Saturday, November 1, 2025

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Il velo islamico? Serve una riflessione

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su Il velo islamico? Serve una riflessione

Il velo islamico, o semplicemente velo, è un copricapo in uso tra le donne musulmane e ne esistono vari tipi, legati soprattutto all’area geografica di provenienza.

Troviamo il burqa per l’Afghanistan, che copre completamente il corpo, compresi viso e occhi, alla cui corrispondenza è presente una piccola retina; lo chador, utilizzato maggiormente in Iran, che copre corpo e spalle sino ai piedi, ma lascia il volto scoperto; il niqab, usato in Arabia Saudita e paesi confinanti, che copre ogni parte del corpo tranne gli occhi; e infine l’hijab, il più comune, che copre solo i capelli.

L’utilizzo del velo è dovuto in particolare all’accentuarsi del fondamentalismo islamico in quanto il testo sacro dei musulmani, il Corano, non ne parla esplicitamente, ma per alcuni lo prescriverebbe.

Sono sorti dibattiti che hanno portato alcuni Paesi come Francia, Svezia e Belgio a vietare l’uso del velo in luoghi pubblici. In Italia, invece, sono presenti ancora discussioni, soprattutto sul suo utilizzo nelle scuole.

A mio parere le donne arabe possono indossare il velo, ma in ambienti privati, mentre in luoghi pubblici dovrebbero evitarlo. Se si seguisse lo stesso ragionamento fatto per il crocefisso, abolito nelle scuole pubbliche italiane per non mettere a disagio i non credenti, non ci dovrebbero essere segni di alcuna confessione, e perciò nemmeno le donne e le bambine islamiche dovrebbe indossare quello che è un segno della loro religione.

Altre persone lo sostengono anche per una questione di integrazione in tutti gli ambiti poiché, ad esempio, nel caso del burqa o del niqab, una persona non identificabile potrebbe intimorire la gente circostante, impedendo così ogni tipo di rapporto.

Gaia Bassi, 2 B Scientifico

 

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Bullismo: è un’emergenza da prevenire

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su Bullismo: è un’emergenza da prevenire

Il bullismo a scuola o nei luoghi di aggregazione giovanile c’è sempre stato, non è una novità, e avviene in qualunque scuola, perfino in quelle modello. Anche il bisogno degli adolescenti di farsi notare, di raccontarsi, c’è sempre stato.

Purtroppo oggi il bullismo è un’emergenza vera, quasi una malattia, che coinvolge il 50% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni. Dan Olweus, studioso norvegese, definisce in questo modo il bullismo: “Uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato e vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da uno o più compagni”, dove per “azioni offensive” si intendono le situazioni in cui una persona infligge intenzionalmente o tenta di infliggere un’offesa o in disagio a un’altra persona. Le azioni offensive possono essere ottenute con l’uso di parole, smorfie, gesti sconci o contatto fisico.  Oggi questi “schiaffi”, con il massiccio utilizzo dei social network, sono divenuti anche intangibili: sono video pubblicati online, foto rubate, messaggi anonimi, nomi dati a gruppi senza consenso dell’interessato, o false identità, ma feriscono molto e ugualmente la vittima/e. Si tratta di cyberbullismo.

Il bullo è un ragazzo o una ragazza che compie degli atti di prepotenza verso un proprio pari, ripetendoli nel tempo ed andando così a configurare una vera e propria persecuzione. Il bullismo è una specie di comportamento aggressivo, portato a termine con intenzione, costante nel tempo e con un rapporto di potere sbilanciato a favore proprio di chi lo mette in atto.

Vi sono vari tipi di bullo. C’è quello “dominante”, con aggressività verso tutti, impulsivo, insolente, con grosse difficoltà nel rispettare le regole; c’è poi il “bullo gregario”, più ansioso e insicuro, che cerca la propria identità  e l’affermazione nel gruppo attraverso il ruolo di aiutante e sostenitore del bullo vero e proprio.

Il bullo rimprovera, intimidisce, minaccia e prende in giro, non avendo la minima considerazione della dignità degli altri; non accetta punizioni né richiami quando colto in fallo e rimproverato dagli adulti. Spesso dietro questi comportamenti ci sono grandi frustrazioni, come genitori freddi o distaccati o che hanno trascurato il figlio, anche se ciò non giustifica questo modo di comportarsi.

Gli studi sul tema rivelano che essere prepotente a lungo nel tempo determina un maggior rischio di entrare in quella escalation di violenza  che va da piccoli episodi di vandalismo, furti, piccola criminalità, fino a incorrere in problemi seri con la legge.

Per contro, chi rimane a lungo nel ruolo di vittima, tende  ad autoescludersi dalla vita sociale, ad allontanarsi dalla vita reale, passando molte ore al giorno davanti a videogiochi o comunque immerso in una realtà virtuale che diventa una specie di “luogo sicuro”, un’area di tranquillità; può perfino arrivare ad accusare alcuni sintomi e dolori che non trovano riscontro in esami clinici e rischiare di andare incontro a livelli di autostima sempre più bassi, a forme di depressione. Fino a conseguenze più estreme. Generalmente le vittime  sono ragazzi o ragazze molto intelligenti.

Il bullismo è ormai una piaga della nostra società e genitori, insegnanti ed educatori devono essere pronti ad affrontarla, essendo un reato perseguibile penalmente. Purtroppo viviamo in un momento storico in cui sembra che le persone aggressive, furbe e maliziose siano le migliori.

La scuola è il luogo dell’istruzione e dell’educazione dove si  costruiscono svariati rapporti interpersonali e si viene costantemente “valutati”, non solo dagli insegnanti, ma anche dal gruppo dei coetanei. Il personale scolastico ha il compito di educare  gli studenti, osservarne i comportamenti, accogliere le richieste di aiuto e intervenire in presenza del fenomeno, anche con la denuncia obbligatoria.

Il Progetto educativo dell’Istituto aeronautico Antonio Locatelli, ad esempio, pone fra i suoi obiettivi proprio quello di attivare processi che consentano la promozione di atteggiamenti e comportamenti di vita consapevoli e responsabili, oltre a incoraggiare la percezione dell’errore, quale stimolo a migliorarsi costantemente. È un modo di prevenzione e intervento.

E i genitori, cosa devono fare se sospettano che il proprio figlio sia vittima di bullismo? Anzitutto verificare sempre e cercare segnali inequivocabili, quindi concordare con il ragazzo i passi da fare, coinvolgendo la scuola e successivamente denunciare l’accaduto all’Autorità giudiziaria. Va poi creato un “momento cuscinetto”, allontanando la vittima per un periodo di tempo limitato dal luogo dove gli atti di bullismo si sono verificati. Se invece i genitori si rendono conto o vengono informati che il proprio figlio è un bullo, è bene tenere un dialogo aperto con il ragazzo, aiutandolo a riorganizzare la sua vita, dandogli regole e soprattutto cercando di capire perché lo ha fatto: perché alla fine sono vittime anche loro.

Milena Zeduri, 1 A Scientifico

 

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Violenza sui deboli, serve attenzione

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su Violenza sui deboli, serve attenzione

È incredibile a che punto si sia arrivati. Gli interventi e le soluzioni riguardanti il bullismo sono inefficaci e, in ogni caso, non abbastanza sostanziosi. Non è possibile che un genitore debba mandare il proprio figlio a scuola o da qualsiasi altra parte col timore che venga preso di mira e “bullizzato” da bambini o ragazzi che compiono atti di violenza morale per sentirsi più forti verso i più deboli. Tutto questo perché? Perché si è omosessuali? Perché non si è magri e “fisicati” come altri? Perché non si fa quello che fa il resto del gruppo? Perché e, soprattutto, c’è una soluzione a tutte questi comportamenti violenti?

Secondo gli psicologi si tratta di una vera e propria emergenza, che può essere combattuta a partire dall’intervento a scuola. È proprio così, bisognerebbe stabilire un programma di prevenzione del bullismo in tutte le scuole, facendo in modo che abbiano uno psicologo di riferimento da cui i ragazzi possono recarsi in caso di problemi. Anche i genitori devono stare attenti, hanno il compito di accorgersi se sta succedendo qualcosa al proprio figlio.

Bisogna soprattutto stare attenti al cyberbullismo, che è causa della maggior parte dei suicidi adolescenziali. Ma come fa un genitore ad accorgersi se il proprio figlio è vittima di cyberbullismo? Deve stare attento agli atteggiamenti del figlio: se utilizza troppo internet, se chiude le finestre aperte sul computer quando si entra in camera, se si rifiuta di usare internet, se ha comportamenti diversi dal solito, se ha disturbi del sonno e dell’alimentazione,  se invia molto spesso compiti svolti e se si ricevono chiamate frequenti da scuola per farsi portare a casa etc.. In questi casi il figlio potrebbe essere soggetto a cyberbullismo. Genitori state attenti! Che si inizi a lavorare sotto l’aspetto scolastico e al controllo degli atteggiamenti quotidiani del figlio per contrastare questa ingiustificabile forma di violenza.

Stefano Macchia, 2 A Scientifico

 

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Libertà: importante trovare equilibrio

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su Libertà: importante trovare equilibrio

Libertà è una parola che piace a tutti: chi non ama decidere ed esprimersi senza essere costretto da altri? Ciascuno di noi vorrebbe poter sempre agire liberamente, ma non funziona proprio così.

Per esempio, i ragazzi adolescenti di oggi pensano spesso di essere grandi e di aver raggiunto la maturità completa. In realtà questa non è assolutamente la verità.

I genitori, d’altro canto, devono saper concedere la giusta libertà ai propri figli, ma non è così semplice farlo. Esistono almeno due categorie di genitori: la prima ritiene che, a 14-15 anni, i figli non possano ancora uscire da soli con gli amici, anche solo per fare un giro, senza aver dato loro tutte le informazioni del caso (luogo, amici, orari, eccetera), mentre la seconda lascia i propri figli agire e prendere le decisioni in modo quasi completamente autonomo.

Ci sono genitori più permissivi di altri. Ne è un esempio quello di consentire ai figli adolescenti di andare in discoteca la sera da soli e questi, come se non ci fosse un domani, credendosi adulti e responsabili, se ne approfittano ubriacandosi e fumando, rovinando così la libertà concessa loro. Purtroppo, a volte, l’esagerato permissivismo porta a scelte sbagliate e a comportamenti scorretti.

Analizzando i figli, si scopre che anche in questo caso esistono più categorie: quelli che fanno le cose di nascosto (per esempio tatuaggi, piercing, amicizie e luoghi differenti a quelle notti alla famiglia, eccetera), altri che invece conducono una vita alla luce del sole, condividendo con i genitori le proprie scelte in virtù del rispetto e della sincerità. Questa differenza è sicuramente dovuta al tipo di rapporto che esiste in famiglia.

È comunque bello che genitori e figli siano tutti diversi, altrimenti che mondo sarebbe? Monotono, no? Ciò non toglie il fatto che, se ottenuta la giusta libertà, i figli non debbano mancare di rispetto o imbrogliare i genitori. Alla base di ogni rapporto, in questo caso tra genitori e figli, deve esserci la sincerità che sfocia poi nella fiducia reciproca: ecco come conquistarsi a libertà! Perciò, genitori, date il peso giusto alla parola libertà e, ragazzi, cercate di accontentarvi un po’ di più di quanto concessovi. Come per ogni cosa, l’equilibrio è la giusta soluzione.

Giulia Zanella, 2 A Scientifico

 

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Vecchia Guardia: mito che non s’arrende

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su Vecchia Guardia: mito che non s’arrende

La Guardia Imperiale: uno tra i più famosi corpi militari della storia. È stata creata nel 1804 da Napoleone Bonaparte e trae la sua origine dalla Guardia dell’Assemblea Nazionale, nata il 20 giugno 1789, che prese poi il nome di Granatieri della Gendarmeria nel 1792. Nel 1795 cambiò ancora il nome in Granatieri della Convenzione e poi in Guardia del Direttorio. La sua denominazione mutò, per l’ennesima volta, in Guardia Consolare dopo l’ascesa di Napoleone come Console e, infine, in Guardia Imperiale.

Durante la sua storia la Guardia aumentò il numero dei suoi effettivi: dalla Battaglia di Marengo (1800), dove vennero impiegati 2.100 uomini, si passò ai 56.000 della campagna di Russia (1812) per raggiungere i 112.500 uomini nel 1814. La Guardia Imperiale, oltre a comprendere fanti, era costituita da cavalieri, artiglieri, marinai e genieri, divisa per anzianità in Vecchia Guardia, Guardia di Mezzo e Nuova Guardia.

La Vecchia Guardia era l’unità di spicco della Grande Armata napoleonica e le sue truppe erano veterani che avevano combattuto da tre a cinque campagne militari. I Granatieri a piedi della Guardia Imperiale rappresentavano il fulcro di questa unità ed erano composti dagli uomini più anziani ed esperti dell’intero esercito francese. Il 15 aprile 1806 il primo reggimento Granatieri a piedi venne affiancato da un secondo reggimento, i Cacciatori a piedi, e il 13 settembre del 1810 venne istituito un terzo reggimento composto dai Granatieri della Guardia Reale Olandese. Un quarto reggimento venne reclutato il 9 maggio 1815, ma, dopo poco, venne sciolto. Vi era inoltre un reggimento di Granatieri a cavallo a cui si era poi unito uno squadrone di Mamelucchi (truppe arabe a cavallo), reparti di artiglieri, di Marina e del Genio. Successivamente si aggiunsero un reggimento di Dragoni (uomini a cavallo armati di spada, pistole e moschetto) e due di Lancieri.

La tipica uniforme di questa unità era composta da indumenti bianchi, una giubba blu scuro con risvolti sul petto e passamani bianchi, polsini e risvolti delle falde rossi, mentre il colbacco era decorato con un fregio di rame di un’aquila coronata, un pennacchio rosso e cordini bianchi. Tutti i bottoni della divisa erano in ottone ed erano decorati con l’aquila imperiale.

Nel 1806 venne istituita la Guardia di Mezzo che, anche se godeva di fama minore rispetto alla Vecchia Guardia, dimostrò in varie battaglie il proprio valore. L’unità era divisa in Fucilieri-Granatieri della Guardia Imperiale (creati nel 1807, sciolti nel 1814 e ricostituiti l’anno dopo), Fucilieri-Cacciatori della Guardia Imperiale (istituiti nel 1806, spesso a fianco dei fucilieri, sciolti nel 1814) e Marinai della Guardia Imperiale (nati nel 1803 con il compito di essere l’equipaggio del vascello che, nella pianificata invasione dell’Inghilterra, avrebbe dovuto portare Napoleone sull’isola). Napoleone definì questi ultimi l’unità più versatile dell’esercito francese, potendo essere impiegati come marinai, fanti o artiglieri.

Nel 1809 venne costituita la Nuova Guardia, composta da soldati che avevano combattuto almeno una campagna e dalle migliori reclute dell’anno, suddivisi in 9 reggimenti.

Appartenere alla Guardia Imperiale, oltre a essere motivo di orgoglio per i suoi soldati, portava anche vantaggi sia economici (i salari erano più alti rispetto al resto dell’esercito), sia sul campo di battaglia (gli equipaggiamenti erano migliori e le razioni speciali).

Anche se la Guardia rappresentava la punta di diamante dell’esercito napoleonico, l’Imperatore la utilizzò solo in caso di necessità e, in molte battaglie, venne tenuta nelle retrovie come riserva. Nonostante questo la fama della Guardia Imperiale non calò mai e non fu intaccata neanche nell’ultima grande battaglia di Napoleone: Waterloo. Secondo alcune testimonianze, mentre gran parte dell’esercito francese si stava ritirando, alcuni reggimenti della Vecchia Guardia, con avvolta l’asta della loro bandiera in un tessuto nero a simboleggiare che non si sarebbero mai arresi, rimasero in formazione sul campo di battaglia. Quando gli inglesi intimarono la resa ai francesi, il generale Pièrre Jacques Étienne, barone dell’Impero e successivamente visconte di Cambronne, rispose: “La Garde Impériale meurt et ne se rend pas!” (“La Guardia Imperiale muore, ma non si arrende!”). Dopo aver intimato la resa altre due volte gli inglesi decisero di attaccare. Fu un massacro per entrambi gli schieramenti. Il mito della Vecchia Guardia non tramontò con la sua fine: il suo nome rimase sinonimo di valore, determinazione e onore.

Riccardo Bernocchi, 4 B Scientifico

 

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La crisi? Serve una politica diversa

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su La crisi? Serve una politica diversa

È cominciato tutto nel 2007. Prima di quell’anno nessuno poteva immaginare che la più grande crisi economica della storia moderna stesse arrivando. Solo pochi economisti lo avevano intuito. Nei mesi caldi del 2007 la crisi americana dovuta a mutui poco affidabili è esplosa e ha portato alla chiusura molte banche, tra cui la Goldman Sachs.

In qualche mese la crisi è arrivata anche in Europa e entro il 2008 si era estesa a tutto il pianeta. A quel punto si è innescata una reazione a catena: il primo ostacolo è stato la crisi di fiducia nei mercati, considerati poco affidabili; poi l’enorme inflazione mondiale che ha causato l’aumento dei prezzi delle materie prime. Nel giro di 2 anni il P.I.L di molti paesi, specie occidentali, è crollato: molti stati europei, dopo una piccola e breve ripresa nel 2011, hanno dovuto fare i conti con numerosi debiti. Il rischio di crollo di questi paesi è stato evitato soltanto grazie a ingenti prestiti dalla B.C.E e da numerosi paesi dell’Eurozona.

Se la storia di questa enorme crisi racconta di problematiche dovute all’alta finanza, le ripercussioni sociali e politiche sulle popolazioni europee e mondiali sono state fortissime: a fare i conti con la crisi sono state in particolar modo le classi sociali già di partenza più deboli. La disoccupazione poi non è aumentata solo per i licenziamenti dell’ultimo biennio, ma anche per la difficoltà dei giovani nel trovare un lavoro stabile.

Per la prima volta dal dopoguerra molti si sono trovati prospettive di vita e di crescita decisamente inferiori a quelle della generazione precedente: le difficoltà a trovare un lavoro e mantenerlo si ripercuotono nella vita di tutti i giorni, mettendo il giovane nell’impossibilità di trovare casa, di costruirsi una famiglia e di contribuire all’economia.

La popolazione mondiale si trova ad affrontare una crisi decisamente superiore a quella del ’29, senza alcun tipo di aiuto da parte dello Stato che avrebbe potuto ridurne gli effetti. Va detto che questa mancanza non è solo una scelta obbligata economica, ma anche una scelta politica perché la scomparsa di uno stato sociale è una strada intrapresa da molte nazioni europee ben prima della crisi. Se si fosse attuata una politica diversa o se si riuscisse ad attuare una serie di misure basate sull’aiuto dello Stato alle imprese e alle famiglie, l’intera economia potrebbe trarne beneficio.

Stefano Macchia, 2 A Scientifico

 

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La felicità è in tutti noi, basta trovarla

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su La felicità è in tutti noi, basta trovarla

“Sono davvero felice?”. È una domanda che ci poniamo molto spesso: ci chiediamo se stiamo bene, se siamo felici… Ma cos’è la felicità?  E dove la possiamo trovare?

Tutti rendono conto che definire con parole precise cosa sia la felicità è difficile. È un’emozione, una sensazione che rende soddisfatti e fa  stare bene, ci fa sentire in pace con noi stessi ed è qualcosa di cui l’uomo è sempre alla ricerca. La soddisfazione è una sensazione che si può ricondurre alla felicità, nonostante siano due cose parecchio diverse: la prima è infatti qualcosa che si ottiene con il tempo ed è duratura, mentre la felicità è qualcosa che ti coglie all’improvviso, non sai bene quando arriverà e non sai quanto durerà. Ed è questa sua presenza un po’ repentina e improvvisa che la rende ancora più desiderabile.

Molti si sono incamminati alla ricerca della felicità, ma le strade sono diverse da individuo a individuo. Ma una cosa comune nella maggior parte dei percorsi si è trovata: la fatica per raggiungerla. Infatti non è una cosa che si ottiene subito, ma ,anzi, la maggior parte delle volte che noi percorriamo un percorso cercando di raggiungerla, ci rendiamo poi conto che non è la strada giusta, accorgendoci che la felicità si può trovare anche in cose molto più piccole e semplici.

Sono molti i filosofi e gli intellettuali che si sono cimentati a trovare un senso alla felicità, a capire cosa fosse, da cosa provenisse e come raggiungerla. Una definizione molto  comune è che “la felicità è lo stato d’animo positivo di chi ritiene soddisfatti tutti i propri desideri”, e c’è perfino chi la riconduce all’amore.

In effetti l’amore è un desiderio, una passione, che se trovato può rendere davvero felici. Ma non è l’unica fonte di felicità: anche solo il veder realizzare un qualcosa rende felici. Il passare un pomeriggio con gli amici, o da soli a casa con la propria serie tv preferita… Insomma le fonti della felicità sono infinite e cambiano da individuo ad individuo. Sta a noi trovare le nostre fonti e viverle al meglio.

Ma io credo, senza stare a citare tutti i diversi pensieri  (perché sono davvero tanti) dei vari filosofi, che la felicità sia uno stile di vita. La felicità è fare quello che fa stare bene, è essere in pace con gli altri e, soprattutto, con se stessi. È trovare armonia in ogni nostra singola azione.

La felicità è in ognuno di noi, basta saperla trovare.

Marianna Ruggeri, 2 B Scientifico

 

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Positivo e negativo: timidezza da capire

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su Positivo e negativo: timidezza da capire

La timidezza è una caratteristica dell’uomo e, anche se in proporzioni diverse, è presente in tutti gli individui.

Come per tutte le cose, sarebbe ottimale avere un giusto equilibrio di timidezza e spavalderia o sicurezza in sé. Infatti l’eccesso di una delle due cose porta ad atteggiamenti non consoni alla società. Troppa timidezza crea una bolla che ci separa dall’interazione con altri individui, mentre troppa spavalderia porta all’arroganza e a non essere apprezzati dagli altri per questa sconveniente caratteristica. Inoltre la troppa sicurezza in ciò che si fa è come un paraocchi quando qualcuno cerca di farci capire un nostro sbaglio.

Il giusto equilibrio fra le due cose, però, porta ad avere un individuo cosciente delle sue azioni, che sa distinguere quando è opportuno comportarsi in certi modi o in altri e che riconosce i suoi errori e impara da questi.

La timidezza e la sicurezza in sé hanno equilibri differenti in momenti, contesti e azioni differenti. Infatti un uomo può avere comportamenti non consoni alle buone norme quando si trova in una situazione in cui non conosce nessuno e non ha paura di eventuali conseguenze e essere al contempo molto timido in presenza di qualche suo conoscente o viceversa. Come ho detto tutto dipende dalle circostanze e dal carattere di ogni individuo. Dico questo in base alle mie esperienze e alle situazioni in cui mi sono trovato a chiudermi in me stesso per la timidezza o a esplodere come una bomba a orologeria per l’arroganza.

Sono molte le differenti casistiche in cui può avvenire l’una o l’altra cosa, e qui non c’è né spazio né tempo per elencarle tutte, ma posso dire che in molte situazioni è meglio osare ed essere un po’ spavaldi che non ritirarsi per la paura o la timidezza e rimandare gli avvenimenti. Sempre però riflettendo sull’etica e la moralità delle proprie azioni.

La timidezza può essere vista anche come la semplice paura di fare butta figura, come quando gli attori durante uno spettacolo si trovano sul palco davanti a centinaia di persone e devono farsi coraggio per superare il timore di mostrarsi male: timore che si traduce in timidezza. Infatti in molti, a causa della soggezione, parlano con un tono troppo basso per essere udito dal pubblico.

Ma la timidezza non ha solo lati negativi. Ci permette di ragionare prima di compiere azioni sconsiderate e, nelle relazioni con altre persone, può essere un ostacolo sì, ma al contempo ci permette di scegliere di interagire con le persone che ci sembrano più affidabili o simpatiche e non con quelle che invece non ci ispirano molta fiducia.

Ciò permette la creazione di una cerchia di amici ristretta ma affidabile. Come si dice: pochi ma buoni.

Simone Cairola, 2 A Scientifico

 

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Quando i pregiudizi cancellano i giudizi

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su Quando i pregiudizi cancellano i giudizi

Troppe volte ci capita di cadere in errate prevalutazioni: alcune persone sembrano simpatiche e altre meno e da ciò iniziamo a comportarci in un modo o in un altro.

Nella maggior parte dei casi, però, questi pregiudizi sono totalmente opposti a quello che poi si mostra essere la realtà. Sono infatti loro che ci portano ad avere una mentalità chiusa, a rigettare ogni nuova proposta e, magari, anche ad allontanare nuove possibili amicizie.

Purtroppo la parte di mente che assegna caratteristiche a qualcosa o qualcuno determinandole con il solo sguardo – ma a volte basta sentire un nome –  è autonoma e incontrollabile: nessuno può decidere come gli sembra una persona, è il nostro cervello che ci guida. È un po’ come una questione di compatibilità che il nostro ammasso di neuroni e sinapsi decide indipendentemente, senza la consapevolezza della realtà.

Pertanto dobbiamo imparare a convivere con questi pregiudizi, tanto “involontari” quanto lo è per noi respirare nel sonno. La massima attenzione quindi la dobbiamo prestare invece al nostro comportamento, per non cadere in false supposizioni che potrebbero indurci ad atti incauti; perché un conto è avere un pregiudizio su qualcuno, un altro è basarsi totalmente su quello per descrivere quella persona.

Convivere coi pregiudizi non è semplice, ma ancor di meno lo è imparare a non farsene influenzare. E riguardo a ciò le possibilità non sono molte. Una prima opzione è cercare di evitarli, rimanere indifferente con tutti fino a che non si entri in contatto con le vittime della tua mente e provare definitivamente la veridicità di quel tuo pregiudizio.

La seconda opzione, la più aggressiva per me, è provare ogni tuo pregiudizio errato: confutarli, combatterli e, qualora dovessero risultare corretti, avranno avuto ragione loro. Eventualità che si presenterà comunque molto raramente, a meno che non siate telepatici.

Quindi, la prossima volta che ti verrà presentata o descritta una persona, stai attento ai tuoi pensieri: i pregiudizi sono inevitabili. Ma tenta di conoscerla più a fondo e decidere poi.

Giacomo Trezzi, 2 A Scientifico

 

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Vivere o morire? Album introspettivo

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su Vivere o morire? Album introspettivo

“Vivere o Morire” Motta (Sugar)

“Vivere o Morire” è l’ultimo album del cantautore Francesco Motta, uscito il 6 aprile 2018. Rispetto al suo precedente lavoro di due anni fa, “La Fine Dei Vent’Anni” (che era anche il suo primo da solista dopo aver cantato nei Criminal Jokers), non c’è alla produzione Riccardo Senigallia, ma lui stesso con Taketo Gohara, uno dei migliori sound engineer al momento in Italia, e se prima appunto si trattava della fine dei vent’anni ora la scrittura risente di un uomo che è cresciuto, un pensiero la cui evoluzione è durata trent’anni.

Lui stesso si definisce “un giovane cresciuto”: ebbene sì, vivere o morire? Motta ha scelto di vivere, e questo disco è una risposta a tutti i perché de “La Fine Dei Vent’Anni”.

È un album quindi molto introspettivo, senza filtri, con un potenziale comunicativo altissimo: racconta degli angoli di vita senza tratti fiabeschi.

E per quanto faccia per certi versi inquietudine dalla copertina e dalla sua voce amara, sporca, Motta ha una delle voci più dolci che io conosca. Dentro quell’amarezza si legge una sensibilità inaudita. Un’amarezza talmente dolce che crea qualcosa di inesprimibile.

Il futuro dell’Alternative per me è più chiaro e delineato rispetto a qualsiasi altro genere o sottogenere elettronico del momento. In qualche modo quest’ultimo costringe a stare in determinati limiti, mette dei paletti.

Perché nella musica è fondamentale la libertà, e questo è un album libero.

Se prendiamo ad esempio la prima traccia “Ed È Quasi Come Essere Felice”, con la sua durata (quasi di cinque minuti, cosa che non troveremo mai in un album mainstream) fa da preludio, come se fosse una boccata d’aria prima di un’immersione, per prepararsi ad ammirare il fondale e risalire lentamente per respirare un’aria nuova.

Matteo Francesco Buonanno, 5 A Tecnico

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CRLN: un album ipnotico, che sussurra

Posted by admin On Agosto - 27 - 2018 Commenti disabilitati su CRLN: un album ipnotico, che sussurra

“Precipitazioni”  CRLN (Macro Beats) 

Si scrive CRLN, si legge Caroline. L’ho scoperta pochi mesi fa, anche se avevo già letto in precedenza una sua intervista per redbull.com nella sezione musica. La ragazza è parecchio interessante, mi attira parecchio la sua personalità e l’intenzione del suo album “Precipitazioni”.

All’interno ci sono dieci brani tutti prodotti da Gheesa e Macro Marco, un producer hip-hop validissimo (nonché fondatore della sua etichetta), che si è lasciato trascinare verso un mondo alternative rimanendo nel suo mood hip-hop, con una spolverata di trap. È un disco ipnotico, di quelli che vanno ascoltati in silenzio, magari in macchina mentre piove.

“Precipitazioni” ha un filo conduttore: la voce. È spesso accompagnata da una chitarra acustica messa proprio davanti, magnetica, che tiene per mano e allo stesso tempo sostiene la voce di Caroline dandole peso e profondità, oppure da un beat e dei cori che fanno andare da un’altra parte.

La musica di CRLN ci fa capire che non è necessaria una considerevole dinamicità nell’interpretazione vocale, che non c’è bisogno per forza di bisbigli nella strofa e urli nel ritornello, per comunicare. Lei mantiene sempre quell’intensità che, per quanto sia statica o “sempre uguale” (come ho sentito dire), riesce a sussurrarci ciò che vuole dirci trasformando la canzone, tramite un testo abbastanza ricercato, in un dialogo fra lei e l’ascoltatore.

Se si ascolta con attenzione, in tanti possono rivedersi nelle parole di Caroline.

Vedo molto in questo album, era qualcosa che (almeno completamente in italiano) non avevo mai sentito.

Matteo Francesco Buonanno, 5 A Tecnico

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