lo sbarco lungo la costa occidentale dell’isola, con l’utilizzo di mezzi anfibi e di mezzi pesanti. Gli assalitori riuscirono a prendere le coste meridionali in 4 ore di combattimento: i giapponesi persero due aeroporti, gli americani riuscirono a fare sbarcare sull’isola 50.000 soldati. Nei primi tre giorni i gruppi di fanteria riuscirono a conquistare anche la parte orientale dell’isola. Il 22 aprile gli americani avevano conquistato i due terzi dell’isola, avanzavano molto velocemente verso la zona settentrionale.

L’avanzata verso sud fu invece molto cruenta: gli americani in 22 giorni di combattimento riuscirono a conquistare solo 7 km di territori su 25. I combattimenti per impadronirsi degli ultimi km di isola durarono dal 26 maggio al 21 giugno. Il 7 aprile la corazzata giapponese Yamato scortata da un incrociatore leggero e otto cacciatorpediniere giunse a Okinawa per danneggiare la flotta alleata, composta da imbarcazioni canadesi americane e neozelandesi: lo scontro tra le due flotte iniziò alle 12,40 e terminò alle ore 14,23 con la sconfitta delle imbarcazioni giapponesi.

Per la conquista dell’isola giapponese persero la vita 12.000 soldati alleati e ne vennero feriti 36.000. Il Giappone  perse invece 131.300 soldati e vennero fatti prigionieri di guerra circa 7.400 giapponesi. Gli americani persero 36 unità navali fra cacciatorpediniere e mezzi anfibi, le navi danneggiate furono 365.

Questa vittoria fu particolarmente importante per le sorti della sanguinosa guerra del Pacifico e uno dei più grandi eroi che ne furono protagonisti, paradossalmente, fu un obiettore di coscienza: Desmond Doss.

Uno dei protagonisti della guerra di Okinawa, come accennato, fu il caporale Desmond Thomas Doss, il primo obiettore di coscienza (che non era cioè abilitato, per scelta morale, all’utilizzo di alcuna arma) a ricevere la più alta onorificenza militare statunitense, cioè la medaglia  d’onore, insieme a numerosissimi altri riconoscimenti.

Fu protagonista dello scontro di Hacksaw Ridge, combattuto nella battaglia di Okinawa: l’esercito americano, nello specifico il 77° gruppo fanteria e altri due gruppi, rimase bloccato ai piedi di una collina, vicino a un accampamento giapponese; la battaglia durò complessivamente tre giorni.

Durante il primo giorno di combattimenti Doss, che rivestiva il ruolo di caporale medico, si preoccupò di portare aiuto ai Marines feriti nel corso della battaglia, e fu così anche per il secondo giorno di scontri. Quella notte gli alleati si ritirarono, perché la Marina stava fornendo copertura di artiglieria per stanare i giapponesi, ma il caporale Doss rimase nell’accampamento nemico, e cercava superstiti sia giapponesi che americani per poi calarli con una corda giù per la collina. In questo modo riuscì a salvare la vita di 75 uomini. Quando finalmente scese dalla collina, i compagni che prima lo schifavano per il suo atteggiamento pacifista, lo considerarono un eroe.

Il giorno dopo Desmond Doss venne chiamato dai suoi superiori a dare la carica, come esempio, all’esercito alleato. Nell’ultimo giorno di scontri fu ferito a una gamba da alcune schegge di una granata, che lui stesso aveva calciato via per salvare i suoi compagni. Morì nel 2006, all’età di 85 anni, in Alabama a causa di problemi respiratori.

Fabio Vigone, 1 A Scientifico

 

 

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Obbedire agli ordini non è una scusante

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Obbedire agli ordini non è una scusante

Una delle prime azioni di repressione che vengono compiute all’instaurarsi di una dittatura è il rogo dei libri.

Nel 1933, tre mesi dopo l’ascesa al potere in Germania di Adolf Hitler, si organizzano una serie di Bücherverbrennungen, roghi di libri in cui viene principalmente bruciata la possibilità delle persone di pensare e di formulare le proprie idee basandosi sui testi giusti.

I nazisti, in particolare Paul Joseph Goebbels, affermano che “il futuro uomo tedesco non sarà uomo di libri, ma piuttosto un uomo di carattere ed è in tale prospettiva e con tale scopo che vogliamo educarvi”.

Ecco, questo vietare alle persone di crearsi idee proprie è ciò che io credo l’inizio di ciò che chiamiamo totalitarismo dittatoriale. Penso che sia proprio questa la causa dello svolgersi della storia.

Possiamo inserire in questo discorso il “mito della caverna” di Platone, o almeno una parte. Se quelle persone nella caverna fossero gli abitanti della Germania nazista, la catena che li limita sarebbe il sistema architettato dal Führer e il muro che sono costrette a guardare costantemente sarebbe la propaganda, la nuova scolarizzazione. E ad averli costretti dentro una caverna senza che vedano come è fuori è stato proprio il rogo dei libri.

Bambini abituati fin da piccoli, nella scuola, per le strade, a seguire una certa ideologia cresceranno credendo che sia tutto una normalità e le loro idee saranno manipolate dal sistema dittatoriale.

Successivamente al 1945, dopo il processo di Norimberga, e più precisamente nel 1961, dopo il processo di Otto Adolf Eichmann, architetto della soluzione finale, troviamo una scrittrice e filosofa ebrea che era riuscita a fuggire alle persecuzioni, senza però riuscire a scappare dalle angosce di dover osservare gli avvenimenti dall’America. Questa donna, Hannah Arendt, che assiste al processo, rimane scioccata dalla facilità con cui Eichmann insiste nel protestare.

“Egli affermava di non aver mai potuto e voluto fare nulla di sua spontanea volontà. Di non avere avuto mai nessuna intenzione, non importa di che tipo fosse, se buona o cattiva, perché aveva solamente obbedito agli ordini”,  ci racconta la scrittrice.

La Arendt dice poi che tutto questo è causato, e a sua volta causa, “la banalità del male” (tra l’altro titolo del suo libro, ndr).

Io non ho ancora letto questo libro, quindi non so se lei, anzi se io sto per dire le stesse cose che lei sostiene. Comunque io penso che la causa del male sia, in questo caso, la mancanza di idee proprie, facilmente acquisibili dalla lettura dei libri giusti. Preciso “in questo caso” poiché sappiamo che invece i serial killer più “capaci”, per così dire, sono quelli con una mente diabolica, pazienti e soprattutto molto informati e intelligenti).

Qui la mancanza dei libri giusti, e anche di persone con diverse idee, è ciò che rende le persone macchine. E intendo certo chi viene portato nei campi di concentramento, ma dico gli stessi capi nazisti che, come Eichmann, all’arrivo della resa dei conti, pensano di poter tranquillamente giustificare la morte di sedici milioni di persone con 5 parole: “Ho solo obbedito agli ordini”.

Eleonora Arfini, 2 A Scientifico

 

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Il razzismo, un odio da non tollerare

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Il razzismo, un odio da non tollerare

Il razzismo credo sia una forma acida e datata di odio, che riesce purtroppo a ferire sempre più persone ogni giorno nel mondo. Penso che tutto parta da un presupposto: non si può criticare, giudicare o, peggio, offendere qualcuno per qualcosa su cui non ha potere decisionale. La propria nazionalità, come il colore della pelle, rientra tra quelle cose che sfuggono al nostro controllo: chi può scegliere infatti in quale Paese nascere?

Per questo penso che chiunque abbia comportamenti razzisti o ferisce qualcuno solo per la sua provenienza debba essere punito: perché nel 2019, anno in cui lo scambio culturale tra le popolazioni è molto forte, non si può accettare chi a sua volta non tollera una persona proprio per le sue diversità culturali.

Uno dei problemi principali di oggi è che le persone generalizzano senza conoscere e, generalizzando, rendono difficile l’integrazione tra culture diverse. Noi stiamo vivendo in un’epoca e in un Paese in cui stanno avvenendo moltissimi cambiamenti e, per questo motivo, il razzismo va fermato al più presto.

Penso che l’uomo abbia paura di quello che non conosce: per questo motivo si mostra “forte” con insulti e malvagità e questo porta solamente a violenza. Nella vita ricevi quello che dai: se dai odio riceverai odio, se aiuti sarai aiutato.

Fabio Bizzotto, 2 A Scientifico

Italia intollerante: arretrata, vittima di ignoranza e invidia

Il razzismo esiste in varie forme in Italia, e penso che l’Italia sia razzista: la maggior parte delle volte la causa è l’ignoranza, perché noi italiani spesso tendiamo a banalizzare su questi argomenti e non pensiamo magari, in relazione ad esempio agli immigrati, da cosa stiano scappando, perché, e cosa stiano lasciando.

Poi a volte subentra l’invidia mista a ignoranza, come quando un italiano accusa un immigrato di prendere 35 euro al giorno dallo Stato senza fare niente, senza sapere che in realtà di quella cifra 32 euro vanno alle associazioni che li ospitano. Altri italiani accusano gli stranieri di rubare il lavoro, ma sanno benissimo, ormai, che gli immigrati svolgono spesso quei lavori che noi non abbiamo più voglia di fare.

Sotto questo profilo l’Italia, secondo me, è ancora molto arretrata.

Lorenzo Palazzari, 2 A Scientifico

 

 

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Differenze tra uomini? Non è inferiorità

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Differenze tra uomini? Non è inferiorità

Credo che la parola “razzismo” non stia per forza a indicare l’odio di un popolo verso un altro, ma semplicemente la credenza di una persona nell’esistenza delle “razze”.

Esistono le etnie, naturalmente: una persona del Nord Europa è di etnia differente rispetto a un congolese, non solo per l’aspetto fisico, ma ovviamente anche – per alcuni aspetti –  genetico: la pelle scura del congolese è dovuta a una maggiore concentrazione di melanina e a geni diversi, non certo a un sintomo di inferiorità.

Siamo noi uomini poi che trasformiamo le differenze in un pretesto per giudicare, la discriminazione razziale, che è tanto grave quanto diffusa.

Per le diverse abitudini e culture, spesso tendiamo a insultare le persone perché ci sembra che un modo di fare diverso dal nostro sia sbagliato. Ma avendo storie e ideologie diverse, è inevitabile che un popolo affronti una questione in modo diverso da un altro; ciò non giustifica le brutalità a cui abbiamo assistito nel corso della storia. E che nonostante tutto proseguono.

Come si può fermare un’abitudine che prosegue da migliaia di anni?

Molti, soprattutto ragazzi, oggi sono molto discriminatori nei confronti degli altri, ma credo che per questo non li si possa incolpare: è comune tra i ragazzi insultare e giudicare anche chi è simile a ognuno di loro.

Il vero problema sono gli uomini con potere, che sono convinti di essere migliori degli altri, che pensano che bianco sia meglio di nero.

Un po’ come se il colore della pelle bastasse a giustificare l’omicidio di migliaia di persone.

Eleonora Arfini, 2 A Scientifico

 

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La guerra Civil en Aragón: julio de 1936

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su La guerra Civil en Aragón: julio de 1936

Profundizo sobre el argumento de esta Comunidad Autónoma, porque soy originario de Zaragoza y parte de mi familia materna vivió en primera persona este suceso histórico.

La Guerra Civil española afectó mucho la vida de los españoles del siglo XX, y también la actual.

En Aragón la guerra se vivió con mucha intensidad respeto a otros lugares de España, a causa de su posición estratégica en el mapa: la región, en esa época y actualmente  Comunidad Autónoma limita al este con Cataluña, cuya capital Barcelona es  la segunda ciudad de España más importante; a Oeste limita con Navarra, Castilla y León y La Rioja (en la época parte de Castilla la Vieja); por el Norte limita con Francia, principal vía de escape al final de guerra por parte de la población; al sur con Castilla la Mancha y Madrid (una vez llamada Castilla la Nueva) y Comunidad Valenciana (al tiempo Valencia).

El conflicto empezó el 18 de julio de 1936 y Aragón estaba dividida en dos fracciones: a Oeste el bando sublevado y una mínima parte del territorio y al este el bando republicano.

La primera gran acción bélica en la región fue el famoso bombardeo republicano de la Basílica del Pilar, en Zaragoza, donde un avión descargó tres bombas hacia la catedral, y gracias a un “milagro” ninguno de los tres explosivos estallaron, causando solo daños muy leves.

Entre el 1936 y 1937 los republicanos avanzaron debido a la victoria de Belchite, que acabó en tragedia. De hecho el  pueblo entero fue arrasado a causa del duro enfrentamiento, y los cadáveres de los civiles fueron metidos en tanques de vino situados en la bodega del pueblo. Al final de la guerra fue reconstruido el nuevo pueblo, en parte al lugar destruido y aún hoy se puede pasear entre las ruinas.

También en el pueblo de mis abuelos, habían destrozado la iglesia, en su interior estaba el retablo, el cual tenía mucho valor. En la actualidad se encuentra la iglesia reconstruida y restaurada.

Habían muchos fusilamientos a civiles de ambos bandos  y un episodio en un pueblo, muestra que unos soldados mojaron a un prisionero de gasolina, lo fusilaron, y lo colgaron en un puente.

Habían numerosos eventos tristes contados por  testigos, por  ejemplo, la historia de dos hermanos que lucharon en la guerra, uno en el bando sublevado y otro en el republicano. El primero intentó sin éxito salvar a su familiar del fusilamiento, que fue capturado por sus compañeros. Mientras, un amigo de mi abuelo luchó y vio morir  a uno de los muchísimos voluntarios italianos, donde decenas y decenas de ellos descansan en el Sacrario del parque Pignatelli de  Zaragoza.

Basándome también en leyendas, se dice que dentro de una estatua de un pueblo de Zaragoza, se escondió algo de dinero; pero es común que a día de hoy hay muchos objetos de valor y documentos, también personales, que se hayan destruidos, perdidos o escondidos.

Desde 1937 hasta el final de la guerra, los sublevados reconquistaron los pueblos aragoneses uno a uno y  sin embargo duros duelos como los de Teruel y Fuendetodos, (en este último las trincheras de la Sierra Gorda) hoy se pueden visitar.

Después de estos enfrentamientos, se pasó a la decisiva batalla del Ebro, con la victoria de los nacionalistas, donde permitió a estos últimos dirigirse hacia Cataluña y la actual Comunidad Valenciana, últimos territorios controlados por los republicanos.

Alberto Grassi, 1 A Scientifico

 

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Libertà di parola e pensiero, ma nei limiti

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Libertà di parola e pensiero, ma nei limiti

L’articolo 21 della Costituzione Italiana dice che tutti hanno il diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

La libertà di pensiero, e di stampa, però, non esiste in tutte le Nazioni: infatti, in paesi come Eritrea, Corea del Nord, Cuba e Iran, per fare qualche nome, la stampa è monopolizzata dal governo e addirittura la Turchia è stata recentemente definita come “la più grande prigione di giornalisti”. Questo perché ogni qualvolta qualcuno prova a non seguire gli ordini del governo viene processato e successivamente imprigionato.

Fortunatamente in Italia questo importante articolo della Costituzione è stato approvato dall’Assemblea Costituente il 14 aprile 1947. Prima, la situazione in Italia sotto il regime fascista era ben diversa: vi era una censura che impediva ogni tipo di comunicazione e permetteva al Duce di circuire facilmente le menti del popolo.

Oggi quell’articolo è alla base anche dell’operato dei giornalisti: rappresenta il fondamento su cui nasce e si sviluppa tutto il loro lavoro.

Personalmente, il solo pensiero di vivere in un periodo con questo tipo di restrizioni mi terrorizza: restare all’oscuro di quello che succede attorno dev’essere sconfortante.

Penso che le idee di tutti vadano rispettate e che mai nessuno dovrebbe sentirsi giudicato per queste. Ma vi è un limite a questa libertà?

La risposta è sì: questi limiti si dividono in espliciti, cioè come il buon costume, e impliciti, come quello dell’onore e della reputazione, della riservatezza, dell’identità personale e altri.

Insomma, qualcuno pensa che non bisognerebbe mettere alcuna una limitazione alla libertà di parola, ma io penso che, nonostante questo sia un diritto fondamentale, siano necessari alcuni paletti per favorire la pacifica e civile convivenza umana.

Bisogna sempre riflettere sul fatto che dietro alle parole c’è molto altro, possono pesare e causare problemi. Ricordiamo l’accaduto del 7 gennaio 2015, quando Charlie Hebdo – il settimanale satirico francese – è diventato oggetto di un attacco terroristico che ha portato ben diciassette morti: il tutto a causa della pubblicazione di alcune vignette satiriche su Maometto.

Albert Einstein diceva che la libertà d’insegnamento e di opinione, nei libri e sulla stampa, sta alla base dello sviluppo sano e naturale di ogni popolo: ed è proprio così, perché una società senza questi diritti mai riuscirebbe a evolversi.

Camilla Shnitsar, 2 A Scientifico

 

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MMA: prestigious sport or mere brawl?

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su MMA: prestigious sport or mere brawl?

The acronym MMA stands for Mixed Martial Arts. Basically, it’s the combination of various fighting styles like Sambo, Boxe, Jiu-Jitsu, Greco-Roman Wrestling etc…

The most important MMA competition is the American Ultimate Fighting Championship (UFC) founded in 1993. The goal of this society is to find the best fighter in the world, no matter the fight techniques of the competitors.

At the beginning, it was very criticized due to the almost lack of rules: a fighter on the fight stage could do whatever he wanted to do but this led to very cruel battles and severe injuries or deaths.

MMA gained the notorious reputation of the most brutal fighting sport ever, leading many TVs or media refusing to talk about it. Many nations, for example France, banished this activity. So, with the goal of surviving, it was decided to add strict rules to this competition. Here’s a short list of the rules:

no groin attacks; no knees to the head on a grounded opponent; no strikes to the back of the head or the spine; no head butts; no biting; no fingers in an opponent orifices.

Now, with the implementation of a true regulation, fightings became significantly less violent and MMA started gaining a lot of watchers and fans. Today, it’s popularity threats even Boxe.

Davide Casiraghi, 5 B Tecnico

 

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Infanzia abusata, anche nel 3° Millennio

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Infanzia abusata, anche nel 3° Millennio

Secondo i dati statistici diffusi dall’UNICEF, nel mondo circa 150 milioni di bambini e fanciulle sono vittime di schiavismo e di altre atrocità. Più di 2 milioni e mezzo di questi ragazzini vengono sfruttati ogni giorno nelle Nazioni sviluppate.

Come si può vivere una vita serena leggendo questi dati allarmanti? Come si può stare bene, sapendo che un numero di bambini maggiore rispetto all’intera popolazione russa è costretto a lavorare in miniera, nelle piantagioni, o in oscure e luride fabbriche? Non si può.

Diversamente da quello che si pensa, questi dati non coinvolgono solamente i bambini colpiti da questa ingiustizia, ma riguardano anche la nostra società. La maggior parte di ciò che compriamo, soprattutto scarpe e vestiti, sono stati infatti prodotti da loro.

Gran parte delle Nazioni che vedono la presenza di schiavismo sono collocate nell’Asia meridionale, ma ce ne sono molte altre in Africa e in America meridionale.

In Thailandia il 32% dell’intera forza lavoro è costituita da minorenni mal pagati e mal gestiti; in questo momento in India stanno lavorando faticosamente circa 60 milioni di ragazzini (un numero che arriva quasi a eguagliare l’intera popolazione italiana). In Perù il 20% dei lavoratori nelle miniere ha fra gli 11 e i 18 anni; in una giornata qualunque in Egitto 4 milioni di bambini vengono sfruttati e, purtroppo, la lista può continuare ancora molto a lungo.

Lo schiavismo però non è l’unica ingiustizia che rende questi bambini infelici. Soprattutto nei paesi del Medio Oriente e dell’Asia meridionale, come India, Pakistan, Afghanistan e Turkmenistan, molte fanciulle vengono costrette a sposarsi ancora bambine. Considerando anche il fatto che queste nazioni orientali non sono esattamente conosciute per i diritti concessi alle donne, si può ben intuire che queste fanciulline indifese, una volta divenute “spose”, siano poi considerate come semplici oggetti da collezione, e soggette anche a numerosi atti di stupro e violenza. Pensando anche solo a una piccola parte dei bambini sfruttati sento come un nodo alla gola, e mi viene da pensare a quanto io sia stato fortunato.

Noi però possiamo fare qualcosa: possiamo denunciare queste atrocità, possiamo fare in modo che queste persone paghino per le loro colpe.

Per fortuna in alcune Nazioni il fenomeno si sta arginando, grazie per esempio ai nuovi ed efficienti macchinari nel campo del lavoro, che garantiscono ricchezza anche per i più bisognosi, senza necessità di sfruttamento. In altri casi invece, purtroppo, lo schiavismo e le violenze continuano ancora a fare vittime.

Avendo in mano questi dati che incutono nient’altro che paura e orrore, e pensando a tutte le cattiverie e ingiustizie che quelle povere creature devono sopportare ogni giorno, penso che, forse, Pascoli non aveva torto nel considerare il nostro pianeta “un atomo opaco del Male”.

Filippo Mancuso, 2 A Scientifico

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Chang-e4: on the dark side of the Moon

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Chang-e4: on the dark side of the Moon

There’s a dark side of the moon that we never see due to the synchron rotation. China sent a lander and a rover to this hidden face of our satellite.

The motion of the moon and the one of our planet are now synchronised: the rotation period of the moon lasts exactly as the revolution period of the Earth.

This is the reason why we can’t see with our eyes this hidden part. The first pictures of this dark side was observed on 10th October 1959 by the Soviets during an overflight.

On Christmas Eve 1968, three American astronauts were the first ones to see directly this hidden face (Mission Apollo 8, with Frank Borman, James Lovell and William Anders).

From a morphological point of view the dark part has more craters than the part facing our planet because the Earth protects this side of the moon from meteorites  while the other one has no protections.

We sent rovers on Mars but until the Chang-e4 mission we have never overview the hidden face of the moon, despite we took pictures of it sixty years ago. This is because on this side is impossible for astronauts or probes to communicate with Earth, until the Chinese, on May 2018, sent a probe called Queqiao, that acts as a radio bridge, to collect the information from the mission Chang-e4. The Chinese made this historic mission for different reasons.

The conquer of the moon is one of the most important goals of the space agencies of the world. Furthermore the hidden side of the moon is an unknown region and the Asian agency wants to investigate on morphological and mining aspects that will help scientists to better understand the evolution of the moon and of the solar system.

Stefano Macchia, 3 A Scientifico

 

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Cellulari e tecnologia, un confronto

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Cellulari e tecnologia, un confronto

La dipendenza da cellulare è un argomento molto delicato. I giovani d’oggi, secondo me, sono troppo dipendenti dal cellulare e, infatti, molti ragazzi lo trattano quasi come se fosse una vera e propria persona.

Il telefono per me è solo un mezzo che ti permette di comunicare o stare in contatto, attraverso Internet, con le novità nel mondo. Anche i bambini molto piccoli ormai sono da considerare “dipendenti”, perché i loro genitori permettono che avvenga: credo sia un’assurdità che, per non far piangere un bambino, gli si debba dare un telefono fra le mani: piuttosto un giocattolo!

Ormai l’evoluzione della tecnologia sta mutando l’uomo, che cerca sempre di agevolarsi la vita usando (e abusando) la tecnologia.

Davide Feier, 2 A Scientifico

La tecnologia, al giorno d’oggi, a mio parere, è indispensabile. Ormai tutti si sono abituati  e nessuno ne farebbe volontariamente a meno. Con il termine tecnologia io intendo un po’ tutte le innovazioni che, nel corso degli anni, ci hanno in qualche modo semplificato la vita.

Come ogni cosa, anche la tecnologia in sé e per sé ha pregi e difetti. Tra le qualità c’è sicuramente l’aver semplificato la vita di molte persone con oggetti come il navigatore satellitare, il telefono, ma anche gli apparecchi acustici. Invece, volendo vedere i difetti, secondo me, alla fine ce n’è uno solo: il rischio della dipendenze.

Ci sono molte persone, compreso me, che senza alcuni oggetti non vivrebbero: come cellulare e videogiochi. A soffrire di questo sono soprattutto i più giovani, ma io mi ritengo fortunato a essere nato in quest’epoca così tecnologica.

Nicola Salvi, 1 A Scientifico

 

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“Biri gyaru”, a famous film in Japan

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su “Biri gyaru”, a famous film in Japan

There is a really famous film in Japan based on a true story called “Biri gyaru” (in the American version “Flying colours”). “Biri” and “gyaru” are two new Japanese words. “Biri” is the worst student in the class and gyaru is a girl with golden hair, a lot of make up who wears short skirts. 

This is a story of a Japanese high school student, Sayaka, who hasn’t been studying  for 5 years but then she has to get ready for her university entrance examination and so things have to change!

It is really difficult to enter in a university in Japan because of the high amounts of tests, so students usually study for these exams for 2 or 3 years attending cramming schools.

In the movie Sayaka’s mother sends her to a cramming school where she chooses the Keio University, considered one of the most prestigious and difficult university in Japan. Her family, in particular her father, believes that her destiny is failure, nothing more. Her tutor never gives up and so Sayaka becomes determined to study hard to prove that her parents are wrong.

Over the course of the summer holidays, Sayaka works diligently, without hanging out with her friends anymore, changing her physical aspect to show her seriousness.

Her results progressively improve on practice tests and her academic deviation value increases from 30 to 70 percent… and here we have the happy ending. The message is clear: we have to be confident with ourselves believing in our possibilities.

Locatelli Anna Margherita, 4 B Scientifico

 

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La Terra: né sferica, né piatta

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su La Terra: né sferica, né piatta

Molte persone danno per scontato che la Terra sia sferica, ma come reagirebbero se io affermassi invece che il nostro pianeta non possiede la forma di una sfera? Molto probabilmente alcuni leggerebbero ciò che ho appena scritto, e  penserebbero che io non stia facendo nient’altro che disinformazione.

Tutto questo però non è per niente vero, poiché è normale che la teoria della perfetta sfericità della Terra presenti molte piccole imperfezioni sul piano scientifico e matematico.

Innanzitutto, la Terra assume la forma di un geoide di rotazione, e non quella, precisa e geometrica, di una sfera.

Per chi non sapesse cosa sia un geoide, basti sapere che è un “compromesso” tra la sfera, che rappresenterebbe la Terra, e i punti più alti (le vette delle montagne, le colline, ecc…) e più bassi (le depressioni, i fondali marini e oceanici, ecc…) della superficie del nostro pianeta. Penso infatti che non ci sia bisogno di specificare che la superficie del nostro pianeta sia costituita da montagne, pianure, colline, mari e oceani, e che non sia uniforme.

Inoltre c’è da considerare che il nostro pianeta, a causa della rotazione che effettua ogni giorno su se stesso, viene leggermente schiacciato sui poli, come se ci fosse una gigantesca pressa idraulica che continua appunto a premere incessantemente, deformandolo.

Nonostante ci siano parecchie teorie scientifiche che sostengono questa mia affermazione, le persone continuano a pensare che la Terra sia semplicemente una grossa sfera che ruota su se stessa, sbagliando: scienziati come Isaac Newton (Woolsthorpe-by-Colsterworth, 25 dicembre 1642 – Londra, 20 marzo 1727), avevano già parlato del fatto che la Terra non fosse perfettamente sferica. D’altro canto, proprio al giorno d’oggi, ci sono perfino molte persone che credono ancora che il nostro pianeta sia piatto come un disco.

Filippo Mancuso, 2 A scientifico

 

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Violenza e tifo, un binomio inconcepibile

Posted by admin On Aprile - 6 - 2019 Commenti disabilitati su Violenza e tifo, un binomio inconcepibile

Nelle ultime settimane i mass media si sono occupati spesso di episodi di violenza, sempre spiacevoli, in vari ambiti della vita quotidiana. In particolare uno degli ultimi e più gravi episodi ha riguardato scontri tra tifoserie calcistiche, e più esattamente tra ultras dell’Inter e del Napoli, ancor prima che iniziasse la partita tra le due squadre (il riferimento è alla partita del 26 dicembre, ndr). In quell’episodio è rimasto ucciso un ragazzo di 35 anni, Davide Belardinelli. Questo tifoso napoletano è stato investito da un’auto e ora ci sono nove indagati per la morte del giovane e non è ancora stata accertata la causa esatta per il quale il “Suv” abbia investito il tifoso. La vittima, comunque, è stata investita sulla corsia di sorpasso, dove in seguito si è estesa la lite in corso. Oltre al deceduto ci sono stati tre feriti lievi e un accoltellato della tifoseria partenopea. A mio parere, questa è la “faccia brutta” del calcio.

Questo sport, che appassiona milioni di italiani, consiste nel prendere a calci il pallone e infilarlo nella porta avversaria, e non nel “fare a pugni” con le tifoserie avversarie o insultare il direttore di gara, come spesso avviene da parte di alcuni calciatori.

Proprio quest’ultimi dovrebbero essere simboli di rispetto, lealtà e fair-play, perché, da molti, sono considerati veri e propri idoli da imitare. Loro per primi devono dare il buon esempio.

Dal mio punto di vista, è comprensibile il senso di appartenenza a una squadra, a volte molto intenso, ma non concepisco la violenza contro coloro che non hanno la stessa opinione sportiva. Penso che la violenza, in tutte le sue forme, debba essere sanzionata e che debbano essere applicate leggi più dure e restrittive nei confronti di coloro che compiono questi atti.

Durante le partite della Concorezzese, che è la squadra in cui gioco, spesso mi capita di sentire genitori e tifosi che insultano l’arbitro o i giocatori della squadra avversaria. È davvero umiliante sentire alcuni genitori gridare parole così offensive. Di solito sono coloro che pensano che il proprio figlio sia il nuovo Ronaldo, e a volte non risparmiano brutte parole neanche nei confronti del proprio allenatore. Se già ai miei livelli ci sono questi episodi di violenza verbale, non mi meraviglia che, a livelli professionistici, avvengano risse dentro o fuori gli stadi.

Forse l’introduzione del terzo tempo come c’è nel Rugby, fin dall’inizio della scuola calcio quando i bambini sono piccoli e per loro il calcio è soprattutto gioco, potrebbe essere il modo per iniziare a modificare la mentalità nel calcio. Far incontrare giocatori, genitori, tifosi e allenatori per parlare della partita vinta o persa , condividendo cibo, potrebbe essere il modo migliore per far comprendere che si può essere tifosi nel rispetto delle idee altrui e, soprattutto, delle persone.

Mi auguro, che questo cambiamento di mentalità possa iniziare al più presto. E vorrei anche che la FIFA, Fédération Internationale de Football Association, quale massimo organo direttivo del gioco calcio, intervenga in modo da sanzionare e ammonire i comportamenti violenti dentro e fuori gli stadi, aiutando così le forze dell’ordine a limitare i danni causati da persone che si possono chiamare in tanti modi, ma sicuramente non tifosi.

Riccardo Rurale, 1 A Scientifico

 

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