Saturday, November 1, 2025

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Fracci al Coreutico: esperienza di vita

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Fracci al Coreutico: esperienza di vita

È ormai da qualche anno che l’Istituto Locatelli ha avviato anche l’indirizzo Coreutico: l’arte della Danza inserita nella scuola, per imparare e affinare le proprie tecniche e capacità sotto la guida di abili insegnanti, tra i quali ora si aggiunge anche Carla Fracci,  ballerina di fama internazionale, che assume così la direzione artistica del liceo Coreutico e sarà presente in sede ogni settimana. Ma cosa vuol dire essere una ballerina?

L’utilizzo della parola ballerina spesso viene associato a qualcosa di superficiale, semplice e a volte squallido. Questa passione, invece, è considerata uno degli impegni più dignitosi e faticosi al mondo: ci si deve dedicare tutta la vita, giorno dopo giorno, partendo da quando si è bambini.

Il lavoro dei danzatori inizia solitamente davanti a immense pareti di specchi che li accompagnano durante il loro percorso. Questa implacabile e intensa esposizione quotidiana ha un forte effetto su quella che si definisce la propria immagine di sé; al contrario di quanto credono in molti, tanto tempo passato a ispezionarsi allo specchio non favorisce il narcisismo o la vanità: i danzatori si osservano con uno sguardo allenato a essere critico, competitivo e comparativo.

Fare la ballerina nella maggior parte dei casi è ritenuto semplice, approssimativo soprattutto durante le esibizioni, mentre è espressa leggerezza, delicatezza, si giudica il lavoro compiuto; solo pochi comprendono. In realtà dietro le quinte si nasconde un mondo composto da energia, movimento, forza, impegno ma soprattutto sacrificio. Attraverso la danza si sviluppa la bellezza del corpo, si ingentilisce l’animo e si acquisiscono armonia ed eleganza interiore ed esteriore. Purtroppo ancora oggi, in Italia, la danza non è considerata da tutti un’arte vera e propria: questo per la scarsa informazione che anche la televisione non contribuisce a fornire.

L’impegno è fondamentale per chi segue quest’arte, poiché senza di esso non si raggiunge alcun risultato. Il sacrificio è implicito nel percorso di ogni aspirante danzatore, che deve porre la passione davanti a molte cose nella propria vita: il divertimento, il tempo per gli amici e a volte la famiglia. Il termine “sacrificio” non implica malumore o fatica: per chi danza è un bisogno e i bisogni non pesano. Ogni ballerino deve sapere trovare dentro sé la gioia, il motivo per cui continuare e mantenere vivo questo senso di felicità e appagamento nel corso del tempo: può nascere da un piccolo progresso, da una coreografia che si riesce far propria o più semplicemente da come si esterna il proprio amore e la propria dedizione per quest’arte.

Se si riesce a coltivare e custodire la gioia che si ha dentro, si è anche capaci di trasmetterla al prossimo, non solo sul palco ma anche nella vita di tutti i giorni; la danza libera molte emozioni e “comunicare” è la parola chiave nella vita di ogni artista.

Chiara Salvi, 4A Liceo Coreutico

 

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Scuola e divisa: binomio che premia

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Scuola e divisa: binomio che premia

di Ortensia Delia, 3A Ls – 

Stare a scuola (facendo conferenze a noi studenti) e allo stesso tempo vestire la divisa di un Corpo importante e impegnativo come la Guardia di finanza? Si può, e un uomo in particolare ce lo dimostra ogni giorno: all’Istituto Aeronautico Antonio Locatelli ci parla di diritto informatico, ma nella vita di tutti i giorni lui, Mario Leone Piccinni, 45 anni, è tenente colonnello comandante del nucleo di Polizia Tributaria delle Fiamme Gialle di Lecco, specializzato in polizia economico  finanziaria, nella lotta alla criminalità e ai computer crimes. Lo abbiamo intervistato.

Tenente colonnello Piccinni, sappiamo che fin da bambino ha sempre avuto la passione per il mondo delle forze di polizia, ma questa passione da cosa è nata?

Penso la passione derivi dal fatto di essere cresciuto vedendo mio padre in divisa: era un maresciallo dei carabinieri.

Gli anni dell’Accademia, presumibilmente, sono stati molto complessi. Quali sono stati i più difficili e cosa l’ha spinta a continuare questo percorso così tortuoso?

I primi due anni in Accademia sono stati i più difficili; una volta entrato in Accademia passi dalla sfera protettiva e dalla comodità della famiglia a un contesto in cui vieni seguito dagli istruttori in maniera costante durante tutte le fasi della tua giornata e della tua vita. È  una situazione che si fa risentire a livello caratteriale e che ti segna; proprio per questo, molti soffrono e nel primo anno circa il dieci per cento dei ragazzi che sono riusciti a entrare in Accademia poi abbandona il corso. Ciò che mi ha spinto a continuare sono state la passione e la speranza di poter fare qualcosa di importante per gli altri. Inoltre diventa una sfida con te stesso, perché vuoi dimostrare che puoi farcela.

Qual è stata l’esperienza più difficile che ha incontrato nel suo lavoro?

L’esperienza più difficile dal punto di vista personale è sempre il distacco dalla mia famiglia, da mia moglie e dai miei figli: accade ogni volta che mi assegnano un nuovo comando lontano da casa o mi  capita di dover andare fuori per indagini. Dal punto di vista lavorativo invece, ogni cosa ti segna profondamente, devi sempre aspettarti di tutto. Quando lavori su dei criminali ti aspetti il peggio e sai a cosa stai andando incontro, ma il peggio è quando ti rendi conto che la criminalità è ovunque: lavorando nel reparto sanità, ad esempio, ho visto molta corruzione, a discapito dei più deboli, dei bambini, degli anziani… È qui che ti rendi conto che la criminalità non ha colore, non ha nazionalità e non la riconosci da come è vestita. L’esperienza più difficile in assoluto è stato il periodo in cui ho comandato l’aliquota antimmigrazione clandestina in Puglia, nei primi anni 2000; è stata un’esperienza provante soprattutto dal punto di vista personale perché ho visto situazioni di vita che mi hanno sconvolto: madri che abbandonavano i loro stessi figli, genitori che pensavano prima a se stessi e solo dopo ai figli, dando precedenza al proprio istinto primitivo di sopravvivenza; ragazze straniere che venivano ingannate e portate in Italia da uomini con la speranza di trovare lavoro e che si ritrovavano invece sul nostro territorio sfruttate come prostitute.

E l’esperienza più bella?

L’esperienza più bella, invece, si ripete ogni volta che riesco a aiutare dei genitori di fronte a problematiche dei loro figli, quando riesco a intervenire prima che il minore finisca in situazioni sbagliate a opera di criminali quando vengono adescati ad esempio su internet.

Lei, nella sua carriera lavorativa, ha mai fatto finta di non vedere, di non sentire o di non sapere? In caso contrario, ritiene che a volte sia utile farlo?

No, rispetto a situazioni gravi assolutamente no. Bisogna però fare delle differenze: non intervengo di fronte a situazioni che possono essere tranquillamente risolte senza bisogno di azioni drastiche o comunque ricomposte tra le persone eventualmente coinvolte. Di fronte a situazioni gravi o che magari coinvolgono minori non ho invece alcuna remora a intervenire.

Una domanda più leggera: cosa pensa del famigerato “fascino della divisa”?

Penso che tale fascino sia dovuto principalmente a un discorso di sicurezza e di protezione che viene trasmesso dall’uniforme, non è quindi un approccio grafico ma un approccio idealizzato.

C’è qualcos’altro che vorrebbe condividere con noi, comandante Piccinni?

Spero di avervi trasmesso, oltre all’aspetto tecnico e giuridico, anche un obiettivo e la voglia di seguirlo in maniera determinata e seria. Spero di avervi indirizzato a coltivare le vostre passioni in maniera consapevole e cosciente, perché basta veramente poco per rovinarsi la vita. Spero di avervi spinti a credere in voi stessi e a vivere la vostra età con un pizzico di occhio al futuro, investendo su voi stessi.

 

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Norton I, imperatore senza terra

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Norton I, imperatore senza terra

di Davide Della Tratta, 5A Ls –

Quante persone strane ci sono al mondo? E quanti di voi pensano che più si è pazzi e più si diventa famosi? Pensateci, ma adesso tenterò di dimostrarvi che la vita è fatta di avvenimenti inaspettati e che non serve essere per forza un talento per ricevere popolarità, quanto piuttosto un po’ di originalità. Inizio col dirvi che di tutto questo ne sapeva qualcosa Joshua Abraham Norton: non so quanti abbiano riconosciuto questo nome, ma tranquilli, ora ve lo presento.

Londra, 17 Gennaio 1819: nasce in una casetta un bambino di nome Joshua. È una famiglia agiata, la sua, e il padre è un imprenditore in carriera. Joshua trascorre tutta la giovinezza in Sudafrica, fino quando, spinto dalla sua fama di “paese delle possibilità”, a 30 anni si trasferisce a San Francisco, Stati Uniti. Il padre crede in lui: gli lascia 40.000 dollari per costruirsi una vita, e ci riesce.

Joshua diventa a sua volta un ricco imprenditore, ma a distanza di qualche anno, una scelta sbagliata gli cambia la vita: un investimento andato male su un carico di riso lo rovina. Si ritrova per strada. Tenta di recuperare i soldi attraverso vari ricorsi ma la Corte gli dà torto. A questo punto non vede altra scelta: un esilio volontario lontano dalla California, da cui però ritorna illuminato. Perché non modificare radicalmente il sistema (tanta audacia o pazzia è il dubbio)? 17 settembre, 1859: “A perentoria richiesta e desiderio di una larga maggioranza di questi Stati Uniti, io, Joshua Norton, […] dichiaro e proclamo me stesso Imperatore di questi Stati Uniti”. E la storia divenne leggenda.

Non posso nemmeno immaginare l’espressione di chi aprì la lettera. So solo che molti la gettarono nel cestino. Un simpatico direttore però, quello del San Francisco Bulletin, decise di pubblicarla con tono ironico e fu… un successo!

Vestito con un’uniforme blu e impugnando un bastone a mo’ di sciabola che usava anche per aiutarsi a camminare, iniziò a dispensare consigli di vita e proclami a tutta la città col nome di Norton I.

Con la sua crescente fama intraprese ispezioni nei cantieri navali e nelle strutture pubbliche, tenne interventi e si proclamò anche Protettore del Messico.

Forse per compassione, forse per il carattere, forse perfino per la sua audacia, in San Francisco Norton I era considerato alla fine veramente come l’imperatore e come tale visse fino al suo ultimo giorno di vita.

Non mancò di far stampare carta-moneta propria, oltre tutto ben accetta in città, e arrivò perfino a sciogliere il Congresso degli Stati Uniti a causa della corruzione di cui era disseminato. Ovviamente su questo punto non fu mai preso sul serio.

E pensate che sciolse la Repubblica in favore della monarchia, licenziando quindi anche un personaggio della caratura di Abraham Lincoln! Già, proprio lui, l’allora presidente degli Stati Uniti d’America.

Ma non finisce qui: fece anche arrestare il suo successore Andrew Johnson, condannandolo a pulire i suoi stivali. La polizia di San Francisco prese in mano la situazione in congiunta alle istituzioni: tentò di arrestarlo per sottoporlo a esami psicologici.

Nulla da fare, non sia mai: nel giro di qualche giorno dovettero rilasciarlo e il capo della polizia, Patrick Crowley, fu costretto a scusarsi con lui a causa della contrarietà della popolazione.

L’imperatore diventò una leggenda vivente. Non doveva pagare i trasporti pubblici, i ristoranti gli offrivano gratuitamente il cibo e riuscì anche a placare una rivolta anti-Cina interponendosi fisicamente tra le fazioni e sottolineando la virtù della tolleranza.

Non possiamo sapere se davvero fosse malato di mente, anche perché gli esami non riuscirono a farglieli.

Sta di fatto che lui faceva seriamente, seriamente credeva nel suo incarico, così come ci credeva la popolazione di San Francisco. D’altronde, cosa serve a un sovrano per essere tale se non il consenso dei suoi sudditi?

Era un barbone, ma fece di questa sua condizione qualcosa di innovativo e rivoluzionario. Fu originale, ci credette, ebbe carisma, virtù.

E se si può essere vagabondi e imperatori allo stesso tempo, allora nessuno ci vieta di diventare chi vogliamo.

 

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Premio D’Andrea: Aeronautico sul podio

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Premio D’Andrea: Aeronautico sul podio

Anche quest’anno, i ragazzi delle  classi quinte dell’Istituto Aeronautico “Antonio Locatelli”  hanno partecipato al concorso indetto dalla vedova di  Luigi D’Andrea, in onore del marito: il maresciallo D’Andrea era stato assassinato dal pluripregiudicato Renato  Vallanzasca dopo che lo aveva fermato presso il casello  autostradale A4 di Dalmine il 6 febbraio del 1977.

Tra i numerosi studenti che hanno partecipato al  concorso, il primo posto è stato assegnato a Davide  Della Tratta, frequentate la 5ªA liceo scientifico, premiato per il suo elaborato. Alla cerimonia di premiazione erano presenti molte  figure importanti e istituzionali, tra cui Giorgio Grasso, comandante della  Squadra Mobile di Bergamo.

I lavori presentati dagli studenti erano di vario tipo: alcuni alunni hanno presentato disegni realizzati da loro stessi a mano, altri invece si sono cimentati in lavori di tipo multimediale, mentre gli  studenti del nostro Istituto hanno partecipato al concorso  presentando dei temi svolti sotto la consegna della  professoressa Mariella Valenti. Proprio con un lavoro di questo tipo Davide si è aggiudicato il gradino più alto del podio; qui di seguito  alcuni stralci tratti dal suo scritto.

“Non si possono chiamare “Missioni di pace” quelle che calpestano i diritti umani –  ci dice Davide – Quelle  che vanno contro la volontà del popolo stesso, che  pagano il nemico per fornirgli un alibi. Argomentazioni  basate sull’apparenza, spesso infondate, mosse contro  i governi da fondamentalisti e anarchici, sempre più  spesso da persone annebbiate da una visione troppo  egoista dell’uomo”. Conclude poi con una frase ragionata e condivisibile:  “D’altronde la guerra è diventata un gioco, per ricchi,  ma pur sempre un gioco”.

Ortensia Delia, 3A Ls

 

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Premio in Fisica: alla Cattolica

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Premio in Fisica: alla Cattolica

Una quasi vittoria nel campo della fisica per gli alunni dell’Istituto Aeronautico Antonio Locatelli: la nostra scuola si è infatti classificata al secondo posto nel concorso indetto dall’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia “Catturare la fisica con l’ottica”.

Il nostro video, visibile sul sito www.fisicainlaboratorio.it, tratta di esperimenti realizzati proprio nel nostro laboratorio e riguardanti fenomeni dell’ottica metereologica come i miraggi, la spiegazione del perché la luce al tramonto e all’alba viene rifratta e il brillio delle stelle. Questi esperimenti sono stati presentati da due degli alunni della 1aB liceo scientifico, Sara Lucia Zappulla e Guido Pedone, mentre la presentazione è stata affidata a Fabio Bianchessi, della classe 5aA liceo; il montaggio e le riprese sono stati affidati invece agli alunni della classe 1aA tecnico: Piacentini Antonio e Malfer Manuel.

Il nostro professore di fisica, Ferdinando Catalano, ha curato la presentazione della parte riguardante la spiegazione del fenomeno della rifrazione della luce e la stesura della relazione scritta sugli esperimenti.

La premiazione, che si è svolta nella sala polifunzionale dell’Università Cattolica di Brescia, ha visto premiati, oltre al nostro istituto, anche il Liceo Aselli di Cremona (primo classificato) e l’Istituto Perlaca (terzo classificato).

In questo concorso erano in palio 1000 euro per il primo classificato, 600 per la scuola che si è posizionata nella classifica al secondo posto e il terzo classificato 400. Tutti questi fondi sono stati donati ai vincitori sotto forma di buono per l’acquisto di apparecchiature per il laboratorio di fisica ritirabili presso le due ditte sponsor. Inoltre i video delle  prime dieci scuole sono anche stati trasmessi in televisione su reti locali bresciane e sulle reti associate all’Università.

Il nostro preside, Giuseppe Di Giminiani, è stato molto lieto della vittoria e ci ha invitati a partecipare ancora nei prossimi anni al concorso in maniera da poterci qualificare al primo posto nella prossima edizione.

Nella speranza di poter vincere il primo premio alla prossima edizione ci accontentiamo del secondo posto e aspettiamo le nuove apparecchiature che il professor Catalano ha deciso di acquistare con la nostra vincita.

Guido Pedone, 1B Ls

 

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Blended winglets: “alette” sulle ali

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Blended winglets: “alette” sulle ali

Tutti le avranno già viste: da quello che si sa aiutano a risparmiare carburante, ma come funzionano e soprattutto perché non sono equipaggiate su tutti gli aerei? Soprattutto sugli aerei di riferimento single aisle per corto e medio raggio, in particolare il Boeing 737NG, risaltano sempre più spesso le alette d’estremità, ma non sono questi velivoli gli unici ad averle ,anche se in forme e grandezze diverse.

Inizialmente i winglets del 737 non avevano nemmeno uno scopo di aiuto aerodinamico, ma sono nati in seguito alla richiesta di un cliente privato che voleva differenziare il suo aereo dai 737 “normali” di una volta. A partire dal 1991, quando i primi jet privati del tipo Gulfstream II vennero equipaggiati con Blended Winglets, l’idea era aggiungere un tocco di eleganza, ma il risultato aveva poi sorpreso i costruttori stessi, fornendo agli aerei così equipaggiati – oltre a un risparmio di carburante – migliori ratei di salita e addirittura una diminuzione del rumore.

Risparmio enorme rispetto allo “standard”

Essendo il cliente al primo posto per i costruttori, sempre più aerei vennero quindi equipaggiati con i Winglets, anche se non si conoscevano ancora dati precisi sull’effettivo guadagno in termini di risparmio. Quando vennero poi pubblicizzati, molti erano scettici:  un 737NG con winglets rispetto allo standard avrebbe risparmiato tra i 360.000 e 490.000 litri di carburante all’anno, in base alle tratte d’impegno. E ben presto queste cifre vennero confermate: di conseguenza tutte le compagnie aeree volevano approfittarne al più presto possibile. Oggi come oggi, secondo alcuni produttori, sono addirittura in corso trattative per costruire winglets per i 737 Classic.

Meno turbolenza di scia e meno rumore

Pur conoscendo ormai gli effetti del winglet da parecchi anni, si cerca comunque ancora di influenzare al meglio la corrente d’aria sulle estremità alari. Una particolarità è che l’aria sul dorso dell’ala scorre più velocemente e defluisce all’estremità, mentre il vettore dell’aria che scorre più lentamente sul ventre va verso l’interno; si creano così alle estremità alari dei vortici causati dal rimescolamento dei due flussi d’aria.

Un winglet riesce ad assorbire in gran parte la resistenza indotta e la formazione dei vortici, impedendo al flusso d’aria di defluire dall’estremità alare e costringendolo invece a defluire nel senso opposto al movimento dell’aereo.

La risultante permette maggiore portanza, risparmio di carburante e una riduzione forte dei vortici creati all’estremità e di conseguenza una riduzione del rumore. Tutte queste motivazioni sono più che sufficienti per le compagnie aeree per aggiornare i propri aerei con i winglets.

Un B757 risparmia quasi 1 milione di litri all’anno

Oggi oltre ai 737NG c’è la possibilità di aggiornare anche molti altri modelli, tra questi il B767, l’intera famiglia A320 e – anche se ormai fuori produzione – del B757, molto diffuso e che vedremo nei cieli ancora per parecchi anni.

Per più di 540 B757 attualmente in servizio converrebbe l’aggiornamento. I primi ordini di winglets per un aggiornamento sono arrivati dalla Continental (ora United) nel 2004 e ancora oggi si fa fatica a consegnarli in tempo per l’altissima richiesta.

Aaron Fischnaller, 3B Ls

 

Uno sguardo nelle officine di produzione svela traffico e lavoro intenso. Vediamo il dettaglio.

In una prima sala, alcune squadre specializzate modellano uno strato alla volta di carbonio: li sovrappongono con un flusso di aria calda che permette di mantenere inizialmente il materiale lavorabile. Poi il tutto viene cotto in forno per circa 8 ore.

Dopo la cottura le due parti di winglet vengono unite inserendo costoloni per fornire stabilità e vengono montate all’interno le luci e i rispettivi cavi elettrici. La produzione di uno solo di questi piccoli e delicati pezzi, con circa 600 viti e bulloni oltre alle componenti principali in carbonio, dura 9 giorni.

Dopo aver riverniciato i winglets nei colori desiderati dal cliente, i prodotti finiti vengono spediti agli stabilimenti che li montano su aerei nuovi.

Quando l’aereo arriva nell’hangar, vengono rimosse le estremità alari originali, rafforzata la struttura delle ali, viene aggiornata l’elettronica e infine si montano i nuovi winglets.

Settantadue ore dopo l’arrivo nell’hangar si garantisce che l’aereo possa decollare nuovamente con un raggio d’azione superiore e un rumore diminuito di circa 6,5%, permettendo operazioni su aeroporti che richiedono un rateo di salita maggiore e impongono un limite di rumore particolarmente nelle fasce orarie notturne.

Aaron Fischnaller, 3B Ls

 

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The rooster by green eyes

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su The rooster by green eyes

Un esercizio di fantasia, invenzione e capacità linguistiche: questa è la piccola grande novità che vi presentiamo qui. Uno sforzo fatto direttamente in lingua inglese, senza il passaggio da un originale italiano. Buona lettura!

Adam Streetom, a stiff farmer from Canmore, owns a chicken coop with one hundred chickens.

Among the chickens, there was a rooster with bright green eyes. A strange species, maybe the only exemplar in the world. It was a gift of a friend of his who didn’t want to have it in his chicken coop because he thought the rooster was not worthy to keep it. Instead, Adam took it because by his opinion it was a perfect leader. Also, he thought that the rooster would have been a good advertise to sell more eggs.

When Adam was a young boy, he didn’t like to eat chickens, but his father forced him to eat them. Even today he hates chicken meat.

He was use to sell the eggs in Canmore Market in Alberta’s region.

One day, collecting the eggs with surprise he noticed that there were 179 eggs instead of 200.

He counted the chickens and they were 91 instead of 100 chickens.

What happened to the other ones?

There were no holes in the fence, what happened?

He spent all day checking the chickens but nothing happened. Tired, he had dinner with vegetables then he went to bed.

The day after, he found a feather on the bed, he thought he had carried it the night before from the chicken coop.

That morning he didn’t feel to have breakfast, he went right away to check the chickens and, with his great surprise, he found out that there were 89 chickens.

He was desperate: there were no way for the chickens to get out, but, again, chickens were missing. Adam was so hungry that he hasn’t eaten for two days, but everyday there were less chickens inside the fence. Adam, tired about this issue, decided to get back to the city and to give up selling eggs.

He went to pick up the chickens in order to sell everything but with his surprise he was chased by the Green Eyed Rooster, who was trying to bite him. Suddenly he heard a voice: «Do not move.»

«Oh my God!» said Adam.

«You can talk!»

«No, I cannot talk. You can hear me.»

Adam said: «If you can speak to me, tell me…what happened to the chickens?»

«You ate them I had forced to eat them during the night»

Adam, very scared run away. He went to his house in the city and tired fell asleep.

When he woke up, in front of him there was the rooster who said: “I am your father”.

Matteo Bonanno, 2A Tecnico

 

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Bevilacqua sul podio a “conGiulia”

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Bevilacqua sul podio a “conGiulia”

Venerdì 8 maggio si sono tenute le premiazioni del concorso “Un gancio in mezzo al cielo. Storie di speranza”, organizzato dall’associazione conGiulia  onlus, costituita dai genitori e da alcuni familiari e amici di Giulia, una ragazza di 14 anni colpita da grave malattia che non è riuscita a superare. Nel 2009 (due anni prima di morire) Giulia aveva vinto il primo premio al concorso letterario “I Racconti del Parco”.

L’8 maggio sono stati presentati i lavori vincitori per le varie categorie (testo letterario, performance, arti grafiche) e per i diversi ordini di scuola (primarie, secondarie di primo e secondo grado): tra loro, secondo classificato nel gruppo letterario per la scuola superiore di secondo grado, Matteo Bevilacqua, studente del primo anno al nostro Liceo. Ecco il suo scritto.

 

Concerto di emozioni

 Ricordo la scorsa estate in vacanza.

Ora è tutto finito, punto, stop!

Mi sento a un passo dalla fine e ormai ci corro incontro perché non ho scelta, la mia vita è in mano a un male, al male, che fare?

Prego, non so se sono ascoltato, prego più forte, urlo, non ho voce…

La mia anima è senza voce.

Sono a terra, voglio sprofondare, non ci riesco. E’ l’ennesima volta in sette giorni, i sette giorni più enfatici della mia vita, di sempre della storia.

Stavolta mi inginocchio, prego.

Più forte ancora, più forte…

Mi fermo. Respiro.

Improvvisamente sento una luce che mi illumina dentro, mi vedo dentro.

Il paradiso è a un passo da me, quasi lo tocco… Rido.

Rido come non mi sembrava di ridere da secoli, quasi mi sembra di non aver mai riso.

Mi sento un volpacchiotto nella tana, al caldo, vicino alla madre. Mi rassicura.

Guardo il sole, lo amo. Tocco le lenzuola del letto, sono candide come la neve che imbianca la pianura. Profumano di fiori di primavera.

Mi rendo conto che gli uccelli cantano, come hanno sempre cantato e l’acqua del torrente scorre gorgogliante tra le rocce.

La vita, solo la mia vita mi può dare ciò. Mette in mostra la bellezza come un pavone, sfoggia le piume dai colori sgargianti.

Solo lei mi fa provare dei sentimenti, belli e brutti.

Ciò che vedo, ciò che ho davanti è lo spettacolo della vita.

 

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Vivere insieme in Convitto: un’occasione

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Vivere insieme in Convitto: un’occasione

Convitto, un’opportunità per tutti. Come sappiamo la nostra scuola è una delle poche in Italia ad avere un convitto privato. Questo rappresenta soprattutto un’occasione per frequentare ragazzi da tutta la nazione e conoscere le loro diverse tradizioni. Nel convitto si vive tutti insieme, in camere singole, doppie o per quattro persone.

Al mattino due pullman partono dal convitto fino alla scuola e il contrario succede al pomeriggio, quanto, terminate le lezioni, veniamo riaccompagnati fino a “casa”. Dopo il viaggio di ritorno, siamo liberi di giocare nel campetto, lavarci o semplicemente rimanere in camera a leggere, studiare, ascoltare musica.. Insomma, quel che vogliamo.

Chiedendo il permesso, si può anche uscire per andare all’oratorio o negli altri luoghi di svago presenti a Madone. Tutti sono comunque obbligati a rientrare prima delle sette, poiché a quell’ora si cena. Ecco perché è vietato arrivare in ritardo o portare con sé cellulari, regole che si uniscono alle altre varie norme da rispettare per mantenere la calma e un po’ di disciplina.

Alle otto circa il preside Giuseppe Di Giminiani, che abita praticamente insieme ai ragazzi, da’ il permesso di salire.

Sempre chiedendo l’autorizzazione si può stare fuori dalle camere fino alle dieci e mezza, ma non c’è un orario entro il quale si debba dormire: beninteso, a patto che non si faccia troppo rumore.

La cosa più dura per molti è il risveglio, quando si avrebbe voglia di ritornare a letto per dormire ancora un po’. Ma state tranquilli, il sonno si può recuperare durante le ore di lezione: però non ditelo ai prof!

Sara Lucia Zappulla, 1B Ls

 

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Cena in Convitto: rito di condivisione

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Cena in Convitto: rito di condivisione

In convitto la cena è un momento di condivisione e di unione dove ognuno parla della propria giornata, si ride e si scherza. Già dai tempi antichi la cena (coena) aveva assunto questa connotazione particolare.

Ci si sedeva a tavola, o meglio sul triclinium all’epoca dei romani, alle 16 e iniziavano a giungere gli ospiti. Gli abiti erano eleganti e, accompagnati da musiche, danze e canti, i festeggiamenti si protraevano fino all’alba. Inizialmente tutto si svolgeva nell’atrio ma, con l’ingrandirsi delle case, nacque la stanza da pranzo, che è poi arrivata fino ai nostri tempi. Anche da noi in Convitto.

Al tempo la coena era un rito molto complesso: gli ospiti erano annunciati dai nomenclator, i servitori cambiavano le tovaglie a ogni portata e vi era addirittura un numero perfetto di commensali! Nove o multipli di nove fino a un totale di trentasei commensali, disposti ciascuno secondo un ordine ben preciso.

Ogni banchetto, simile alle nostre tavolate, eleggeva un sovrintendente, detto triclini arca, che aveva il compito di scegliere i vini e, in aggiunta, anche decidere la proporzione da utilizzare tra vino e acqua.

Vi erano prima gli antipasti, poi le primae mensae e le secondae mensae. Oggi tutto questo ha subito una grossa evoluzione, ma i valori fondamentali non sono stati tralasciati: ecco perché ancora adesso la cena in convitto è soprattutto un momento di incontro tra tutti noi studenti.

Matteo Bevilacqua, 1B Ls

 

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Italia: 100 anni fa la Prima Guerra

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Italia: 100 anni fa la Prima Guerra

Esattamente un secolo fa il nostro Paese entrava nella Grande Guerra. Il 24 maggio 1915, l’Italia dichiarava guerra all’Austria-Ungheria a fianco di Francia, Gran Bretagna e Russia. Inizialmente chiamata “guerra europea”, con il coinvolgimento delle colonie dell’Impero britannico e di potenze extraeuropee, come gli Stati Uniti d’America e l’Impero giapponese, prese il nome di “Guerra Mondiale” o “Grande Guerra”.

Si trattò infatti del più grande conflitto armato mai combattuto fino alla Seconda Guerra Mondiale, per non parlare della carneficina costata al popolo italiano oltre 600.000 morti e un milione di feriti.

Particolarità di questo conflitto furono le modalità innovative con le quali venne combattuto. Inizialmente si presentò come una battaglia dell’800: tedeschi, austriaci, russi, francesi e britannici entrarono in battaglia seguendo istruzioni tattiche ispirate ai conflitti ottocenteschi. Poi però le nuove armi tecnologiche, la leva e un formidabile apparato industriale si allearono per cambiare radicalmente le nuove regole, le tattiche e le strategie belliche. I copricapi piumati, le uniformi variopinte, i cavalli ed i cavalieri lasciarono il posto agli elmetti di ferro, ai camion, ai tank, alle mitragliatrici, ai sommergibili, agli aerei.

Anche l’aria divenne un campo di battaglia: queste “macchine volanti” furono il simbolo di un grande progresso. Il loro contributo alle operazioni militari infatti si rivelò subito fondamentale nelle missioni di ricognizione per osservare il nemico oltre le linee, scoprire i suoi movimenti e sfruttarne gli errori.

Questa ventata di modernità coinvolse anche la popolazione femminile  che, durante questo conflitto, ebbe un ruolo di primo piano. Benché la donna venisse per lo più rappresentata come infermiera e dama di carità, non dobbiamo dimenticare che la manodopera femminile fu impiegata in quei lavori sino ad allora svolti da uomini: negli uffici, nelle fabbriche, nelle industrie tessili, persino nella produzione bellica e in quella agricola.

Sebbene siano trascorsi cento anni il ricordo del sacrificio dei caduti in guerra rimane sempre vivo, come ci ricorda la campana dei caduti di Rovereto che, ogni sera al tramonto, con i suoi cento rintocchi vuole rivolgere un monito di pace universale.

Riccardo Bernocchi, 1B Ls

 

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Censura: riflettiamoci un po’ sopra

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Censura: riflettiamoci un po’ sopra

Dopo gli anni in cui veniva letta la posta altrui, venivano cancellate intere parti di libri prima che venissero pubblicati, ci dicono che la censura è stata abolita. Sottolineo il termine “ci dicono”, perché non tutto ciò che dicono avviene davvero.

Abolizione non è una garanzia, abolizione è una parola detta da un bugiardo: ci sono le stesse possibilità che sia vera oppure falsa, e tu non saprai mai con certezza quale sia l’opzione vincente.

Le testate giornalistiche, le emittenti televisive e radiofoniche ormai sono monopolizzate da pochi, noi siamo nelle mani di pochi: loro scelgono cosa farci sapere e cosa no, loro scelgono che tipo di pasta farci mangiare, siamo persone libere ma incatenate.

Ma la vera censura non scritta avviene nella nostra mente, il nostro pensiero è il nemico peggiore; prima di esprimerci anche senza accorgercene la nostra mente filtra tutto attraverso gli ideali a cui fin da piccoli siamo stati abituati.

La censura c’è ancora, la causiamo noi e la causano altri, a discapito di tutti. Non vi è più libertà di parola, non vi è mai stata. Neghiamo l’umanità a noi stessi.

Marcello Colombi, 1A Ls

 

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Set cinematografico? Deserto cercasi

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Set cinematografico? Deserto cercasi

Poco a nord della città spagnola di Almeria, una trentina di chilometri più a settentrione, ci si imbatte in una zona arida e spoglia, un vero e proprio deserto, il Desierto de Tabernas, unico nell’intera Europa: l’altopiano, a circa quattrocento metri di altitudine, è stato però protagonista di numerosi film Western.

Veri e propri set cinematografici furono imbastiti lì per i film di Sergio Leone, simulando l’aspro territorio statunitense. Il deserto è anche riserva naturale di molti animali che popolano questi ambienti. Una particolarità della riserva è la presenza di un’enorme cascata nel mezzo della stessa.

Amedeo Pagnoncelli, 2B Ls

 

Poco al norte de la ciudad española de Almería, a unos treinta kilómetros más al norte, se cae sobre una zona árida y desnuda, un verdadero desierto, el Desierto de Tabernas, único en toda Europa: la meseta, sobre cuatrocientos metros sobre el nivel del mar, sin embargo, fue la estrella de numerosas películas Western. Verdaderos set cinematrográficos  fueron preparados allí para las películas de Sergio Leone, simulando el  áspero territorio de Estados Unidos. El desierto es también la reserva natural de muchos animales que habitan en estos ambientes. Una particularidad de la reserva es la presencia de un enorme cascada entre la misma.

Morena Serapilha D’Horta, diplomata 2014

 

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In guerra per 100 anni: una città sola

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su In guerra per 100 anni: una città sola

The war between the United Kingdom and Russia involved the town of Berwick-upon-Tweed, which was officially at war alone with Russia for 110 years.

For centuries infact England and Scotland alternately assumed control over the town for its borderline location. In documents of State they referred to the town as a “separate entity”. With the outbreak of the Russian-Crimean War, United Kingdom declared war on Russia in the name of Great Britain, Ireland, Berwick-upon-Tweed and all British possessions. But when the war ended two years later, in 1856, the Paris peace treaty failed to mention Berwick.

So Berwick was technically at war with Russia until 1966, when a Soviet officer realized the situation and visited the village to declare peace.

The Mayor of Berwick ironically said: “Please tell the Russians they can now sleep peacefully in their beds!”

Riccardo Angeleri, 2A Ls

 

La città di Berwick-upon-Tweed, durante la guerra tra l’Inghilterra e la Russia, è rimasta ufficialmente in guerra da sola per circa 110 anni. Per secoli infatti l’Inghilterra e la Scozia si sono alternate prendendo il controllo di volta in volta di questa cittadina, a causadella sua posizione di confine. Nei documenti di Stato hanno fatto riferimento alla città come a una “entità separata”. Con lo scoppio della guerra Tra Russia e Crimea, il Regno Unito dichiarò a sua volta guerra alla Russia nel 1854 e lo fece formalmente in nome di Gran Bretagna, Irlanda, Berwick-upon-Tweed e tutti gli altri possedimenti britannici.

Ma quando la guerra finì due anni dopo, nel 1856, il trattato di pace di Parigi non nominò in nessun punto la città di Berwick. Così Berwick è rimasta tecnicamente in guerra con la Russia fino a 110 anni più tardi, nel 1966, quando un ufficiale sovietico, resosi conto della situazione, fece visita alla cittadina per dichiarare la pace. Il sindaco di Berwick ironicamente ha commentato: “La prego di dire ai russi che ora possono dormire sonni tranquilli nei loro letti!”.

 

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Sabba e serpenti a sette code: Spagna

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Sabba e serpenti a sette code: Spagna

Si sanno molte cose sulla Spagna, ma ci sono ancora fatti curiosi e poco noti, come i racconti del Pico Larrun, un vulcano spento sui Pirenei, tra Francia e Spagna. Si diceva infatti nel ’600 – epoca del sospetto che il male albergasse ovunque – che sulla sua cima avvenissero “sabba”, cioè incontri tra le streghe e il diavolo.

Le leggende però continuano ancora oggi: infatti si dice che nel cratere viva un serpente a sette code.

Un altra curiosità è che a Ponferrada, nel nord-ovest della Spagna c’è un castello usato dai Templari dal 1185 per proteggere i pellegrini verso Santiago de Compostela.

Alvise Zonca, 2B Ls

 

Se saben muchas cosas sobre España, pero hay hechos curiosos y todavía poco conocidas, como las historias de Pico Larrun, un volcán extinto en los Pirineos, entre Francia y España. Se decía en el ‘600 – edad de la sospecha de que el mal vivía en todas partes – que sobre su cima  habían “sabba”,  es decir, las reuniones entre las brujas y el diablo. Las leyendas, sin embargo, continúan aún hoy: se dice que en el cráter viva un serpiente con siete colas. Otra curiosidad es que en Ponferrada, en el noroeste de España hay un castillo utilizado por los Templarios desde el 1185 para proteger a los peregrinos en camino hacia Santiago de Compostela.

Morena Serapilha D’Horta, diplomata 2014

 

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Un personaggio speciale: padre Zambotti

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Un personaggio speciale: padre Zambotti

di Lorenzo Leoni, 3A Ls – 

Siamo a maggio, la scuola sta giungendo al termine e, con un po’ di amarezza, è andata in stampa anche l’ultima edizione del “Corriere dell’Aeronautico”. Pertanto, abbiamo deciso di congedarci con i fuochi d’artificio, realizzando un’intervista esclusiva a un professore un po’ speciale: padre Renzo Zambotti.

Quest’anno è necessario riconoscere il tiro andato a segno del preside poiché non poteva scegliere persona più idonea all’insegnamento della religione cristiana, fondamentale per la crescita interiore di noi adolescenti: lui che, al termine del terzo anno di teologia, venne esortato dai suoi superiori a lavorare nel carcere di Bologna.

Non sono molti gli istituti bergamaschi che possono vantare un insegnante così ricco spiritualmente e che ha avuto l’opportunità di assistere uomini deboli sotto tanti profili; quindi, l’intervista si è focalizzata su questa esperienza.

Padre Renzo spiega di aver scelto quella via per tre precise motivazioni: la necessità di testimoniare l’amore di Dio verso i più piccoli d’animo, la certezza che la pace del mondo parta dai più poveri e la convinzione che una società si possa definire “civile” quando si fa carico delle persone in difficoltà.

Tuttavia, come è possibile avvicinare a sé uomini che sembrano incapaci di amare? I buoni propositi non bastano, pertanto il frate si avvaleva di un metodo “made by Renzo”, basato sul principio “corpo-cuore-testa”: donare il proprio tempo gratuitamente e nella capacità di comprendere la differenza tra il bene e il male.

Ma quale può essere stata la sua più grande soddisfazione al termine di tale missione, che lo ha allontanato dalla sua famiglia e lo ha inserito in un contesto che non tutti sono in grado di accettare? La risposta è un po’ inaspettata, perché Padre Renzo ci ha raccontato  questo: “Inizialmente pensavo di essere io ad aiutare il prossimo ma, con il tempo, ho imparato a pregare, a credere, ad amare e a vedere la realtà con gli occhi di Dio”. Il frate si è soffermato altresì su quanto l’esperienza vissuta sia ancora viva nel suo cuore e infine ha voluto spendere qualche parola sulla propria permanenza in Africa.

Una esperienza forte, che ci ha descritto per filo e per segno:  la vita in missione, le emozioni che ha provato nel vivere in una civiltà dove la fame è all’ordine del giorno, l’acqua scarseggia e si muore per un semplice raffreddore: “Ho avuto difficoltà a integrarmi inizialmente –  ha spiegato il professore – Infatti mi risultava difficile dialogare con uomini dediti a una cultura così radicalmente diversa da quella occidentale. Ciononostante, vi erano valori condivisi come l’amore e il rispetto reciproco che mi hanno permesso di diffondere il messaggio di salvezza cristiano”.

Padre Renzo è un esempio per la società e noi tutti dobbiamo alzarci e applaudire un uomo che desidera donare all’umanità un futuro straripante di speranza e felicità.

 

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Padre Reali: “l’uomo della Sindone”

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Padre Reali: “l’uomo della Sindone”

Docente, sacerdote, scrittore: e oggi il nostro Marco Tommaso Reali parla  escrive nientemeno che della Sindone. Sacerdote appartenente all’ordine dei domenicani, con licenza e dottorato in Teologia Morale, docente presso l’Istituto Superiore SS. Vitale e Agricola di Bologna e, fino all’anno scorso, a tempo pieno anche al Liceo Scientifico A. Locatelli: non contento ha realizzato “L’uomo della Sindone” (oltre ad altri libri).

Nonostante le sue diverse occupazioni, Padre Tommaso si diletta  infatti nella scrittura di libri: martedì 3 marzo ha presentato proprio l’ultimo nella trasmissione televisiva “Il caffè di Raiuno”; precedentemente il libro era stato presentato al Centro culturale San Bartolomeo di Bergamo, dove è stata proposta una lettura “anatomica e spirituale” della Sindone, ovvero il lenzuolo più studiato di tutti i tempi, dove si ritiene sia stato avvolto il corpo di Cristo in seguito alla sepoltura. Tutto ciò viene narrato evidenziando due eventi che tutti i credenti attendono, ovvero la morte e la resurrezione: come spiega nel suo libro padre Tommaso, la Sindone può aprire un dialogo interiore tra Dio e il diretto interessato, dando inoltre la possibilità di rafforzare o scoprire il credo nella fede Cristiana.
Nonostante siano già stati scritti diversi libri sulla Sindone, padre Reali spiega che attraverso il suo libro vuole sviluppare una ricognizione della Sindone stessa, che non sia solo il racconto della passione e della resurrezione di Gesù, ma che sia anche in grado di toccare la vita di ciascun credente che ama questa reliquia e desidera usufruirne per un cammino interiore, che possa giungere a collegare la storia e gli avvenimenti della vita di Gesù con la propria storia, e tracciare una moderna antropologia spirituale.

Oltre al libro precedentemente citato, padre Reali ha scritto anche “Lo scrigno del viandante” e “Elementi di morale economica”, anch’essi rivolti a un interesse spirituale e cristiano.

Pietro Daminelli, 3A Ls

 

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Consulta: cercasi volontari

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Consulta: cercasi volontari

Carissimi,

l’anno scolastico volge al termine e la Consulta Provinciale degli Studenti bergamasca che mi avete chiamato a dirigere inizia a spuntare i primi risultati sulla lista degli obiettivi. Già, perché così come il ritmo scolastico si intensifica in prossimità delle pagelle, verso la fine dell’anno si corre per portare a casa ciò che si è organizzato lungo tutti i nove mesi scolastici. Finora siamo riusciti ad organizzare uno stand presso la fiera del librai di Bergamo con i giornalini scolastici di diversi istituti bergamaschi (incluso il nostro Corriere dell’Aeronautico!), mentre il 21 marzo, giornata in memoria delle Vittime di Mafia, abbiamo organizzato in fiera un incontro con don Giacomo Panizza, prete antimafia che opera in Calabria. Abbiamo inoltre lasciato lo spazio agli studenti per dire ciò che volevano sulla riforma della Buona Scuola con un intervento all’auditorium del Natta, oltre ad aver partecipato a numerose campagne, come “Azzardo Bastardo”, gestita dal comune di Bergamo per informare sui rischi del gioco d’azzardo, e ad aver dato la possibilità ad alcuni “consultini” di partecipare a un viaggio d’istruzione al Parlamento Europeo di Strasburgo.

Mi ha davvero reso orgoglioso l’impegno messo dagli studenti della nostra scuola nell’organizzare le squadre per i tornei interscolastici: è bellissimo vedere come un evento sportivo per il quale ti sei speso molto arrivi nelle scuole e diventi realtà, è il bello di essere responsabile di un’istituzione come la Consulta ancora troppo poco conosciuta ma che, durante quest’anno, ho fatto il possibile per far conoscere, tramite i media locali e le visite mattutine nelle scuole. Obiettivi finali: giornata dell’arte il 30 maggio al Polaresco, dove sarà esposta la creatività degli studenti bergamaschi (musicisti, pittori, ballerini: ben vengano adesioni!), maglietta degli studenti bergamaschi (ricavato pro Nepal), trasmissione su BergamoTv (coming soon…). E non dimenticate che io a ottobre “scado”: sono stanco, non è che qualcuno abbia voglia di sostituirmi? Appuntamento alle elezioni!

Daniele Pinotti, 4B Ls

 

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Memorie di una consultina: fiori e spine

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Memorie di una consultina: fiori e spine

“Scusami neh, ma cos’è ’sta Consulta?”. Me l’hanno chiesto davvero in tanti, quando decisi di candidarmi per rappresentare la mia scuola, il Liceo Linguistico Falcone.

Rispondevo accademicamente: “La Consulta Provinciale degli Studenti è un organo rappresentativo studentesco istituito nel 1996 e composto da 2 rappresentanti eletti in ogni scuola superiore, statale o paritaria, e organizzato su base provinciale e blablablabla […] che si occupa di fare rete tra gli studenti rappresentandoli in maniera istituzionale, coordinando le azioni delle varie realtà del territorio in maniera che blablablabla”. Una quindicina di minuti dopo mi fermavo, tiravo il fiato con un sorriso soddisfatto stampato in faccia, conscia di aver dato una risposta esaustiva, rotonda e completa, con giusto un paio di citazioni di grandi politici italiani e con tanto di riferimenti puntigliosi a documenti ufficiali, carte dall’aria aristocratica e compagnia bella.

“Ah ok figo, ma quindi cos’è che fate voi della Consulta?”. Silenzio. E che potevo mai rispondere? Dopo aver passato un quarto d’ora a vomitare definizioni da Treccani (lette la sera prima su Wikipedia) non avevo la più pallida idea di cosa si facesse concretamente.

Ora che sono quasi alla fine del mio mandato forse posso azzardare una risposta: la Consulta è un mostro policefalo. Un organo istituzionale con attaccate una centoventina di teste, ognuna con proprie idee e proprie posizioni. E cosa ne facciamo con tutte queste belle teste?

La verità è che per la maggioranza del tempo discutiamo, ci impegniamo a far prevalere la nostra opinione, e ci accorgiamo che l’unico modo per riuscire a cavare un ragno dal buco è ascoltarsi, confrontarsi, rispettarci e tutte quelle cose buonistiche che i nostri genitori ci tirano dietro sin dall’asilo, quelle robette apparentemente semplici, ma che in realtà sono così difficili da applicare.

Per il resto del tempo, beh, mettiamo a frutto tutte le discussioni che facciamo e le caliamo in qualcosa di concreto. Avviamo progetti, incontriamo le realtà del territorio e partecipiamo, facciamo sentire l’opinione degli studenti, che non è mai solo la nostra, è una voce che rimane come ultimo lascito di tutto quel civil discutere di cui parlavo poco prima. Organizziamo convegni, dibattiti, Giornate dell’Arte (momento spottone: 30/05 @Polaresco, non mancate!), aiutiamo i ragazzi come noi a fare rete e confrontarsi, a scoprire le possibilità che il territorio offre e proviamo a crearne di nuove, nel nostro piccolo. Viaggiamo: alcuni miei “colleghi” consultini sono andati in Europarlamento a Strasburgo e ci hanno riportato la loro bellissima esperienza, il nostro Presidente è andato ad Auschwitz, altri compagni andranno a Roma a visitare il Vaticano e la Camera dei Deputati.

Sinceramente, la definizione migliore che ho trovato per descrivere ciò che vuol dire per me essere un membro attivo della Consulta è dire che “faccio cose, vedo gente”. Ovviamente non è tutto rose e fiori. La rappresentanza è un’attività che, se svolta con interesse e serietà, pretende tanto tempo.

Si esce da scuola, un panino al volo e si è già da qualche parte per una riunione, un convegno, qualcosa. Bisogna confrontarsi con individui dalle idee completamente divergenti alle nostre, passare ore a pianificare qualcosa, sommergersi di mail e di messaggi – specie da parte del Presidente che ti tormenta via WhatsApp chiedendoti di scrivere un articolo da consegnarsi il giorno dopo – alle quali rispondere sempre con buona creanza e prontezza, perché da quella mail può dipendere la buona riuscita di ciò a cui stai lavorando da mesi.

L’arricchimento personale, poi, è incalcolabile. “Consulta” è anche e soprattutto amicizia. Le CPS sono una formazione politica dove le lotte di partito passano in secondo piano, perché in fondo ci conosciamo tutti personalmente, e c’è chi sta più simpatico e chi meno, ma riconoscendoci tra noi come simili è difficile che si scatenino vere e proprie faide “politicide” come quelle a cui ci hanno abituato taluni figuri in quel di Roma.

“Consulta” è imparare, davvero tanto. Imparare che anche i politici sono persone, anche se spesso se lo dimenticano. Imparare che l’unico modo di farsi rispettare è rispettare, e che una birretta stappata in compagnia dopo una piccola conquista ha un sapore tutto particolare.

Al di là di ogni buon aspetto e soprattutto buonismo, la Consulta di Bergamo ha anche i suoi limiti. Per esempio, la presenza media alle riunioni è di 40 persone quando va bene, tagliando così un canale di comunicazione diretto con certe realtà studentesche. Un altro esempio è che non avendo potere decisionale ma solo, appunto, consultivo, non può certo migliorare le cose con uno sfavillante colpo di bacchetta magica, ma potrebbe sicuramente fare di più, per tutti. Come? Io questo non lo so.

Passerò il mio testimone – lo passeremo tutti – a qualcuno sicuramente migliore di noi, con la speranza che possa prendere le redini lì dove le lasceremo e continui questa bellissima esperienza che è la Consulta, mettendola sempre in discussione e rivedendola costantemente, affinché sia sempre di più – almeno quella – a misura di studente.

Martina Doneda, delegata ai rapporti con istituzioni e associazioni

 

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Imparare dal passato: in latino

Posted by admin On Giugno - 8 - 2015 Commenti disabilitati su Imparare dal passato: in latino

In hac schola multae linguae latinae magistrae me multos errores facere dicunt scribendo.

Me pudet pigetque, sed ego miser discipulus sum qui romanam historiam et linguam amat et se delectat cum latino.

Hodie de iuventute dissertare volo: non tota malae mentis est, nam multi ingenii acumen habent.

Iuvenes qui in Mediolano aedificia distruxerunt post universalis ostensionis initium malum exemplum sunt et nos, iuvenes, bonum sequi debemus: a linguae latinae scriptoribus mores maiorum cognoscimus.

 

In questa scuola molte insegnanti di lingua latina mi dicono che faccio molti errori scrivendo. Mi pento e mi vergogno, ma sono un umile studente che ama la storia e la lingua romane e si diverte con il latino. Oggi voglio discutere della gioventù: non è tutta di mente cattiva, infatti molti hanno argutezza d’ingegno. I giovani che hanno distrutto edifici a Milano dopo l’inaugurazione di EXPO sono un cattivo esempio e noi, o giovani, dobbiamo seguire il buono: dagli scrittori di lingua latina impariamo i buoni comportamenti degli antichi.

Attilio Di Penne

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